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venerdì 4 dicembre 2020

Sant'Apollinare Suddiacono, martire - 6 dicembre -

Sul colle di San Giusto, non molto distante dalla Cattedrale triestina, si staglia la sobria chiesa ottocentesca officiata da sempre dai frati cappuccini, chiamata popolarmente la “chiesa di Montuzza”. Il sacro edificio sorge su un terreno donato dall’Imperatore Francesco Giuseppe, per ospitare il convento e la chiesa dei frati, allora provenienti della Provincia Marchigiana. Ciò poté vedersi compiuto grazie alla tenace volontà di monsignor Bartolomeo Legat, vescovo di Trieste e Capodistria (+ 1875), le cui spoglie proprio in questa chiesa attendono il giorno ultimo. L’iniziativa fu sostenuta dalla munificenza di tanti triestini, noti o sconosciuti, ma anche da triestini “d’adozione”, come la famiglia reale delle Spagne che visse l’esilio nella nostra città [1]. Fortissimamente si voleva un ritorno dei frati cappuccini che a Trieste, dal 1617 al 1785, erano insediati fuori della Porta Cavana. Costretti a lasciare la città per i provvedimenti di soppressione di Giuseppe II, ripararono nella vicina Stiria. Questa chiesa, così come quella atterrata nell’ultimo scorcio del XVIII secolo, è intitolata a Sant’Apollinare legando così il nome di questo Santo alla presenza cappuccina a Trieste  [2].

Chiesa di Sant'Apollinare (Trieste).

Va notato che non si tratta però del più celebre Sant’Apollinare ravennate, vescovo originario di Antiochia vissuto nel I secolo che compì il suo martirio a Classe (RA), ove sorge la celeberrima basilica impreziosita dai raffinati e famosi mosaici. Sebbene non manchi chi ritenga trattarsi di uno “sdoppiamento” del culto ravennate [3], stando alla lex orandi locale il “nostro” Apollinare era un suddiacono che viveva a Tergeste nei primi secoli dell’era cristiana [4] . Egli si prendeva cura di un anziano presbitero di nome Martino cui procurava di che nutrirsi, posto che i cristiani, per scampare alle persecuzioni, si nascondevano nei boschi e nelle grotte attorno alla città. Apollinare iniziò ad acquistare una certa notorietà in seno alla comunità cristiana attratta dai poteri taumaturgici del suddiacono. Questi infatti, tracciando con la sua mano il segno di croce, aveva ridato la vista ai ciechi e ridonato la salute ad ammalati. Furono proprio queste circostanze a destare l’attenzione del Preside Licinio che fece convocare Apollinare al suo cospetto. Qui gli fu intimato di offrire incenso ai falsi dei, Apollinare rifiutò professando in modo risoluto e deciso la sua fede in Cristo. I suoi aguzzini risolsero allora di spogliarlo e porlo su una graticola sotto la quale ardeva il fuoco. Per recargli ulteriore tormento, quattro soldati lo percuotevano con mazze nerborute. Apollinare, pronunziata un’orazione, fece con la sua mano un segno di croce ad indirizzo del fuoco che subito si spense. Subito si levò in piedi incolume, tra la meraviglia e lo stupore dei presenti. Licinio, adiratosi, sospettando che il ministro della casa del Signore ricorresse ad arti magiche, diede ordine che gli fosse mozzata la mano destra, proprio quella mano con la quale Apollinare tracciava il segno vivificante della nostra redenzione ed operava prodigi. Ma neanche questa orribile mutilazione piego la volontà del suddiacono. Innanzi al rifiuto di abiurare, il Preside lo condanno a morte mediante decapitazione. L’esecuzione avvenne fuori le mura cittadine, alcuni devoti concittadini, fratelli nella fede, ne raccolsero le spoglie dandone degna sepoltura. 

I pochi cenni biografici su Apollinare e il più minuzioso racconto dei tormenti inflittigli dai pagani, si evincono dalla sua Passio, un racconto che il Grégoire, avendolo analizzato sotto il profilo linguistico e morfologico, ritiene di collocare in una forbice temporale situabile tra non prima della fine del IV secolo e prima dell’inizio dell’XI [5]. Il racconto ha riscontro solo in un estremamente esiguo numero di testimoni manoscritti peraltro geograficamente circoscritti [6].

Il sacerdote Giuseppe Mainati riferisce che il 26 aprile del 1624 nella Cattedrale di San Giusto, fu rinvenuta un’arca contenente, assieme a lacerti di vestimenti consunti, il cranio di Sant’Apollinare e parte delle sue ossa. Lo stesso sacerdote – che ricoprì l’incarico di sacrista della nostra Cattedrale – ci attesta che vi era l’uso (evidentemente ancora nel primo ventennio dell’Ottocento quando egli scrive), di esporre l’arca del Santo sotto l’altare di San Nicolò il 6 dicembre, giorno della sua festa [7].


Sant'Apollinare raffigurato nell'Opera
di Giuseppe Mainati 

Monsignor Giusto Buttignoni, oltre a ricordare la ricognizione precedente, che era avvenuta essendo vescovo di Trieste Rinaldo Scarlicchio, riporta la notizia di un’altra compiuta nel 1929 dal vescovo Luigi Fogar, cui il Buttignoni ebbe a presenziare assieme al Padre Guardiano del Convento dei Cappuccini. Con l’occasione le reliquie furono poste in una nuova urna, ispirata allo stile di quella di San Sebaldo di Norimberga, realizzata dall’argentiere goriziano Lipizer [8].

È ancora monsignor Buttignoni a ricordare, nell’anno 1930 quella che egli stesso definisce l’«apoteosi del Martire» culminata con una celebrazione triduana a ridosso del dies natalis di Sant’Apollinare ed una solenne traslazione di una reliquia insigne dello stesso, mossa dalla Cattedrale verso la chiesa dei Cappuccini [9].

Pala di Sant'Apollinare nell'omonima chiesa
di Trieste. (Antonio Guardassoni, 1819-1888)
Immagine dal forum "atrieste" g.c.

Per quanto attiene la presenza di Sant’Apollinare Martire nei testi dei propria diocesani, possiamo rilevare uno spartiacque rappresentato dalle riforme di papa San Pio X. Come detto la festa del santo suddiacono tergestino è il 6 dicembre, data che il Calendario Universale riserva a San Nicola (rito duplex). Avveniva dunque che in Cattedrale si celebrava (rito duplex majus) la festa di Sant’Apollinare, annoverato tra i patroni secondari, il 6 dicembre, facendosi reposizione della festa di San Nicola al 9 dicembre. Nel resto della diocesi si riscontrava la situazione speculare: San Nicola il 6 dicembre e Sant’Apollinare il 9 [10]. Con le riforme di San Pio X, si aprì la possibilità di commemorare la festa del calendario universale in quello locale: le feste infatti di rito duplex, come nel nostro caso, ma anche di rito semiduplex, per le quali si verifica occorrenza, non dovevano più essere riposte alla prima data utile ma potevano essere commemorate [11]. Fu durante l’episcopato di monsignor A. Karlin che fu redatto il Proprium Officiorum diocesano ad mentem della riforma di San Pio X: qui, per l’appunto, troviamo Sant’Apollinare celebrato il giorno 6 dicembre in tutta la diocesi e San Nicola commemorato [12]. Negli anni Sessanta del Novecento Sant’Apollinare fu espunto dai propria [13], il canonico monsignor Vittorio Cian fa notare che è proprio il nome di Sant’Apollinare a mancare tra i tradizionali santi diocesani. Il suo inserimento fu osteggiato dalla Congregazione proprio perché si riteneva trattarsi dello “sdoppiamento” dell’omonimo ravennate (che fu vescovo, mentre il “nostro” suddiacono…) [14]. È peraltro ancora lo stesso Autore a riferire che «Mons. Santin [allora vescovo di Trieste] mi confidò che ebbe a lottare non poco con P. Fruttaz alla Congregazione per il Culto per l’eccessiva severità critica adottata in quel momento verso le tradizioni dei santi locali, del resto smentita, come nell’esempio del rinvenimento della sepoltura dei santi aquileiesi Canzio, Canziano e Canzianilla, dati per inventati secondo certi critici. Secondo quei criteri ben poco si sarebbe conservato del calendario tradizionale della Chiesa Tergestina.» [15].

Anche in vista della riformulazione dei propria diocesani, negli anni Ottanta dello scorso secolo si decise di procedere alla ricognizione delle reliquie dei martiri della Chiesa triestina. È ancora monsignor Cian a riportare l’autentica compilata per l’occasione (31 agosto 1986): per quanto attiene i resti ossei, si è potuto determinare che la maggior parte di essi è riconducibile ad un individuo di sesso maschile e che sono compatibili con le reliquie custodite dai Cappuccini, un’altra parte di ossa appartengono ad un individuo di sesso femminile, mentre un’ultima parte è di frammenti ossei di origine animale [16]. Nel testo dell’autentica, a firma del vescovo monsignor L. Bellomi, si legge: «Non potendosi con certezza individuare i resti dell’eventuale Apollinare, martire triestino, si decide di non insistere per l’inserimento nel calendario diocesano e quindi di non rinnovarne il culto.»[17].

Nei propria rinnovati si fa menzione di Sant’Apollinare nella Memoria dei Santi Protomartiri della Chiesa Tergestina, qui fissata al 7 giugno [18]. Nella data del suo “dies natalis” è celebrato solo nella chiesa di Montuzza a lui intitolata come si evince dal calendario provinciale dei frati cappuccini [19].

Absidiola di Sant'Apollinare
(Cattedrale di San Giusto, Trieste)

Sant'Apollinare
(Passionario della badessa E. Bonomo, XVII sec.)

Per quanto attiene l’iconografia, la più antica si trova nell’absidiola della navata all’estrema destra della Cattedrale, laddove, pur in condizioni deteriorate, si possono vedere degli affreschi romanici con episodi della vita del Santo e lo si ritrova anche nel manoscritto seicentesco della badessa Eufrasia Bonomo [20]. Nella chiesa dei Cappuccini è rappresentato sulla pala dell’altare maggiore opera del bolognese Alessandro Guardassoni (1819-1888) [21]. Qui il Santo, rivestito della tunicella in allusione al suo grado suddiaconale, è raffigurato nella gloria, sostenuto da una corona di angeli nell’atto di pregare per la sua città che ab immemorabili lo invoca tra i suoi patroni.

Sancte Apollinaris, ora pro nobis!

Francesco G. Tolloi

francesco.tolloi@gmail.com



Note:

[1] Mi riferisco qui a Carlo V e la sua discendenza (c.d. “carlisti”), inumati presso la cappella di San Carlo Borromeo della Cattedrale triestina.

[2] Per cenni succinti sulla presenza cappuccina a Trieste, rimando a: L. Parentin, Il francescanesimo a Trieste e in Istria nel corso dei secoli, Trieste, Comitato triestino per l’ottavo centenario della nascita di San Francesco, 1982, pagg. 39-40.

[3] Nella voce dedicata a Sant’Apollinare della Bibliotheca Sanctorum, Filippo Caraffa, poggiando il suo assunto sul Lanzoni e citandolo, riferisce che le relazioni tra le sponde dell’Adriatico portarono anche allo scambio di reliquie di Santi e all’adozione conseguente del culto di essi che alle volte ne trasformarono la figura. (Cfr. F. Caraffa, Apollinare, in Bibliotheca Sanctorum, Roma, Istituto Giovanni XXIII nella Pontificia Università Lateranense 1969, vol. III, col. 249.).

[4] Ho ritenuto qui utilizzare un’indicazione con termini temporali volutamente ampi se non vaghi. Un tanto perché, nei testi che ho avuto modo di consultare non danno un’indicazione univoca. Riporto succintamente qualche esempio. Il testo della Passio riportata dal Kandler (P. Kandler, Pel fausto ingresso di Monsignore Illustrissimo e Reverendissimo D. Bartolomeo Legat Vescovo di Trieste e Capodistria, Trieste, Papsch, 1847, s.p.) esordisce con un’indicazione temporale di questo tipo: «Temporibus Antonini Imperatoris». Per il Kandler il martirio avvenne nel 151, ossia durante l’imperio appunto di Antonino Pio, figlio d’adozione di Adriano e primo della dinastia degli Antonini. Il benedettino Réginald Grégoire colloca il dies natalis del nostro suddiacono sotto Antonino Caracalla regnante tra 211 e 217 (R. Grégoire, Le passioni degli antichi martiri di Trieste, in n AA. VV. La Tradizione Martiriale Tergestina Storia, culto, arte (a cura di V. Cian e G. Cuscito), Trieste, Edizioni Vita Nuova, 1992, pagg. 97 e 104). Gabriella Brumat Dellasorte, che pure indica in bibliografia l’Opera con il saggio del padre Grégoire, colloca il martirio nel 142, dunque ancora durante l’imperio del citato Antonino Pio, il successore di Adriano (cfr. G. Brumat Dellasorte, Apollinare, in AA. VV. Santi e Martiri del Friuli Venezia Giulia (a cura di W. Arzaretti), Padova, Messaggero, 201, pagg. 80-81.).

[5] Cfr. R. Grégoire, Le passioni degli antichi martiri di Trieste, op. cit., pag. 104.

[6] Cfr. P. Chiesa – E. Colombi (a cura di) Lista sommaria dei manoscritti delle passiones dei martiri aquileiesi e tergestini, in San Giusto e la Tradizione Martiriale Tergestina, a cura di G. Cuscito, Trieste, Editreg, 2005, pag.70

[7] Cfr. G. Mainati, Vita e Martirio del glorioso San Giusto e de’ Santi Servolo, Sergio, Lazzaro, Apollinare, Primo, Marco, Giassone e Celiano, Eufemia e Tecla sorelle, Giustina e Zenone, Venezia, Picotti, 1816, pag. 75

[8] Cfr. G. Buttignoni, S. Giusto e gli altri Martiri triestini, Trieste, Smolars, 19482, pagg. 59 e ss.

[9] Ivi, pag. 62 e s.

[10] Cfr. Kalendarium Perpetuum in Proprium Officiorum in usum Ecclesiarum Unitarum Dioeceson Tergestinae et Justinopolitanae, Ratisbonae – Romae – Neo Eboraci, Pustet, 1900, pag. 14*. Tale proprium dell’Ufficio – edito durante l’episcopato di monsignor A. M. Sterk - è l’ultima edizione in vigore prima della Bolla “Divino Afflatu” di San Pio X. Lo status quo descritto si ritrova anche nelle edizioni precedenti.

[11] Cfr. Additiones et Variationes in Rubricis Breviarii, in Breviarium Romanum, editio typica, Romae, Polyglottis Vaticanis, 1915, Tit. V, pagg. lxvj e s.

[12] Cfr. Proprium Officiorum pro unitis Dioecesibus Tergestina et Justinopolitana, pars hiemalis, Ratisbonae et Romae, Pustet, 1915, pagg. 3 e ss.

[13] Cfr. Proprium Officiorum pro Dioecesi Tergestina, Taurini, Marietti, 1964 e Proprium Missarum Dioecesi Tergestinae, Taurini, Marietti, 1964. Si tratta dei propria “ad normam et mentem” del nuovo Codice delle Rubriche, promulgati da mons. A. Santin.

[14] V. Cian, Il culto liturgico dei Santi della tradizione tergestina, in AA. VV. La Tradizione Martiriale Tergestina Storia, culto, arte (a cura di V. Cian e G. Cuscito), Trieste, Edizioni Vita Nuova, 1992, pag. 194.

[15] Ivi, pag. 246, nt. 16.

[16] Cfr V. Cian, Il culto dei nostri martiri: documenti e autentiche, in AA. VV. La Tradizione Martiriale Tergestina Storia, culto, arte (a cura di V. Cian e G. Cuscito), op. cit., pagg. 26 e s.

[17] Ivi, pag. 27.

[18] Cfr. Diocesi di Trieste, Liturgia delle Ore, Città del Vaticano, Poliglotta Vaticana, 1989, pag. 23. Qui Sant’Apollinare è menzionato nella nota introduttiva alla celebrazione della Memoria assieme ai santi: Giasone, Celiano, Primo, Zenone e Giustina. I testi furono promulgati durante l’episcopato di monsignor L. Bellomi.

[19] Cfr. Guida liturgica per i Frati Cappuccini delle Province veneta e lombarda e per le monache Clarisse Cappuccine, Venezia, Curia Prov. Ofm Capp., 2020, pag. 8. Da essa si evince che la ricorrenza di Sant’Apollinare è celebrata presso la chiesa dei Cappuccini di Trieste di cui è titolare con il grado di solennità.

[20] Cfr. G. Brumat Dellasorte, Apollinare, in AA. VV. Santi e Martiri del Friuli Venezia Giulia, op.cit., pag. 81.

[21] Cfr. G. Cuscito, Le chiese di Trieste, Trieste, Italo Svevo, 1992, pag. 209.

Lezioni del secondo Notturno

[lectio iv] Antoníno Imperatóre, cum prǽsidum in Christiános ódium fúreret, et pleríque, dum persecutiónis fervébat æstus, in móntibus  et cavérnis abscónderent, Apollináris, ecclésiæ tergestínæ subdiáconus, cum Martíno sacerdóte haud procul Tergésto delitéscens, ei victum clam suppeditábat. Mórtuo autem Martíno, cum Apollináris signo crucis cæcos illumináret et infírmis sanitátem largirétur ac pópulos miraculórum fama motus ad eum concúrreret, ipsum Licínus præses accersítum idólis thus adolére jubet, et nisi morem gerat, gravíssima ei torménta minátur.

Sotto l’imperatore Antonino, allorchè l’odio dei magistrati incrudeliva contro i cristani, e la maggior parte, al culmine delle persecuzioni, si nascondevano nei monti e in caverne, Apollinare, suddiacono della Chiesa di Trieste, nascondendosi con il sacerdote Martino non lontano da Trieste e si procurava di nasconsto il vitto. Dopo la morte di Martino, dal momento che Apollinare con un segno della croce aveva ridonato la vista a ciechi e la salute ai malati, e il popolo mosso dalla sua fama accorreva a lui, il Magistrato Licinio ordina che gli venga davanti e bruci incenso agli idoli, e se non si fosse adeguato gli minacciava gravissimi tormenti.

[lectio v] Sed fortis Christi miles, cum jussa prǽsidis éxequi constantíssime recusáret et Christum Deum intrépide confiterétur, nudus in cratícula exténsus, SUBjécto igne torquétur, interímque nodósis fústibus a quátuor satellítibus diríssime cǽditur. Verum, cum facta oratióne et flammis signo crucis mirabíliter exstínctis, Apollináris ex cratícula incólumis consurrexísset, et qui intérerant, magnum esse Christianórum Deum, qui fidéles suos tam poténter deféndit, exclamárent; Licínius, ómnia mágicæ artis præstígiis attríbuens, Confessóri Christi manum déxteram, qua crucis signum formáverat, amputári jubet.

Il coraggioso soldato di Cristo, però, dal momento che con persistenza si rifiutava di eseguire gli ordini del magistrato e con coraggio confesava Cristo come Dio, disteso nudo su una grata con del fuoco sotto viene torturato mentre quattro militari lo colpiscono fortissimaemnte con mazze nodose. Tuttavia, dopo che con una preghiera e con un segno di croce le fiamme si erano spente miracolosamente, Apollinare si rialzò incolume dalla graticola e che i presenti riconobbero che il Dio dei Cristani doveva essere grande, se difendeva così potentemente i suoi fedeli; Licinio, attribuento il tutto a trucchi di arte magica, ordina di amputare la mano destra del Martire, con la quale aveva tracciato il segno della croce.

[lectio vi] Postrémo, cum præses invícti Confessóris constántiam se frángere posse desperáret, pronuntiáta mortis senténtia, eum extra urbem cápite plecti ímperat. Octávo ígitur Idus Decémbris Apollináris prope Tergéstum occísus est, ejúsque corpus a piis fidélibus prope civitátis moénia honorífice cónditum. Ipse vero sanctus martyr inter patrónos civitátis Tergestínæ, ex antíqua ad hæc usque témpora traditióne, veneratiónem habet.

Alla fine, quando il magistrato si era convino che non sarebbe stato capace di piegare la costanza dell’invitto martire, pronunciata la sentenza di morte, dà l’ordine di decapitarlo fuori dalla citta.  Apollinare fu ucciso il 6 dicembre vicino a Trieste, e il suo corpo  fu sepolto con onore da pii fedeli vicino alle mura della città. Il Santo Martire, poi, è venerato dai tempi anctichi fino ai nostri giorni tra i patroni della città.

 

Da: Proprium Officiorum pro unitis Dioecesibus Tergestina et Justinopolitana, Pars Hiemalis, Ratisbonae et Romae, Pustet, 1918, pp. 3 e ss. (vescovo A. Karlin)