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lunedì 12 settembre 2016

Una bella melodia per il "Vexilla Regis"

Qualche anno fa, organizzando in collaborazione con la parrocchia di Crauglio (arcidiocesi di Gorizia, provincia di Udine), il Collegium Divi Marci e il coro polifonico triestino Alabarda la celebrazione di un vespero solenne nella Domenica di Passione, mi trovai a proporre una melodia "alternativa" del celebre inno in onore della santa Croce "Vexilla Regis".

Nell'occasione specifica al vespero doveva seguire la benedizione con la reliquia della santa Croce, si trattava pertanto di evitare di eseguire due volte lo stesso inno con l'identica melodia (sebbene al vespero fu alternata con una composizione polifonica del ceciliano Ravanello). Per tale motivo trascrissi la melodia ispanica del "Vexilla Regis", una melodia non proprio sconosciuta per le strofe pari polifoniche messe in musica "ad hoc" dal genio compositivo del Da Victoria.

Oggi, ritenendo utile riproporlo, ho pensato di adattare la VI° strofa con il testo specifico della festa auspicando l'utilizzo in contesto liturgico.



INVENZIONE ED ESALTAZIONE. Alcune note sulle due feste in onore della santa Croce.


In principio erano due. Ossia due erano le feste nel rito romano nella sua forma tradizionale a celebrare in modo particolare la santa e vivificante Croce: la festa del ritrovamento (inventio) ad opera di sant’Elena, madre dell’imperatore Costantino, celebrata il 3 maggio (In inventione S. Crucis) classificata col grado di “Doppio di Seconda Classe” [1] e la festa dell’Esaltazione il 14 settembre (In exaltatione S.Crucis) celebrata col grado di “Doppio Maggiore”[2]. Nel moto di riforma liturgica che inizia sul finire degli anni Quaranta del declinato secolo per compiersi nel primo lustro degli anni Settanta con la promulgazione dei libri liturgici riformati [3], la prima festa – ossia quella del 3 maggio – viene confinata nelle feste “Pro aliquibus locis” [4].

Il passo era breve per giungere ad una unificazione – a mio vedere “ambigua” delle due feste o meglio alla soppressione di una delle due.  Effettuo ora una breve confronto  sinottico fra le parole dei martirologi riassumendole per comodità in una tabella [5].

FESTA
MARTIROLOGIO 1956
MARTIROLOGIO 2004
3 maggio, Invenzione
Hierosolymis Inventio sacrosanctae crucis Dominicae, sub Constantino Imperatore
____________________
14 settembre, Esaltazione
Exaltatio sanctae Crucis, quando Heraclius Imperator, Chosroa Rege devicto, eam de Perside Hierosolymam reportavit.
Fextum exaltationis Sanctae Crucis, quae, postridie dedicationis basilicae Resurrectionis super sepulcrum  Christi erectae exaltatur et honoratur, sicut victoriae eius paschalis tropaeum et signum in caelo appariturum, alterum adventum eius iam universis praenuntias.

Due le cose che appaiono con la massima evidenza :
1.  Il decadimento della festa liturgica del 3 maggio, quale abbastanza probabile conseguenza del previo “accantonamento” negli anni Sessanta [6];
2. La deprivazione dell’ “aggancio dello sviluppo storico” quale sviluppo organico e consequenziale della festa dell’Esaltazione, legata alla vittoria del Βασιλεύς Eraclio sui persiani che chiude storicamente un capitolo di tensioni secolari tra impero romano e regno di Persia. Ma con questa deprivazione si perde altresì il senso di simboleggiare attraverso la Croce – emblema della Passione ma anche della resurrezione gloriosa di Cristo – il trionfo sulle barbarae nationes.

Ma analizziamo più da vicino qualche dettaglio di quel momento storico così essenziale e determinante per l’esistenza stessa dell’Impero Romano d’Oriente. Ritengo sia possibile asserire che l’epoca che va dal VII all’VIII secolo  fu una delle più drammatiche e precarie che affrontò l’impero romano d’oriente, assediato e per di più indebolito militarmente perché in grado di poggiarsi solo su una malferma difesa offerta – a caro prezzo – da mercenari, disastrato finanziariamente e con la complessa macchina burocratica che de facto aveva cessato di funzionare. L’Impero si trova alla mercé del nemico fino nelle sue stesse province centrali: il territorio balcanico subiva l’invasione delle popolazioni avare e slave, e anzi la slavizzazione dei territori dei balcani si era accentuata e infine stabilizzata stanti anche i fallimenti dell’azione militare condotta all’epoca di Maurizio agli albori del VII secolo tanto da portare a una radicale e profonda mutazione sotto l’aspetto etnico, tant’è che la popolazione locale ellenofona finì per ripiegare sulle zone costiere e insulari. I Persiani si erano insediati con pertinacia e forza nel cuore dell’Asia Minore da dove potevano muovere con i  loro conati espansionistici, tant’è che la stessa santa città di Gerusalemme cadde nelle loro mani ed essi – per umiliare ulteriormente i cristiani e devastarne il morale – rapirono il santo legno della Croce, rinvenuto dall’imperatrice sant’Elena, e lo recarono a Ctesifonte. È in questo lacerato contesto che salì al trono uno degli imperatori tra i più importanti che la storia dell’Impero d’Oriente ricordi: Eraclio, “Bisanzio riuscì a trovare in sé stessa la forza per un profondo rinnovamento sociale, politico e culturale.”[7]. Quasi tutta l’Asia Minore ricadeva ormai sotto la sfera politica persiana. Eraclio opera importantissime riforme assai incisive e profonde, in particolare il territorio dell’Asia Minore non ancora caduto in mano nemica viene suddiviso in θέματα. Essi sono un superamento dell’antico sistema delle province e un tentativo di costituzione di un esercito radicato al territorio, con obbligo ereditario di servizio militare in cambio di concessione territoriale, svincolando il sistema centrale dalla necessità di ricorso a milizie mercenarie il cui sistematico ricorso aveva dato fondo alle casse. Questo clima di riorganizzazione fu incentivato anche dalla Chiesa che mise materialmente a disposizione molti dei suoi beni e si attivò per rinfocolare l’entusiasmo  negli animi tutto questo portò a un clima di entusiasmo religioso, sempre secondo Ostrogorsky si andava preparando la prima guerra dalle caratteristiche medievali che anticipava o preconizzava le future Crociate [8].

Siamo nell’anno 619 quando Eraclio – pur addossandosi onerosissimi tributi – aveva stipulato una pace con il khān degli Avari, ciò consentì lo spostamento del contingente militare dall’Europa all’Asia, nel 622 egli trascorse l’estate ad addestrare personalmente i soldati. In una prima fase con attenta strategia egli riuscì a far sgomberare i persiani dai passi che occupavano nell’Asia Minore, lo scontro decisivo si ebbe in territorio armeno: il primo obiettivo ovvero quello di liberare l’Asia Minore era raggiunto. Purtroppo una rinnovata minaccia da parte degli Avari costrinse l’imperatore a ripiegare su Costantinopoli, l’impero fu gravato ulteriormente da altri pesanti tributi e parenti stretti del Βασιλεύς  furono fatti ostaggi per mano degli Avari. I persiani nonostante la sconfitta che avevano patito in Asia Minore rifiutarono di addivenire a miti consigli e ad accordi, anzi,  il loro sovrano Khusraw I (Cosroe) inviò una missiva a Costantinopoli laddove rifiutava ogni sorta di trattato di pace e apostrofava la religione cristiana con espressioni blasfeme ed ingiuriose. Eraclio mosse di nuovo le sue armate alla volta dell’Armenia e puntando verso sud raggiunse uno dei centri più importanti dello zoroastrismo ossia la città di Gandža, prima residenza dei Sasanidi ove distrusse uno dei loro principali santuari ossia il “Tempio del Fuoco di Zoroastro” per vendicare la violenza subita nella santa Gerusalemme. Eraclio – con numerosi prigionieri – svernò oltre l’Araxes: ivi poté rafforzare il suo contingente militare con soldati mutuati dalle popolazioni dei Lasi, Abasgi e Ibericaucasici. La situazione restava estremamente difficile anche dal punto di vista militare, tant’è che i persiani, ben lungi dal piegarsi, sferrarono la loro offensiva in territorio armeno e anzi, nel 626, Costantinopoli si trovò innanzi al duplice pericolo di un attacco sia persiano che avaro. Nel mentre il patriarca Sergio teneva alto l’umore dei soldati: fu la superiorità della marina da guerra bizantina a sconfiggere il nemico e scongiurare il pericolo. Eraclio strinse alleanza coi Cazari e puntando a sud nel 627 riportò una decisiva vittoria a Ninive minando nelle fondamenta la potenza persiana: i territori dell’Armenia, della Mesopotamia romana, la Siria, l’Egitto e la Palestina ritornarono sotto lo scettro imperiale. Nel 630 con  grande trionfo Eraclio personalmente riportò la santa Croce a Gerusalemme fra l’esultanza della popolazione sanzionando “la conclusione vittoriosa della prima delle grandi guerre religiose dell’era cristiana” [9].

Bernat, Eraclio porta la santa Croce a Gerusalemme


Questa seppur succinta nota storica è, a mio parere, abbastanza importante per comprendere il significato che aveva assunto in sè la festa dell’Esaltazione della Santa Croce, un significato “organicamente” [10] innestatosi, aggiuntosi e caricatosi su quelli che ne mossero le origini, che assume un’ importanza particolare per essere condiviso dai cristiani separati di tradizione costantinopolitana, un lacerto insomma della Chiesa Una e Indivisa. Per questo motivo ho definito “ambiguo” il rimuovere questo riferimento per motivi che sono evidentemente estrinseci alla liturgia.

Eparchia di Lungro: Esaltazione della santa Croce


Che la festa della Esaltazione della Santa Croce abbia assunto questi connotati appare evidentissimo da una semplice e mera lettura delle lectiones  c.d. “storiche” del Breviario [11] sulle quali tra poco avrò modo di considerare brevissimamente.

Ma quale, a questo punto, l’origine della festa della Esaltazione della Santa Croce e quale il motivo di questo nome? La profonda dottrina liturgica del benedettino Prosper Guéranger può illuminare con i dati utili che fornisce.
L’abate francese anzitutto precisa essere una festa di “origine complessa”[12], aggiungerei eterogenea, i cui eventi storici che si sono succeduti hanno messo in luce ulteriori aspetti. Anzitutto va menzionato che il 14 settembre nell’anno 335, con enorme concorso di fedeli e di clero, venne dedicato un santuario nello stesso luogo ove Cristo aveva patito ed era stato sepolto. Orbene tale anniversario continuò ad essere celebrato con enfasi e solennità anche negli anni seguenti, tant’è che tale dedicatio – negli usi gerosolimitani – aveva rito pari alla Pasqua e all’Epifania. Seguendo sempre la ricostruzione di Guéranger altri furono gli elementi che si fusero a questa festa e che – in ultima istanza – ne decretarono questa affezione e questo successo, tra questi la coincidenza ebraica con la festa dei Tabernacoli o delle Capanne (Sukkot) che si pone cronologicamente nel periodo della fine delle fatiche della vendemmia e di cui questa Dedicatio andrebbe idealmente a prenderne il posto. Ma anche il riferimento a un altro ricordo doveva innestarsi ossia quello, stavolta più schiettamente e marcatamente cristiano, del ritrovamento del sacro legno della Croce. A questo era associata una costumanza liturgica caratteristicamente agiopolita ossia quella elevazione o exaltatioιψωσις – del legno della santa croce, nel luogo e data del ritrovamento, con benedizione dei quattro punti cardinali, i fedeli recavano seco per ricordo delle minute fiale che contenevano dell’olio che era venuto a contatto con il santo legno. Questo dovrebbe essere bastevole a spiegarne il nome e anche la scelta della pericope evangelica della messa del giorno (Giov. 12, 31.36): “Et ego si exaltatus fuero a terra, omnia traham ad meipsum”.  Il luogo in cui la croce era innalzata era considerato il centro del mondo, detta cerimonia dovette giuocoforza interrompersi quando la Santa Città – che già nel corso dei secoli aveva distribuito frammenti del legno della vivificante croce ai principali centri – venne deprivata da questo immenso ed inestimabile tesoro. Con la restituzione di Eraclio poteva riprendere tale uso di cui si ha un lacerto nelle costumanze della Custodia di Terrasanta. Ivi i minori nelle due feste della Croce svolgono una processione: il 3 maggio dopo la messa pontificale cantata nella cripta del rinvenimento della Croce, svolgono una processione e – al canto del Vexilla regis – circuiscono il Santo Sepolcro per poi impartire la benedizione, il 14 settembre la processione muove dal Calvario al sacello del Santissimo Sacramento con analoga cerimonia [13].  Il processo imitativo degli usi di Gerusalemme, qui lo accenno, non mancò per un certo periodo neanche a Roma [14], ove una prima testimonianza di una festa dedicata alla Croce appare all’epoca di papa Sergio, inizialmente al Laterano e poi alla Sessoriana con solenne ostensione e ed adorazione delle reliquie, attestata ancora all’epoca dell’ Ordo di Cencio Camerario (inizio XIII secolo) [15].

Vero è – stando all’opinione del beato Ildefonso Schuster – che probabilmente nell’ambito dello sviluppo le circostanze che hanno dato origine alle feste del 3 maggio e del 12 settembre si siano intersecate e confuse. Secondo il beato Schuster,liturgista e pastore della Chiesa mediolanense, la restituzione delle reliquie da parte di Eraclio al patriarca Zaccaria sarebbe da individuarsi nel 3 maggio del 630, data che incontrò in Occidente “più larghe simpatie”, viceversa la data del 14 settembre si fece strada con con più lentezza essendo inizialmente dedicata alla festa di due martiri menzionati nel Canon Missae ossia Cornelio e Cipriano [16]. Tant’è che per Schuster la messa del 3 maggio  è “post gregoriana” e per l’Introito e l’Offertorio si sono mutuati testi da messe più antiche [17]. Notiamo che l’Introito del 3 maggio e del 12 settembre è lo stesso e coincide con quello del Giovedì santo (Gal. 6,14), parimenti l’epistola è la stessa (Filipp. 2, 5-11) che coincide con quella della messa della Domenica delle palme. È simile l’opinione dell’abate Righetti che in modo perentorio e senza mezzi termini afferma che “il titolo della prima ricorrenza (3, maggio, Invenzione della Croce) è sbagliato in pieno”[18]. Sempre per il Righetti l’adozione della festa della Exaltatio fu frutto di un processo di imitazione di Gerusalemme specie per i centri che avevano ricevuto frammenti del legno della Croce, la vittoria di Eraclio – pur confondendo liturgicamente e cronologicamente le acque rinfocolò il culto verso la Croce e in questo contribuirono le “lezioni storiche” del Breviario [19]. Interessante quanto ci ragguaglia il Righetti circa il fatto che già sotto il sommo pontificato di Benedetto XIV – segnatamente nel 1741 – la questione delle due feste si era evidenziata presso la commissione preposta alla riforma del Breviario che però intese lasciare lo status quo. Un atteggiamento di prudenza questo, una prudenza che invece non è ha caratterizzato nel caso di specie la riforma liturgica Novecentesca che – abrogando la festa del 3 maggio e omettendo il significato “fisico” della Exaltatio  reso nuovamente possibile dalla vittoria sui persiani operata da Eraclio e la successiva restituzione – ha  adombrato una parte del significato che emergeva pur nelle nebbie della storia e, se vogliamo, nella confusione che alle volte ne deriva: i libri liturgici sono tali prima di essere libri storici e questo bisognerebbe averlo sempre presente prima di tuffarsi senza indugio in un positivismo estraneo ai criteri dello sviluppo organico della liturgia poiché se è vero che le origini e gli sviluppi delle due feste si confondono è innegabile, altresì, che essi si completano, se è vero che era subentrata una confusione è del pari vero che la soluzione adottata è “gordiana” avendo preferito rimuovere il problema anziché chiarirlo.

Concludo queste mie note sulle feste della Croce trascrivendo dall’ Antologhion  [20] di rito costantinopolitano - nel quale il 14 settembre la croce viene portata in trionfo adorna di alloro, simbolo di vittoria - di alcuni lacerti dei numerosi testi liturgici del mattutino del 14 settembre che fanno riferimento all’ “innalzamento” di cui dicevo:

“La croce viene oggi innalzata, e il mondo è santificato ; tu che siedi in trono col Padre e il santo Spirito, distese su di essa le mani, hai attirato il mondo intero, o Cristo, alla conoscenza di te: concedi la gloria divina a quelli che in te confidano.”  (exapostilarion, p. 625)

“[…] La croce che ha portato l’Altissimo, quale grappolo pieno di vita, si mostra oggi elevata da terra; per essa siamo stati tutti attratti a Dio, e la morte è stata del tutto inghiottita. […]” (stichirà prosomia, p. 626)

Infine, per chiarire il concetto del trionfo sulle barbarae nationes e il cui riferimento va con ogni probabilità a Eraclio:

“[…] In essa sono vinte le genti barbare, per essa sono saldamente stabiliti gli scettri dei regnanti […]” (ibidem).

O Crux Ave, Spes unica!
Francesco G. Tolloi
francesco.tolloi@gmail.com












[1] Qui cito l’edizione VI dopo la tipica del Messale romano approvata nel 1952 e pubblicata nel 1954: Missale romanum, editio sexta post typica,, Polyglottis Vaticanis, Romae, 1954, pp.557 e ss..
[2] Idem, p. 706 e ss..
[3] Utilizzo questi termini temporali per definire il periodo della “Riforma liturgica” Novecentesca poggiando la mia opinione proprio su mons. Bugnini, prima propugnatore e sostenitore quindi protagonista e infine artefice della riforma stessa, si noti che – non a caso lo stesso titolo della sua opera sulla riforma fornisce, significativamente, tali estemi,; cfr. A. BUGNINI, La riforma liturgica (1948-1975), Roma, CLV, 1997.
[4] Qui mi riferisco all’edizione di San Giovanni XXIII del Messale romano, utilizzo la seguente edizione: Missale romanum, editio secunda iuxta typicam, Ratisbona, Pustet, 1963, pp. [179 e ss..].
[5] Per l’edizione “tradizionale” faccio uso di Martyrologium romanum, quarta post typicam editio, Romae, Polyglottis Vaticanis, 1956. Per l’edizione riformata: Martyrologium romanum, editio altera, Romae, Typis Vaticanis, 2004.
[6] Il P. Braga, annota la necessità di conservare la festa del 14 settembre ma di abolire quella del 3 maggio non essendo una vera festa universale o di tipicità romana (risultando sconosciuta ai sacramentari gelasiano e gregoriano) nonché di origine gallicana (essa pare derivare dalla leggenda del vescovo gerosolimitano Giuda Ciriaco a differenza – a suo parere - della festa settembrina. Cfr  C. BRAGA, La riforma liturgica di Pio XII, Roma, CLV, 2003, pp. 81 e ss, e pp. 98 e ss.. Si veda anche: A. BUGNINI, voce La croce nella liturgia, in Enciclopedia Cattolica, vol. IV, Città del Vaticano, Ente per l’Enciclopedia cattolica, 1952, cc. 960 e ss..
[7] G. OSTROGORSKY, Storia dell’impero bizantino, trad. P. Leone, Torino, Einaudi, 200213, p. 85.
[8] IDEM, p. 90.
[9] IDEM, p. 93.
[10] Sullo sviluppo organico essenziale l’opera, con prefazione dell’allora cardinale Ratzinger: A. REID, The Organic Development of the Liturgy, San Francisco, Ignatius Press, 20052, pubblicato anche in edizione italiana: ID, Lo sviluppo organico della liturgia, Siena, Cantagalli, 2013.
[11] Qui cito l’edizione tipica di san Pio X: Breviarium romanum, editio typica iterum impressa, Romae, Polyglottis Vaticanis, 1905.
[12] P. GUÉRANGER, L’Anno Liturgico, Alba, Paoline, 1956, vol.  II, p. 1073.
[13] Ordo processionum quae Hierosolymis in Basilica S. Sepulcri D.N. Jesu Christi a Fratribus Minoribus peraguntur, Romae, Polyglottis Vaticanis, 1947, pp. 105 e ss. e p. 108..
[14] M. ANDRIEU, Les Ordines Romani du Haut Moyen Age, Louvain, Spicilegium Sacrum Lovaniense, 1961, V, pp.  363 e ss..
[15] A. BUGNINI, voce La croce nella liturgia, in Enciclopedia Cattolica…cit. col. 961 e s..
[16] A. I. SCHUSTER, Liber sacramentorum, Torino-Roma, Marietti, 1932, vol. VII, pp. 247 e ss..
[17] IDEM, p. 150.
[18] M. RIGHETTI, Manuale di Storia Liturgica, Milano, Ancora, 19552, vol. II,  p. 261.
[19] Cfr: lezioni del secondo notturno, Die 14 Sept. In Exaltatione S. Crucis, in Breviarium romanum…, cit., pp.1319 e ss..
[20] Antologhion di tutto l’anno, traduzione dal greco di M.B. Artioli, Roma, Lipa, 1999, vol. I, pp. 625 e ss.. Per semplicità definire tale opera un tentativo di un “breviario” per il rito costantinopolitano che normalmente richiederebbe per la celebrazione dell’ufficio l’utilizzo di vari libri.