L’Ordo è un
genere di pubblicazione che sicuramente
non difetta in questi giorni che si collocano a cavaliere
tra due anni liturgici. Come è noto, infatti, la prima domenica di Avvento
segnerà l’aprirsi di un nuovo ciclo annuale. È ovvio che Diocesi, Ordini, Istituti
religiosi, si siano prodigati a redigere il loro calendario liturgico e,
sicuramente, tra i vari prodotti editoriali,
si possono rinvenire, pur in parte minoritaria, quelli previsti per
quella che viene definita (usando il linguaggio del motu proprio “Summorum Pontificum” ) forma extraordinaria del rito romano. Certamente il maggiore
interesse sviluppatosi nei confronti della liturgia antica, unitamente al
capillare diffondersi degli strumenti del web,
hanno contribuito in modo sostanzioso a un incremento in tal senso. Se la mia mente dovesse correre agli anni
dell’adolescenza, serbo il ricordo dell’esistenza di un Ordo, stampato in Francia da una comunità religiosa vicina alla
Fraternità San Pio X: esso era l’unico.
Ottenerlo significava accordarsi con gli amici interessati, scrivere,
pagare, farsi spedire le copie. Operazioni facili a dirsi, o a scriversi, ma
non da porsi in atto all’epoca! Email,
pagamenti smart con paypal e quant’altro erano ancora ben
lontani. Nel nuovo contesto di varietà che si è venuto a creare, talvolta
frutto della nota combinazione di tasti “CTRL + C” e, quindi, “CTRL + V”, sono
davvero rimasto positivamente sorpreso da un Ordo disponibile, gratuitamente, contattando il blog “Traditio marciana” [qui].
Sono due i motivi per i quali la mia attenzione si è soffermata: l’inserimento dei propria diocesani di quello che è attualmente, in sostanza, il territorio sotto la pertinenza della Conferenza Episcopale Triveneta e la scelta della Editio VI post typicam 1920 (ossia 1952) come base per la compilazione. Va detto che è l’Ordo di “Traditio liturgica” si limita alla celebrazione della Messa e non tratta perciò dell’Ufficio divino, chi si occupa della materia sa che esiste, da diversi anni, un Ordo acquistabile da “Saint Lawrence Press Ltd”, edito annualmente, basato sull’edizione del 1939 (Editio Quinta post Typicam) che – limitatamente al calendario universale – fornisce le indicazioni sull’Ufficio [qui].
Sono due i motivi per i quali la mia attenzione si è soffermata: l’inserimento dei propria diocesani di quello che è attualmente, in sostanza, il territorio sotto la pertinenza della Conferenza Episcopale Triveneta e la scelta della Editio VI post typicam 1920 (ossia 1952) come base per la compilazione. Va detto che è l’Ordo di “Traditio liturgica” si limita alla celebrazione della Messa e non tratta perciò dell’Ufficio divino, chi si occupa della materia sa che esiste, da diversi anni, un Ordo acquistabile da “Saint Lawrence Press Ltd”, edito annualmente, basato sull’edizione del 1939 (Editio Quinta post Typicam) che – limitatamente al calendario universale – fornisce le indicazioni sull’Ufficio [qui].
La prima caratteristica dell’Ordo di “Traditio marciana” è davvero singolare: calendari con
inserimenti dei propria diocesani se
ne reperivano, come è ovvio, in “epoca storica” e continuano a essere editi per
la forma ordinaria, la
“multidiocesanità”, mi si passi qui il termine, è peculiarità del tutto nuova
ed originale. È inutile dire che le aggiunte dei propria locali hanno un’immensa importanza: nel calendario
universale trovano spazio – secondo precise regole – quelle peculiarità delle
Chiese locali con il loro portato fatto
di devozione e storia che, sicuramente, è bene non trascurare e, anzi, va
rivitalizzato. Attraverso questa armoniosa varietà nell’unità, si manifesta
tangibilmente la comunione della realtà ecclesiastica locale con Roma.
Un plauso va dunque tributato al puntuale compilatore
Nicolò Ghigi che ben ha dimostrato, con questo certosino lavoro, di sapersi
destreggiare tra le non sempre facili norme calendaristiche, nonché ha
dimostrato un notevole ed encomiabile coraggio nella sua scelta redazionale. È
assai significativo che questo Ordo
abbia visto la luce proprio nell’ultimo scorcio di questo 2018, anno nel quale
la Pontificia Commissione “Ecclesia Dei”, ha permesso, ad experimentum, la reintroduzione dei riti della Settimana Santa
nelle forme antecedenti la riforma che scaturì da “Maxima redemptionis” (1955), in cui chiunque sia dotato di sano
senso critico, non viziato da aprioristiche e forsanche opportunistiche
proiezioni pregiudiziali, non mancherà di ravvisare allontanamenti dalla
intrinseca coerenza del rito, che qui chiamerei per semplificazione “tradizionale”,
nonché rappresentarono il prodromo a riforme che, senz’altro, sottendono a
quella stessa nuova dialettica e che appaiono evidenti negli sviluppi
recenziori.
Ho parlato di coraggio proprio perché non mancano coloro
i quali si trincerano dietro a un “sessantaduismo oltranzista” e che sono
disposti a non risparmiare attacchi ai sostenitori di un una riappropriazione
consapevole del rito tradizionale. Si tratta certo di una posizione di comodo
che però ha in sé un vulnus che non
permette di cogliere la reale portata di riforme e modificazioni di cui fu
fatto oggetto il rito romano nel corso dello scorso secolo. Va detto, con
rammarico, che simili posizioni si sono appalesate, per lo più, tra il pubblico
italiano, mostrando quasi un vizio etnico a somigliare ai capponi di Renzo di
manzoniana memoria.
Dette critiche, prive del men che minimo ragionamento
sereno e critico, appaiono, mutatis
mutandis, del tutto simili a quelle di coloro i quali – innanzi a chi a
gran voce chiedeva di poter usare o fruire del rito tradizionale – rispondevano
che il rito è quello scaturito dalla riforma del Concilio Vaticano II e quindi
del Missale romanum sia da usarsi l’edizione
del 1969. Punto. Al pari di allora si deve tristemente notare che l’argomentazione
offerta è assente. L’assenza di questa la si vorrebbe, e pretenderebbe, colmata
da una pretesa obbedienza che negli intenti di costoro dovrebbe , in estrema
sintesi, mettere a tacere una lettura critico analitica, con buona pace del ben
dell’intelletto.
Il valido lavoro di Nicolò Ghigi si pone dunque tra
quelle scelte “scomode” ma parimenti opportune e coraggiose, come già lo fu nel
2002 – per fare un esempio abbastanza noto - la ponderosa e monumentale edizione del Nocturnale romanum dell’amico Holger Peter Sandhofe (+ 2005), che
prese come base della sua compilazione – volta a colmare la mancanza di un
volume per il canto dell’officiatura notturna prodottosi a seguito della
riforma del canto gregoriano durante il pontificato di san Pio X – l’edizione
del Breviarium precedente gli anni
Sessanta (che presentava, tra le altre cose, un ampio rimaneggiamento del
Mattutino). Opere dunque che servono a una riappropriazione consapevole del
rito tradizionale, una riappropriazione che è vero ed efficace antidoto a
quegli attacchi di chi vorrebbe, come il ben noto liturgista Andrea Grillo,
vedere il rito romano confinato nelle bacheche di un museo o come quello,
proprio di questi giorni alla CEI, che vorrebbe annullare con pretesti di nullità,
avanzati dopo più di un decennio, da S. E. mons. Carlo Maria Redaelli, le
previsioni di “maggior favore” del motu
proprio “Summorum Pontificum”.
Ecco perché raccomando i miei benevoli lettori a richiedere
l’Ordo di “Traditio Marciana” e a
tenerlo con il massimo rispetto e considerazione che davvero merita.
Francesco G. Tolloi
francesco.tolloi@gmail.com
Frontespizio dell' Ordo di "Traditio Marciana" |