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venerdì 4 dicembre 2020

Sant'Apollinare Suddiacono, martire - 6 dicembre -

Sul colle di San Giusto, non molto distante dalla Cattedrale triestina, si staglia la sobria chiesa ottocentesca officiata da sempre dai frati cappuccini, chiamata popolarmente la “chiesa di Montuzza”. Il sacro edificio sorge su un terreno donato dall’Imperatore Francesco Giuseppe, per ospitare il convento e la chiesa dei frati, allora provenienti della Provincia Marchigiana. Ciò poté vedersi compiuto grazie alla tenace volontà di monsignor Bartolomeo Legat, vescovo di Trieste e Capodistria (+ 1875), le cui spoglie proprio in questa chiesa attendono il giorno ultimo. L’iniziativa fu sostenuta dalla munificenza di tanti triestini, noti o sconosciuti, ma anche da triestini “d’adozione”, come la famiglia reale delle Spagne che visse l’esilio nella nostra città [1]. Fortissimamente si voleva un ritorno dei frati cappuccini che a Trieste, dal 1617 al 1785, erano insediati fuori della Porta Cavana. Costretti a lasciare la città per i provvedimenti di soppressione di Giuseppe II, ripararono nella vicina Stiria. Questa chiesa, così come quella atterrata nell’ultimo scorcio del XVIII secolo, è intitolata a Sant’Apollinare legando così il nome di questo Santo alla presenza cappuccina a Trieste  [2].

Chiesa di Sant'Apollinare (Trieste).

Va notato che non si tratta però del più celebre Sant’Apollinare ravennate, vescovo originario di Antiochia vissuto nel I secolo che compì il suo martirio a Classe (RA), ove sorge la celeberrima basilica impreziosita dai raffinati e famosi mosaici. Sebbene non manchi chi ritenga trattarsi di uno “sdoppiamento” del culto ravennate [3], stando alla lex orandi locale il “nostro” Apollinare era un suddiacono che viveva a Tergeste nei primi secoli dell’era cristiana [4] . Egli si prendeva cura di un anziano presbitero di nome Martino cui procurava di che nutrirsi, posto che i cristiani, per scampare alle persecuzioni, si nascondevano nei boschi e nelle grotte attorno alla città. Apollinare iniziò ad acquistare una certa notorietà in seno alla comunità cristiana attratta dai poteri taumaturgici del suddiacono. Questi infatti, tracciando con la sua mano il segno di croce, aveva ridato la vista ai ciechi e ridonato la salute ad ammalati. Furono proprio queste circostanze a destare l’attenzione del Preside Licinio che fece convocare Apollinare al suo cospetto. Qui gli fu intimato di offrire incenso ai falsi dei, Apollinare rifiutò professando in modo risoluto e deciso la sua fede in Cristo. I suoi aguzzini risolsero allora di spogliarlo e porlo su una graticola sotto la quale ardeva il fuoco. Per recargli ulteriore tormento, quattro soldati lo percuotevano con mazze nerborute. Apollinare, pronunziata un’orazione, fece con la sua mano un segno di croce ad indirizzo del fuoco che subito si spense. Subito si levò in piedi incolume, tra la meraviglia e lo stupore dei presenti. Licinio, adiratosi, sospettando che il ministro della casa del Signore ricorresse ad arti magiche, diede ordine che gli fosse mozzata la mano destra, proprio quella mano con la quale Apollinare tracciava il segno vivificante della nostra redenzione ed operava prodigi. Ma neanche questa orribile mutilazione piego la volontà del suddiacono. Innanzi al rifiuto di abiurare, il Preside lo condanno a morte mediante decapitazione. L’esecuzione avvenne fuori le mura cittadine, alcuni devoti concittadini, fratelli nella fede, ne raccolsero le spoglie dandone degna sepoltura. 

I pochi cenni biografici su Apollinare e il più minuzioso racconto dei tormenti inflittigli dai pagani, si evincono dalla sua Passio, un racconto che il Grégoire, avendolo analizzato sotto il profilo linguistico e morfologico, ritiene di collocare in una forbice temporale situabile tra non prima della fine del IV secolo e prima dell’inizio dell’XI [5]. Il racconto ha riscontro solo in un estremamente esiguo numero di testimoni manoscritti peraltro geograficamente circoscritti [6].

Il sacerdote Giuseppe Mainati riferisce che il 26 aprile del 1624 nella Cattedrale di San Giusto, fu rinvenuta un’arca contenente, assieme a lacerti di vestimenti consunti, il cranio di Sant’Apollinare e parte delle sue ossa. Lo stesso sacerdote – che ricoprì l’incarico di sacrista della nostra Cattedrale – ci attesta che vi era l’uso (evidentemente ancora nel primo ventennio dell’Ottocento quando egli scrive), di esporre l’arca del Santo sotto l’altare di San Nicolò il 6 dicembre, giorno della sua festa [7].


Sant'Apollinare raffigurato nell'Opera
di Giuseppe Mainati 

Monsignor Giusto Buttignoni, oltre a ricordare la ricognizione precedente, che era avvenuta essendo vescovo di Trieste Rinaldo Scarlicchio, riporta la notizia di un’altra compiuta nel 1929 dal vescovo Luigi Fogar, cui il Buttignoni ebbe a presenziare assieme al Padre Guardiano del Convento dei Cappuccini. Con l’occasione le reliquie furono poste in una nuova urna, ispirata allo stile di quella di San Sebaldo di Norimberga, realizzata dall’argentiere goriziano Lipizer [8].

È ancora monsignor Buttignoni a ricordare, nell’anno 1930 quella che egli stesso definisce l’«apoteosi del Martire» culminata con una celebrazione triduana a ridosso del dies natalis di Sant’Apollinare ed una solenne traslazione di una reliquia insigne dello stesso, mossa dalla Cattedrale verso la chiesa dei Cappuccini [9].

Pala di Sant'Apollinare nell'omonima chiesa
di Trieste. (Antonio Guardassoni, 1819-1888)
Immagine dal forum "atrieste" g.c.

Per quanto attiene la presenza di Sant’Apollinare Martire nei testi dei propria diocesani, possiamo rilevare uno spartiacque rappresentato dalle riforme di papa San Pio X. Come detto la festa del santo suddiacono tergestino è il 6 dicembre, data che il Calendario Universale riserva a San Nicola (rito duplex). Avveniva dunque che in Cattedrale si celebrava (rito duplex majus) la festa di Sant’Apollinare, annoverato tra i patroni secondari, il 6 dicembre, facendosi reposizione della festa di San Nicola al 9 dicembre. Nel resto della diocesi si riscontrava la situazione speculare: San Nicola il 6 dicembre e Sant’Apollinare il 9 [10]. Con le riforme di San Pio X, si aprì la possibilità di commemorare la festa del calendario universale in quello locale: le feste infatti di rito duplex, come nel nostro caso, ma anche di rito semiduplex, per le quali si verifica occorrenza, non dovevano più essere riposte alla prima data utile ma potevano essere commemorate [11]. Fu durante l’episcopato di monsignor A. Karlin che fu redatto il Proprium Officiorum diocesano ad mentem della riforma di San Pio X: qui, per l’appunto, troviamo Sant’Apollinare celebrato il giorno 6 dicembre in tutta la diocesi e San Nicola commemorato [12]. Negli anni Sessanta del Novecento Sant’Apollinare fu espunto dai propria [13], il canonico monsignor Vittorio Cian fa notare che è proprio il nome di Sant’Apollinare a mancare tra i tradizionali santi diocesani. Il suo inserimento fu osteggiato dalla Congregazione proprio perché si riteneva trattarsi dello “sdoppiamento” dell’omonimo ravennate (che fu vescovo, mentre il “nostro” suddiacono…) [14]. È peraltro ancora lo stesso Autore a riferire che «Mons. Santin [allora vescovo di Trieste] mi confidò che ebbe a lottare non poco con P. Fruttaz alla Congregazione per il Culto per l’eccessiva severità critica adottata in quel momento verso le tradizioni dei santi locali, del resto smentita, come nell’esempio del rinvenimento della sepoltura dei santi aquileiesi Canzio, Canziano e Canzianilla, dati per inventati secondo certi critici. Secondo quei criteri ben poco si sarebbe conservato del calendario tradizionale della Chiesa Tergestina.» [15].

Anche in vista della riformulazione dei propria diocesani, negli anni Ottanta dello scorso secolo si decise di procedere alla ricognizione delle reliquie dei martiri della Chiesa triestina. È ancora monsignor Cian a riportare l’autentica compilata per l’occasione (31 agosto 1986): per quanto attiene i resti ossei, si è potuto determinare che la maggior parte di essi è riconducibile ad un individuo di sesso maschile e che sono compatibili con le reliquie custodite dai Cappuccini, un’altra parte di ossa appartengono ad un individuo di sesso femminile, mentre un’ultima parte è di frammenti ossei di origine animale [16]. Nel testo dell’autentica, a firma del vescovo monsignor L. Bellomi, si legge: «Non potendosi con certezza individuare i resti dell’eventuale Apollinare, martire triestino, si decide di non insistere per l’inserimento nel calendario diocesano e quindi di non rinnovarne il culto.»[17].

Nei propria rinnovati si fa menzione di Sant’Apollinare nella Memoria dei Santi Protomartiri della Chiesa Tergestina, qui fissata al 7 giugno [18]. Nella data del suo “dies natalis” è celebrato solo nella chiesa di Montuzza a lui intitolata come si evince dal calendario provinciale dei frati cappuccini [19].

Absidiola di Sant'Apollinare
(Cattedrale di San Giusto, Trieste)

Sant'Apollinare
(Passionario della badessa E. Bonomo, XVII sec.)

Per quanto attiene l’iconografia, la più antica si trova nell’absidiola della navata all’estrema destra della Cattedrale, laddove, pur in condizioni deteriorate, si possono vedere degli affreschi romanici con episodi della vita del Santo e lo si ritrova anche nel manoscritto seicentesco della badessa Eufrasia Bonomo [20]. Nella chiesa dei Cappuccini è rappresentato sulla pala dell’altare maggiore opera del bolognese Alessandro Guardassoni (1819-1888) [21]. Qui il Santo, rivestito della tunicella in allusione al suo grado suddiaconale, è raffigurato nella gloria, sostenuto da una corona di angeli nell’atto di pregare per la sua città che ab immemorabili lo invoca tra i suoi patroni.

Sancte Apollinaris, ora pro nobis!

Francesco G. Tolloi

francesco.tolloi@gmail.com



Note:

[1] Mi riferisco qui a Carlo V e la sua discendenza (c.d. “carlisti”), inumati presso la cappella di San Carlo Borromeo della Cattedrale triestina.

[2] Per cenni succinti sulla presenza cappuccina a Trieste, rimando a: L. Parentin, Il francescanesimo a Trieste e in Istria nel corso dei secoli, Trieste, Comitato triestino per l’ottavo centenario della nascita di San Francesco, 1982, pagg. 39-40.

[3] Nella voce dedicata a Sant’Apollinare della Bibliotheca Sanctorum, Filippo Caraffa, poggiando il suo assunto sul Lanzoni e citandolo, riferisce che le relazioni tra le sponde dell’Adriatico portarono anche allo scambio di reliquie di Santi e all’adozione conseguente del culto di essi che alle volte ne trasformarono la figura. (Cfr. F. Caraffa, Apollinare, in Bibliotheca Sanctorum, Roma, Istituto Giovanni XXIII nella Pontificia Università Lateranense 1969, vol. III, col. 249.).

[4] Ho ritenuto qui utilizzare un’indicazione con termini temporali volutamente ampi se non vaghi. Un tanto perché, nei testi che ho avuto modo di consultare non danno un’indicazione univoca. Riporto succintamente qualche esempio. Il testo della Passio riportata dal Kandler (P. Kandler, Pel fausto ingresso di Monsignore Illustrissimo e Reverendissimo D. Bartolomeo Legat Vescovo di Trieste e Capodistria, Trieste, Papsch, 1847, s.p.) esordisce con un’indicazione temporale di questo tipo: «Temporibus Antonini Imperatoris». Per il Kandler il martirio avvenne nel 151, ossia durante l’imperio appunto di Antonino Pio, figlio d’adozione di Adriano e primo della dinastia degli Antonini. Il benedettino Réginald Grégoire colloca il dies natalis del nostro suddiacono sotto Antonino Caracalla regnante tra 211 e 217 (R. Grégoire, Le passioni degli antichi martiri di Trieste, in n AA. VV. La Tradizione Martiriale Tergestina Storia, culto, arte (a cura di V. Cian e G. Cuscito), Trieste, Edizioni Vita Nuova, 1992, pagg. 97 e 104). Gabriella Brumat Dellasorte, che pure indica in bibliografia l’Opera con il saggio del padre Grégoire, colloca il martirio nel 142, dunque ancora durante l’imperio del citato Antonino Pio, il successore di Adriano (cfr. G. Brumat Dellasorte, Apollinare, in AA. VV. Santi e Martiri del Friuli Venezia Giulia (a cura di W. Arzaretti), Padova, Messaggero, 201, pagg. 80-81.).

[5] Cfr. R. Grégoire, Le passioni degli antichi martiri di Trieste, op. cit., pag. 104.

[6] Cfr. P. Chiesa – E. Colombi (a cura di) Lista sommaria dei manoscritti delle passiones dei martiri aquileiesi e tergestini, in San Giusto e la Tradizione Martiriale Tergestina, a cura di G. Cuscito, Trieste, Editreg, 2005, pag.70

[7] Cfr. G. Mainati, Vita e Martirio del glorioso San Giusto e de’ Santi Servolo, Sergio, Lazzaro, Apollinare, Primo, Marco, Giassone e Celiano, Eufemia e Tecla sorelle, Giustina e Zenone, Venezia, Picotti, 1816, pag. 75

[8] Cfr. G. Buttignoni, S. Giusto e gli altri Martiri triestini, Trieste, Smolars, 19482, pagg. 59 e ss.

[9] Ivi, pag. 62 e s.

[10] Cfr. Kalendarium Perpetuum in Proprium Officiorum in usum Ecclesiarum Unitarum Dioeceson Tergestinae et Justinopolitanae, Ratisbonae – Romae – Neo Eboraci, Pustet, 1900, pag. 14*. Tale proprium dell’Ufficio – edito durante l’episcopato di monsignor A. M. Sterk - è l’ultima edizione in vigore prima della Bolla “Divino Afflatu” di San Pio X. Lo status quo descritto si ritrova anche nelle edizioni precedenti.

[11] Cfr. Additiones et Variationes in Rubricis Breviarii, in Breviarium Romanum, editio typica, Romae, Polyglottis Vaticanis, 1915, Tit. V, pagg. lxvj e s.

[12] Cfr. Proprium Officiorum pro unitis Dioecesibus Tergestina et Justinopolitana, pars hiemalis, Ratisbonae et Romae, Pustet, 1915, pagg. 3 e ss.

[13] Cfr. Proprium Officiorum pro Dioecesi Tergestina, Taurini, Marietti, 1964 e Proprium Missarum Dioecesi Tergestinae, Taurini, Marietti, 1964. Si tratta dei propria “ad normam et mentem” del nuovo Codice delle Rubriche, promulgati da mons. A. Santin.

[14] V. Cian, Il culto liturgico dei Santi della tradizione tergestina, in AA. VV. La Tradizione Martiriale Tergestina Storia, culto, arte (a cura di V. Cian e G. Cuscito), Trieste, Edizioni Vita Nuova, 1992, pag. 194.

[15] Ivi, pag. 246, nt. 16.

[16] Cfr V. Cian, Il culto dei nostri martiri: documenti e autentiche, in AA. VV. La Tradizione Martiriale Tergestina Storia, culto, arte (a cura di V. Cian e G. Cuscito), op. cit., pagg. 26 e s.

[17] Ivi, pag. 27.

[18] Cfr. Diocesi di Trieste, Liturgia delle Ore, Città del Vaticano, Poliglotta Vaticana, 1989, pag. 23. Qui Sant’Apollinare è menzionato nella nota introduttiva alla celebrazione della Memoria assieme ai santi: Giasone, Celiano, Primo, Zenone e Giustina. I testi furono promulgati durante l’episcopato di monsignor L. Bellomi.

[19] Cfr. Guida liturgica per i Frati Cappuccini delle Province veneta e lombarda e per le monache Clarisse Cappuccine, Venezia, Curia Prov. Ofm Capp., 2020, pag. 8. Da essa si evince che la ricorrenza di Sant’Apollinare è celebrata presso la chiesa dei Cappuccini di Trieste di cui è titolare con il grado di solennità.

[20] Cfr. G. Brumat Dellasorte, Apollinare, in AA. VV. Santi e Martiri del Friuli Venezia Giulia, op.cit., pag. 81.

[21] Cfr. G. Cuscito, Le chiese di Trieste, Trieste, Italo Svevo, 1992, pag. 209.

Lezioni del secondo Notturno

[lectio iv] Antoníno Imperatóre, cum prǽsidum in Christiános ódium fúreret, et pleríque, dum persecutiónis fervébat æstus, in móntibus  et cavérnis abscónderent, Apollináris, ecclésiæ tergestínæ subdiáconus, cum Martíno sacerdóte haud procul Tergésto delitéscens, ei victum clam suppeditábat. Mórtuo autem Martíno, cum Apollináris signo crucis cæcos illumináret et infírmis sanitátem largirétur ac pópulos miraculórum fama motus ad eum concúrreret, ipsum Licínus præses accersítum idólis thus adolére jubet, et nisi morem gerat, gravíssima ei torménta minátur.

Sotto l’imperatore Antonino, allorchè l’odio dei magistrati incrudeliva contro i cristani, e la maggior parte, al culmine delle persecuzioni, si nascondevano nei monti e in caverne, Apollinare, suddiacono della Chiesa di Trieste, nascondendosi con il sacerdote Martino non lontano da Trieste e si procurava di nasconsto il vitto. Dopo la morte di Martino, dal momento che Apollinare con un segno della croce aveva ridonato la vista a ciechi e la salute ai malati, e il popolo mosso dalla sua fama accorreva a lui, il Magistrato Licinio ordina che gli venga davanti e bruci incenso agli idoli, e se non si fosse adeguato gli minacciava gravissimi tormenti.

[lectio v] Sed fortis Christi miles, cum jussa prǽsidis éxequi constantíssime recusáret et Christum Deum intrépide confiterétur, nudus in cratícula exténsus, SUBjécto igne torquétur, interímque nodósis fústibus a quátuor satellítibus diríssime cǽditur. Verum, cum facta oratióne et flammis signo crucis mirabíliter exstínctis, Apollináris ex cratícula incólumis consurrexísset, et qui intérerant, magnum esse Christianórum Deum, qui fidéles suos tam poténter deféndit, exclamárent; Licínius, ómnia mágicæ artis præstígiis attríbuens, Confessóri Christi manum déxteram, qua crucis signum formáverat, amputári jubet.

Il coraggioso soldato di Cristo, però, dal momento che con persistenza si rifiutava di eseguire gli ordini del magistrato e con coraggio confesava Cristo come Dio, disteso nudo su una grata con del fuoco sotto viene torturato mentre quattro militari lo colpiscono fortissimaemnte con mazze nodose. Tuttavia, dopo che con una preghiera e con un segno di croce le fiamme si erano spente miracolosamente, Apollinare si rialzò incolume dalla graticola e che i presenti riconobbero che il Dio dei Cristani doveva essere grande, se difendeva così potentemente i suoi fedeli; Licinio, attribuento il tutto a trucchi di arte magica, ordina di amputare la mano destra del Martire, con la quale aveva tracciato il segno della croce.

[lectio vi] Postrémo, cum præses invícti Confessóris constántiam se frángere posse desperáret, pronuntiáta mortis senténtia, eum extra urbem cápite plecti ímperat. Octávo ígitur Idus Decémbris Apollináris prope Tergéstum occísus est, ejúsque corpus a piis fidélibus prope civitátis moénia honorífice cónditum. Ipse vero sanctus martyr inter patrónos civitátis Tergestínæ, ex antíqua ad hæc usque témpora traditióne, veneratiónem habet.

Alla fine, quando il magistrato si era convino che non sarebbe stato capace di piegare la costanza dell’invitto martire, pronunciata la sentenza di morte, dà l’ordine di decapitarlo fuori dalla citta.  Apollinare fu ucciso il 6 dicembre vicino a Trieste, e il suo corpo  fu sepolto con onore da pii fedeli vicino alle mura della città. Il Santo Martire, poi, è venerato dai tempi anctichi fino ai nostri giorni tra i patroni della città.

 

Da: Proprium Officiorum pro unitis Dioecesibus Tergestina et Justinopolitana, Pars Hiemalis, Ratisbonae et Romae, Pustet, 1918, pp. 3 e ss. (vescovo A. Karlin)

mercoledì 11 novembre 2020

Celebrazioni a Trieste (Chiesa dei Santi Andrea e Rita, novembre 2020)


Un inizio novembre all’insegna del rito romano nella sua forma tradizionale quello della parrocchia triestina dei Santi Andrea e Rita. Domenica 1 novembre, nel pomeriggio, in una chiesa gremita di fedeli – pur nei limiti attualmente vigenti dai protocolli – l’amministratore parrocchiale don Samuele Cecotti ha celebrato la santa Messa della festa di Ognissanti. Il giorno 2 novembre, Commemorazione di tutti i fedeli Defunti, don Daniele Vascotto ha celebrato la santa Messa cantata cui ha fatto seguito l’Assoluzione al tumulo eretto nella navata della chiesa. Il giorno successivo la città di Trieste ha festeggiato il suo Patrono San Giusto, martirizzato nell’età dioclezianea nelle acque del golfo, presso la parrocchiale don Samuele Cecotti ha celebrato la messa tratta dal proprium diocesano al termine della quale ha impartito la benedizione con la reliquia del Martire. Le iniziative, in collaborazione con la Parrocchia, sono state promosse dalla sinergia tra l’Associazione Culturale “Santi Martiri Tergestini” e il Circolo Culturale “Guido Mattiussi S.J.”, due sodalizi costituitisi a Trieste durante il corso dell’anno. A partire da questa domenica (15 novembre), alle ore 16,30, presso la chiesa parrocchiale dei Santi Andrea e Rita, ogni terza domenica del mese sarà celebrata la Messa secondo l’antico rito romano.

Celebrazione di Ognissanti 2020



Celebrazione del giorno dei Morti 2020

Celebrazione di San Giusto 2020

lunedì 2 novembre 2020

San Giusto martire - 2 novembre -

In prossimità della festa di San Giusto, patrono principale della Città e Diocesi di Trieste, riprendo un mio contributo pubblicato dal settimanale diocesano "Vita Nuova" (le cui pubblicazioni sono cessate durante l'estate 2020) lo scorso 1 novembre. Aggiungo, come di consueto, le lezioni del secondo Notturno con traduzione e mi riservo ulteriori integrazioni.

Viva San Giusto nostro Patrono!

F.G.T.

 

Dettaglio di San Giusto
(campanile della Cattedrale di Trieste)

Era in corso l’ultima ma più sistematica e feroce delle persecuzioni che segnarono i primi secoli del Cristianesimo, quella inaugurata dall’imperatore Diocleziano, quando Giusto (“Justus opere et nomine” come dice il suo Inno), il 2 novembre del 303, saldo nella salvifica fede in Cristo fu messo a morte per annegamento nelle acque del nostro golfo.  L’esecuzione capitale – stando al racconto tramandatoci dalla sua Passio – era seguita a un processo, condotto dal governatore di Trieste Manacio, il cui esito era scontato stante il risoluto rifiuto di Giusto di rinnegare il Signore e, tantomeno, di offrire sacrifici agli idoli dei pagani. Fu così che Manacio pronunciò la sentenza di morte, dando ordine ai soldati affinché lo annegassero. Giusto si vide avvolgere mani e piedi con una robusta fune cui erano fissate pesanti zavorre: i romani volevano che il corpo del martire non riemergesse dalle acque per scongiurare che, ai suoi resti mortali, i cristiani rivolgessero la loro devozione e venerazione. 

Giusto affrontò il cammino verso il mare con serenità prendendo congedo dai fratelli nella fede che lo incontravano lungo la via. Caricato su una barca, una volta al largo, gli aguzzini lo gettarono nelle acque, certi che il corpo – così caricato – sarebbe rimasto sul fondale. Ma poco prima che il sole tramontasse all’orizzonte del nostro golfo, i lacci si sciolsero così che il corpo di Giusto fu sospinto dalla corrente sino ad una spiaggia, presumibilmente nella zona della Sacchetta. Quella notte il sacerdote Sebastiano ebbe una visione: Giusto, indicandogli il luogo dove erano giunte le sue spoglie, lo esortò a recuperarle e seppellirle in modo che i pagani non le profanassero. 

Alla visione del presbitero Sebastiano, va ricordato, era associata una seconda festa in onore del nostro Patrono principale che ricorreva il 27 giugno “In Apparitione S. Justi”, che fu espunta dai Propria diocesani all’epoca di san Pio X (ultimo a testimoniarcela, all’epoca di mons. Sterck, è il Proprium officiorum, Pars aestiva, Ratisbonae, Pustet, 1900, p. 28*). Come si è visto la nascita al cielo di san Giusto si ritiene essere il 2 novembre come riportato anche dal Martyrologium romanum, ma la sua festa si celebra il 3 ma è così da poco più di un secolo. 

Circa il motivo dello spostamento va precisato che è legato a motivi intrinseci alle norme liturgiche: ciò va detto perché periodicamente capita di sentire opinioni che lo vorrebbero legato ad un fattore estrinseco, ovverosia l’ingresso delle truppe italiane nel novembre del 1918 e l’annessione al Regno d’Italia della nostra città. A chiarirci che tale opinione è destituita del men che minimo fondamento basta porre attenzione al Directorium Liturgicum per l’anno 1918, stampato l’anno precedente (Trieste, F.lli Mosettig, 1917); esso era il calendario liturgico, redatto annualmente, laddove giorno per giorno – tenuto conto del calendario universale e di quello locale – si dava il modo di ordinare l’Ufficio Divino e l’indicazione di che Messa celebrare. Il 3 novembre di quell’anno cadeva di domenica: a Trieste, nel suo territorio e nella parrocchia di Castel San Quirico/Sočerga (diocesi di Capodistria) si celebrava san Giusto con il grado di Doppio di I classe con Ottava comune (p. 123 e s.). Puntualmente, il giorno precedente a Trieste, come ovunque, si era celebrata la Commemorazione dei Fedeli Defunti. Dunque la “riposizione” della festa nel 1918 era già avvenuta. Ma quale era stato il motivo, come si è detto intrinseco alle leggi liturgiche, che aveva cagionato questo spostamento? Esso è da individuarsi nel rapporto, detto di “occorrenza perpetua” tra la festa del nostro Patrono e la Commemorazione dei Defunti. Quest’ultima, negli anni precedenti, aveva subito una serie di modifiche: fino all’epoca di san Pio X, il 2 novembre era il primo giorno dell’Ottava di Ognissanti e di questa, secondo il calendario universale, si diceva l’ufficio cui – come in altre occasioni – si aggiungeva l’Ufficio dei Morti che non possedeva che le ore canoniche del Vespero, Mattutino e Lodi. Nell’occasione, l’ufficio dei Morti era celebrato con rito doppio e con il Mattutino composto da tre notturni (cfr. Breviarium romanum, Tornaci, Desclée, 1884, Pars autumnalis, p. 481 e s.). Con la riforma di san Pio X (bolla “Divino afflatu”, 1911), alla Commemorazione dei Defunti – pur mantenendo il rito Duplex – si modificano le lezioni del secondo notturno e terzo Notturno e si aggiungono le “Ore minori” (cfr. Breviarium romanum, Romae, Polyglottis Vaticanis, 1915, pp. 1411 e ss.). In sostanza si mise da parte l’usuale Ufficio della Feria dell’Ottava di Ognissanti e lo si sostituì con un Ufficio completo di cui parte è di nuova formulazione. Anche davanti al sopravvenuto “status quo”, almeno per un po’, Trieste mantenne la festa del Patrono principale al 2 novembre: ad attestarcelo è il Proprium officiorum approvato il 31 marzo del 1915 da mons. Andrej Karlin (Pars autumnalis, Ratisbonae, Pustet, pp. 7 * e ss.), di conseguenza la Commemorazione dei Defunti passava al giorno successivo. Lo stesso anno papa Benedetto XV con la Costituzione Apostolica “Incruentum Altaris Sacrificium” (10 agosto 1915), volle estendere un privilegio già concesso dal suo predecessore Benedetto XIV ai regni ispanici e lusitani (1748) ossia quello di dare a ciascun sacerdote la possibilità di celebrare, il giorno dei morti, tre Messe. Il motivo era dato soprattutto dalla guerra che stava insanguinando l’Europa, quell’immane conflitto che il papa, nella sua nitida lungimiranza, ebbe a definire “inutile strage”. È dinnanzi a questa fisionomia assunta dalla Commemorazione dei Defunti che la festa di san Giusto fu riposta al 3 novembre adeguandosi alla prassi già vigente fuori Trieste, nei luoghi laddove egli figurava nei calendari propri, di celebrarlo in tale giorno (es. a Gorizia). Esisteva però, fino all’epoca a noi più vicina di san Paolo VI, la possibilità che san Giusto fosse celebrato il giorno 2 novembre. Ciò avveniva allorquando il 2 novembre cadeva di domenica: la Commemorazione dei Defunti passava, infatti, il giorno successivo e, secondo il calendario universale si celebrava la domenica, che a Trieste veniva solamente commemorata ( per “occorrenza”) per lasciare posto ai testi del santo Patrono.

Francesco G. Tolloi

francesco.tolloi@gmail.com


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San Giusto regge il modello della Città di Trieste
(Cattedrale di Trieste, dettaglio da affresco del tardo XIV sec.)


Lezioni del secondo Notturno

[Lectio iv] Justus ex christiánis paréntibus Tergéste, Aquiléjæ provínciæ civitáte, natus sub Diocletiáno et Maximiáno princípibus, fervénti in Deum caritáte, præcípua in páuperes misericórdia, omníque génere virtútum flóruit. A Manátio præfécto, qui ab eísdem princípibus mandátum accéperat, occidéndi quoscúmque falsos deos venerári renuéntes, accersítus, se christiánam religiónem profíteri, et Christum Jesum verum Deum et hóminem venerári, inanésque géntium deos detestári líbere respóndit.

 

Giusto, nato sotto gli imperatori Diocleziano e Massimiano da genitori cristiani a Trieste, città della provincia di Aquileia, si distinse per una carità fervente verso Dio, una misericordia unica verso i poveri, e per ogni genere di virtù. Il prefetto Manazio, che aveva ricevuto il mandato dai due imperatori di uccidere chiunque avesse rifiutato di venerare i falsi dei, lo chiamò ed egli, con libertà, rispose di confessare la religione cristiana, e di venerare Cristo Gesù come vero Dio e vero uomo e di disprezzare gli idoli morti dei pagani.

[Lectio v] Cumque præses nec pollicitatiónibus, nec nimis Justum a sancto suo propósito dimovére valuísset, in obscúrum tetrúmque cárcerem detrúdi mandávit; ubi assíduis précibus per totam noctem Deum deprecátus est, ut ad palmam martýrii sua summa miseratióne, eum perdúcere dignarétur. Mane sequénti e cárcere edúctus Manátio sístitur, in eodémque propósito venerándi Christum Dóminum viríliter pérmanens, ac falsis diis sacrificáre recúsans, denudári ac diris flagéllis cædi jussus est.

 

Dal momento che il magistrato non potè smuovere Giusto dal suo santo proposito né con promesse né con minacce, ordinò di gettarlo in un oscuro carcere; ivi supplicò Dio con assidue preghiere per tutta la notte che si degnasse di condurlo per la Sua somma misericordia alla palma del martirio. Il mattino seguente, ricondotto dal carcere si trovò di fronte a Manazio, rimanendo virilmente fermo nel medesimo proposito di venerare Cristo Signore e nel rifiuto  di sacrificare ai falsi dei, si diede l’ordine di denudarlo e frustarlo.

[Lectio vi] At cum non solum fórtiter, verum étiam álacri ánimo eum præses sustinére vim tormentórum prospíceret, ira commótus, jubet et grávibus plumbi pondéribus ad ejus collum et manus alligátis, in mare demergerétur. Quod cum Justus audívit, vale dicto frátribus, suscípiens ípsemet póndera, quibus premebátur, festínans quasi ad épulas itúrus, ad litus progréditur, ibíque parva in scapha impósitus, et in altum delátus, atque in profúndum projéctus, preces Deo fundens, eíque grátias agens, martýrium consummávit quarto Nonas Novémbris. Fertur étiam, Sanctum eadem nocte cuidam presbýtero nómine Sebastiáno apparuísse, eíque imperásse, ut ejus corpus ad litus dirúptis vínculis jam appúlsum sepelíret, idque honorífice factum fuísse, multis conveniéntibus christiánis.

 

E quando il magistrato lo vide sopportare la durezza del supplizio non solo con forza ma quasi di buon animo, mosso dall’ira, ordinò che fosse annegato nel mare dopo avergli legato al collo e alle mani di pesi di piombo. Quando Giusto lo seppe, quasi quale un saluto augurale per i fratelli, prendendo egli stesso in mano i pesi dai quali era imprigionato, con passo veloce, quasi andasse a un pranzo, si reco alla riva, e li, entrato in una piccola barca, portato al largo, fu gettato nel mare, mentre pregava Dio e Gli rendeva grazie, consumando il martirio il quarto giorno prima delle none di novembre. Si narra anche che il Santo, la medesima notte, fosse apparso a un presbitero di nome Sebastiano e che gli ordinasse di seppellire il suo corpo che, liberato dalle catene, già era stato sospinto alla riva, e che ciò venisse fatto con grandi onori alla presenza di molti cristiani.

Da: Proprium Officiorum pro unitis Dioecesibus Tergestina et Justinopolitana, Pars Autumnalis, Ratisbonae et Romae, Pustet, 1918, pp. 8 e s. (vescovo A. Karlin)


martedì 6 ottobre 2020

San Sergio martire - 7 ottobre -

Nel già dichiarato intento di allestire in un futuro, spero imminente, una sezione dedicata al santorale tergestino, propongo ai Lettori un mio articolo già pubblicato sul settimanale diocesano di Trieste "Vita Nuova" con il quale ho  collaborato fino alla cessazione delle pubblicazioni (estate scorsa). Inserisco - come già fatto per altri Santi dei Propria triestini - i testi delle lezioni del secondo Notturno con la relativa traduzione e una breve nota sullo stemma storico della città di Trieste che vede tra i suoi elementi principali proprio l'alabarda del Martire

San Sergio interceda per la mia città di Trieste che lo venera come compatrono!

Francesco Tolloi


Non fosse altro per l’alabarda, simbolo della città di Trieste caro ai suoi abitanti, San Sergio martire, patrono secondario, è uno tra i santi del nostro santorale, per il motivo appena esposto, ancora abbastanza noto fra i triestini. Proprio il suo emblema caratteristico nasce sulla scorta di una pia tradizione, una sorta di appendice, aggiunta alla sua Passio che – come in genere si può dire di analoga letteratura, specie di soggetti locali -  difficilmente può essere annoverata tra le fonti storiche, come ebbe ad evidenziare Giuseppe Cuscito; ma, come lo stesso puntualmente osserva, le passiones: «sono testimonianze importanti della storia della pietà e del culto locale» (Martiri dell’Antica Chiesa di Trieste, in Santi e Martiri nel Friuli e nella Venezia Giulia, a cura di W. Arzaretti, Padova, Messaggero, 2001, p. 71.). 

Ciò premesso giova richiamare ciò che ci è tradito dal racconto della sua Passione. Sergio sarebbe stato un militare romano nato in seno ad una famiglia nobile che, annoverato nel rango degli ufficiali, ebbe a trasferirsi, a principio della sua carriera, nella nostra città ove – essendo divenuto tribuno militare – era presto diventato un punto di riferimento in seno alla locale comunità cristiana. Il suo talento militare dovette portarlo però lontano, tanto che lo ritroviamo in Siria impegnato nel servizio in armi a Roma che si trovava coinvolta nella lunga lotta con i persiani. Fu proprio lì che Sergio, assieme al correligionario Bacco suo compagno d’armi, fu denunciato per la professione della sua Fede. 


San Sergio
dettaglio della tela di B. Carpaccio
1540, Cattedrale di San Giusto (Trieste)

San Sergio dall'Opera del Mainati
sui Santi Tergestini (XIX secolo)

I due furono condannati e compirono il loro martirio a breve distanza l’uno dall’altro. Bacco, presso la fortezza di Barbalisso, ebbe a perire durante una durissima flagellazione; nella volontà di disperdere il suo corpo, i persecutori, intesero gettarlo alle fiere affinché ne divorassero le carni. Tuttavia alcuni cristiani ebbero a sottrarre il suo corpo, complice l’oscurità della notte, per inumarlo in una grotta che si apriva a poca distanza. Sergio fu condannato a calzare dei sandali crudelmente provvisti di chiodi e con essi fu costretto a camminare tra le fortezze di Saura e Tetrapirgio. Giunse infine a Rosapha ove gli fu data la morte mediante decapitazione. E qui si innesta quell’appendice alla Passio cui si faceva poc’anzi riferimento. San Sergio, nella volontà di significare agli affezionati amici cristiani da lui lasciati a Trieste che il Signore lo aveva fatto degno del martirio, avrebbe voluto dare un segno tangibile: la sua alabarda precipitò dal cielo nella nostra città. Essa è custodita presso il tesoro della Cattedrale di S. Giusto, montata su un piedistallo gotico. Questo manufatto metallico - che resiste sia all’azione della ruggine e che ai tentativi di doratura – divenne, secoli dopo, simbolo stesso della città di Trieste. La passione di Sergio e Bacco avvenne durante le persecuzioni contro i cristiani indette da Massimino Daia, il Martirologio assegna il suo dies natalis il 7 ottobre. 

L'alabarda di San Sergio
dettaglio del tesoro della Cattedrale di San Giusto (Trieste)

In effetti fino all’inizio del Novecento, segnatamente sino alle riforme promosse da San Pio X, San Sergio veniva festeggiato a Trieste il 7 ottobre, ultimo Proprium Officiorum diocesano a riportarlo in quella data è quello del vescovo Sterk (Pars Autumnalis, Ratisbonae, Pustet, 1900, p. 15* e s.). La succitata riforma, tra i vari aspetti, mirava a portare a un giorno fisso le feste che si facevano cadere la domenica. È la casistica, tra le varie, della festa del Rosario che, spostata dalla prima domenica d’ottobre, fu fissata al giorno 7. San Sergio veniva dunque spostato al primo giorno utile ed esso – come attesta il Proprium Officiorum diocesano del vescovo Karlin (Pars Autumnalis, Ratisbonae, Pustet, 1915, p 5*), redatto secondo il principio appena enunciato – era l’11 ottobre. Tale situazione si mantenne sino al 1931, anno nel quale, essendo vescovo mons. Fogar, fu promulgato il Proprium Missarum della diocesi (Ratisbonae, Pustet, 1931). Ma proprio in quell’anno, Pio XI volle solennizzare il XV centenario del Concilio di Efeso che aveva definito solennemente che Maria è la Theotokos, la Madre di Dio: stabilì allora la festa della Maternità della Beata Vergine Maria fissata l’11 ottobre. La festa del patrono secondario fu portata al giorno successivo come si può vedere in ogni Ordo redatto per ciascun anno per le cure del calendarista diocesano. Ma anche questa soluzione non ebbe a durare molto. Nell’estate del 1964 mons. Santin promulgava i nuovi Propria, sia per la Messa che per l’Ufficio (entrambi stampati a Torino da Marietti) redatti ad mentem di quelle riforme promosse da Pio XII e portate avanti da San Giovanni XXIII. In essi la festa di San Sergio è stabilita all’8 ottobre e ciò ad oggi si è mantenuto con i testi rinnovati durante l’episcopato di mons. Bellomi (Poliglotta Vaticana, 1989).

Francesco G. Tolloi

francesco.tolloi@gmail.com


Lezioni del secondo Notturno

[Lectio IV] Sérgius, nóbili génere natus, milítiæ nómine dato, Tergésti tribúnum egísse et eam civitátem plúribus miráculis illustrásse fertur. A Maximiáno imperatóre ad pública solémnia sacrifícia citátus, non modo non compáruit, sed étiam deórum simulácra exsecrátus est et Christum magna ánimi constántia palam conféssus. A quo propósito cum, spreta imperatóris grátia, nec promíssis nec minis dimóveri posset, ómnibus notabilitátis et milítiæ insígnibus spoliátur, et férreis vínculis onústus per médiam urbem ad ludíbrium dúcitur, tetróque cárceri mancipátur.

 

Si narra che Sergio, nato da famiglia nobile, arruolatosi nell’esercito, abbia retto il posto di tribuno a trieste e illustrato quella città con molti miracoli. Richiesto dall’Imperatore Massimiano di sacrificare solennemente in pubblico, non solo non si presentò, ma anche biasimò gli idoli degli dei e con grande fortezza d’animo professò pubblicamente la sua fede in Cristo. Per la qual cosa, disprezzato il favore dell’imperatore, dal momento che non poteva essere convinto nè con promesse nè con minacce, spogliato da tutte le insegne di nobiltà e di grado militare, e carico di catene di ferro è condotto alla gogna attraverso la città e messo in una oscura cella

 

[Lectio V] Ad Antíochum, in Oriente ducem, Tyrum missus, ut ejus crudelitáte vel ad idolórum cultum reducerétur vel sævíssime necarétur, gravíssima in itínere incómmoda perpéssus est, cœlésti tamen visióne recreátus. Eo cum pervenisset, in obscúrum cárcerem detrúditur et multis pollicitatiónibus, ut Christo renúntians Maximiáni grátiam recuperáret, frustra tentátur. A Baccho sócio, qui paulo ante martýrium subíerat, sibi apparénte mire confortátus, cum se blandítiis et minis superiórem osténderet, jubénte Antíocho, cálcei ferráti, pungéntibus úndique clavis intérne instrúcti, pédibus ejus aptántur, et mánibus ad terga ligátis, ante ejus rhedam cúrrere cógitur.

 

Inviato a Tiro da Antioco, duce in oriente, affinchè per la sua crudeltà o ritornasse al culto degli idoli o fosse ucciso atrocemente, soffrì nel viaggio gravissime sofferenze, sostenuto, tuttavia da una visione celeste. Quando vi fu arrivato, fu gettato in una cella oscura e con molte promesse venne inutilmente tentato affinché  rinunziando Cristo recuperasse il favore di Massimiano. confortato dal compagno Bacco, che avendo subito poco prima il martirio, gli apparve miracolosamente, mostrandosi superiore alle blandizie e alle minacce, per ordine di Antioco, gli si misero ai piedi delle calzature di ferro con all’interno chiodi ovunque, e legategli le mani dietro alla schiena  lo si costrinse a correre davanti alla sua carrozza.

[Lectio VI] Crudéli martýrii génere constantíssime toleráto, Angeli apparitióne recreátus et santitáti rédditus, álios item cruciátus pari ánimi magnitúdine perpéssus, mortis tandem senténtiam lætus suscépit , et amputáto cápite et capesséndam martýrii palam migrávit Nonis Octóbris circa annum Christi tercentésimum tértium. Tergestíni hastam, qua Sérgius usus fuísse tráditur, magna veneratióne servant, eáque de causa hastæ insígni in civitátis stémmate utúntur; Sérgium autem inter Patrónos suos jam dudum retulérunt.

Sopportato con grandissima forza d’animo un simile  crudele martirio, confortato da un’apparizione d’angelo e tornato in salute, subì ancora altri supplizi con pari grandezza d’animo, e decapitato, migrò ad ottenere la palma del martirio, le none di ottobre, nell’anno di Cristo 303. I triestini conservano con grande venerazione la lancia che si dice fosse stata usata da Sergio, per la qual causa si ha l’insegna dell’alabarda nello stemma della città; già da tempo accolsero Sergio tra i loro patroni.

Da: Proprium Officiorum pro unitis Dioecesibus Tergestina et Justinopolitana, Pars Autumnalis, Ratisbonae et Romae, Pustet, 1918, pp. 5 e ss. (vescovo A. Karlin)

 


L'imperatore Federico III d'Asburgo, dopo l'infelice guerra sostenuta dalla città contro Venezia, concesse, il 22 febbraio 1464, al Comune di Trieste un nuovo stemma e una nuova bandiera.

 «Abbiamo quindi deliberato di accrescere li armeggi e le insegne pubbliche della città, colle armi e colle insegne della nostra Casa ducale in perpetuo onore della detta città e dei fedeli nostri cittadini, statuendo con ducale costituzione che la città ed il Comune di Trieste da oggi in poi portino la vittoriosa Aquila bicipite del Sacro Impero nella parte superiore dello scudo, coi suoi propri e naturali colori ; nella parte inferiore poi l'armeggio del nostro Ducato d'Austria coi suoi colori rosso di sopra e di sotto, bianco nel mezzo ad egual tripartizione di traverso; dalla base dello scudo s'alzi la tricipite lancia di S. Sergio martire protettore della città e del popolo, la quale lancia da tempi antichi servì di singolare armeggio alla città; un cuspide della lancia in linea retta giunga fino alla parte superiore dello scudo nel quale è l'Aquila ad ali tese; gli altri due cuspidi da un lato e dall'altro, nella fascia bianca sieno curvati a modo di falci ripiegati verso l'asta; con questa differenza che mentre negli antichi armeggi la lancia era di color ferreo naturale, da ora in poi sia di colore d'oro. Inoltre a sempre maggiore laude ed onore della detta città e dei cittadini, per grazia singolare concediamo che sovra lo scudo si collochi aurea corona in segno di virtù e di vittoria riportata contro i loro nemici, e di porre lo stemma così coronato in tutti i tempi e tutti i luoghi sulle porte, sulle torri, sulle mura, sul palazzo del Comune, sulle case private e pubbliche, come anche sulle bandiere, sui vessilli, sulle tende e padiglioni, sui sigilli maggiori e minori, ed in ogni cosa adatta ad armeggio, siccome armi ed insegne proprie e peculiari della città ecc. ecc. senza contraddizione e molestia od impedimento di Noi e dei Nostri, così dell'Impero che del Ducato d'Austria ecc., Ordinando a tutti e singoli i Principi così ecclesiastici che secolari, duchi, marchesi, conti, baroni ecc. ecc.»

(Raccolta delle leggi, ordinanze e regolamenti speciali per Trieste, Presidenza del Consiglio, Tipografia del Lloyd Austriaco, Trieste, 1861)