Era
anticamente buona ed utile regola identificare e denominare le domeniche
utilizzando le prime parole dell’Introito proprio del giorno. Tale uso è
rimasto ancora, perlomeno abbastanza diffuso, per quanto concerne la terza
domenica d’Avvento (Gaudete) e la
quarta domenica di Quaresima (Laetare),
circa la quale intendo qui soffermarmi. Il Missale
romanum indica la stazione alla Basilica della Santa Croce, la “sessoriana”.
Roma: Basilica di S. Croce in Gerusalemme (Sessoriana) |
Stando
all’opinione del beato Schuster, l’individuazione della Statio in tale basilica è da ricercarsi in un processo imitativo
della costumanza orientale; nella Chiesa Greca vi è infatti una domenica della
“Grande Quaresima” deputata in modo particolare a commemorare il vivificante
legno della Croce; in Occidente – seppure con uno spostamento temporale, visto
che il rito greco celebra tale mistero la terza domenica – si sarebbe scelta
questa domenica con conseguente ubicazione della Stazione alla Sessoriana in
considerazione dalla particolare importanza e preziosità delle reliquie della
Passione ivi convenientemente serbate ma un altro motivo è sicuramente il
riferimento chiaro dell’Introito, come vedremo, alla santa Gerusalemme di cui la
basilica romana è immagine. Sempre secondo il Beato, questa particolare solennità
che la Chiesa di Roma riserva e tributa alla quarta domenica di Quaresima,
potrebbe ricondursi all’antico caput jejunii – di matrice appunto
schiettamente romana – di tre settimane prima della Pasqua [1].
In
ogni caso, stante la configurazione della Quaresima, anche un approccio
superficiale e distratto potrebbe consentire di evincere con immediatezza le
caratteristiche di letizia e di gioia, non fosse altro per l’uso – sebbene
facoltativo - del colore rosaceo [2]
in luogo del viola e per il festoso incipit
dell’Introito le cui parole – mutuate dal profeta Isaia (66, 10-11) spronano a
sentimenti di tripudio: Gerusalemme, e per trasposizione la Chiesa, deve
rallegrarsi, deve saziarsi alle fonti della sua consolazione. All’invito di
Isaia fa degna eco il versetto del Salmo 121 (1): Laetatus sum in his quae dicta sunt mihi, in domum Domini ibimus.
Se
volessimo per un istante considerarare gli antichi rigori quadragesimali ancora
di più riusciremo a penetrare appieno nei sentimenti più autentici di questa
domenica che permette un ristoro al penitente, in un periodo ormai prossimo
alla contemplazione dei misteri principali della nostra redenzione e della
nostra fede. Letizia dunque, ma anche sprone a compiere gli ultimi sforzi, è
proprio in questo contesto -
sapientemente definito dai segni liturgici - mi pare di poter inquadrare
il singolare rito della benedizione della Rosa
d’oro, compiuta dai Pontefici, che sembrerebbe voler alludere a un premio
che nel contempo è un pegno a perseverare nelle virtù in considerazione delle
quali si è fatti oggetto di tale altissimo riconoscimento.
Rosa d'oro offerta da papa Pio VII all'Imperatrice d'Austria Carolina Augusta (Vienna, Kunsthistorisches Museum) |
La
costumanza di benedire la Rosa d’oro
affonda le sue radici nell’alto Medioevo; se ne ha testimonianza durante il
pontificato di papa Leone IX (+ 1054). Il Moroni [3]
ci precisa che – in realtà – all’epoca del menzionato pontefice essa fosse già
stata in vigore, nell’affermarlo egli poggia la sua opinione sul Catalano [4].
Mi
è parso utile ed interessante riportare la descrizione che ne fa
l’informatissimo Francesco Cancellieri nel XVIII secolo: proprio di questo
Autore il citato Moroni si dichiara più volte discepolo.
Prima
di lasciare lo spazio a questo illustre Testimone, desidero spendere qualche
parola – anche se poi il Cancellieri fornirà la sua descrizione - circa questo manufatto: la Rosa d’oro, se inizialmente era concepita solo e
semplicemente come un fiore, ha assunto nei secoli una certa quale ampiezza di
forme. Nella sua foggia originaria essa era un fiore fabbricato col metallo
prezioso, alle volte essa veniva colorata di rosso proprio per imitare il fiore.
Più tardi la colorazione di rosso fu accantonata, preferendo incastonare un
rubino. La forma più conosciuta parrebbe rimontare all’epoca successiva a Sisto
IV (+1484) [5]: essa si compone di una fronda fiorita, con
ramo spinoso e più boccioli, tutti realizzati in oro. Il fiore principale ha
una piccola coppa con relativo coperchio o una semplice lamina forata: in essa
– durante la benedizione – il Sommo Pontefice andrà a introdurre il balsamo ed
il muschio evocanti la fragranza del fiore preso a modello per il manufatto. La
realizzazione della Rosa d’oro è sempre stata affidata alle sapienti mani di
artisti di altissimo livello, tra i tanti esempi che potrei portare citare ricorderò
quella realizzata dal Bernini per conto di papa Alessandro VI [6].
Quanto
a questa mia trascrizione del Cancellieri, preciso che ho rispettato l’uso
delle maiuscole, abbreviazioni, corsivi e punteggiatura dell’Autore. Per
comodità ho ridotto le note a piè di pagina del testo originario, con
riferimenti bibliografici, inserendole nel corpo del testo e identificandole
con delle parentesi. Alla fine del testo mi soffermerò su alcuni aspetti che
ritengo utili.
____________________________
Capo VII.
Quarta Domenica di
Quaresima.
Cappella Papale e
Benedizione della Rosa d’oro. [7]
Questa
mattina canta Messa un Cardinal Prete.
L’Altare è ornato con otto Statue d’argento, se la Cappella si fa alla Sistina, e con tredici, se si fa alla Paolina al Quirinale. Tutto il S. Collegio viene in Sottana, Mozzetta,
e Mantelletta di color Rosa secca, come nella terza Domenica dell’Avvento,
colle Cappe violacee.
Il
Papa ancora viene in Piviale di color
rosaceo, consimile al colore del Trono, ed anche il Celebrante co’ sacri Ministri. Il Diacono porta la Dalmatica, e il Suddiacono la Tonicella, e non già le Pianete piegate. Poichè tutta
la Messa di questo giorno eccita all’allegrezza, interponendosi dalla Chiesa
questo giubilo spirituale, per ristorare i Fedeli dall’afflizione del digiuno.
Il
Papa unge col Balsamo del Perù, e col
muschio, e benedice la Rosa d’oro
nella stanza de’Paramenti, prima di venire in Cappella. Il Vaso col suo
coperchio, in cui si contiene il Balsamo, è di argento. L’altro che serve pel
muschio, è di avorio con piede, e coperchio simile, guarnito d’argento dorato,
con un dente, o lingua serpentina impietrita nella Coppa.
Un
picciolo Cucchiarino d’oro con uno Zaffiro in breccia incastrato nel mezzo
serve per pigliare il Muschio, ed un altro di argento dorato per prendere il
balsamo.
Varj
sono stati i disegni, che si sono usati in diversi tempi, de’ vasi, o de’ piedi
per questa Rosa. Presentemente ha un
piede triangolare col suo balaustro, sopra di cui sorge un ramo spinoso con
varie Rose, ed una in cima più grande, in cui v’ha una picciola Crate, o sia
Lamina forata, dove il Papa nella
benedizione pone il balsamo, e il Muschio. Tanto il piede, nelle cui tre facciate
v’è lo stemma del Papa, quanto il
Ramo, e le Rose, sono tutte d’oro.
Dopo
che la Rosa è stata benedetta vien portata in Cappella da un Chierico di Camera
in Cotta, e Rocchetto, che la consegna a mons. Sagrista, il quale la colloca sopra l’Altare sotto la Croce, d’onde la rileva, per farla
riportare dal medesimo Chierico di Camera, dopo la Messa, nella stanza de’
Paramenti, in una picciola Mensa fra due Candelieri. Poi si ripone, e si
conserva per regalarsi a qualche Personaggio, come ha fatto il Regnante Pontefice
all’Arciduchessa di Austria Maria
Cristina, ed alla di lei Sorella Arciduchessa
Amalia.
L’Introito
si canta in contrapunto. Sermoneggia il P. Procurator
Generale de’ Carmelitani. Il
mottetto Cantemus Domino dopo
l’Offertorio, è di Matteo Simonelli,
con seconda parte. Il Deo gratias si
canta.
Questa
Domenica viene frequentemente chiamata Domenica Laetare, dall’Introito preso dalle parole d’Isaia (LXVI. 10).
Dicesi ancora Dominica panum
dall’Evangelio, in cui si narra la prodigiosa moltiplicazione de’ pani nel
Deserto. Ma più communemente si appella Dominica
Rosae, Rosarum, o de Rosa, dalla Rosa d’oro, che per antichissimo uso il Papa suol benedire in questo giorno.
Il
P. Calmet (In Probatione Historica Lotharingiae Tom. I, col. 427) è stato il
primo a scuoprire la vera origine del Rito, che ha dato questo nome alla
presente Domenica. S. Leone IX
ereditò fra’ suoi beni patrimoniali il Monastero di S. Croce in Alsazia, e vendicollo in libertà, assoggettandolo
immediatamente alla S. Sede. E per
eternare la memoria di questa esenzione, gl’impose il tributo annuo di una Rosa
d’oro di due oncie, da portarsi in mano da lui, e da’ suoi successori nella
quarta Domenica di Quaresima, celebrando nella Basilica di S. Croce di
Gerusalemme. E così sotto il nome di Tributo, o Censo pagato da un Monastero
posto in libertà, venivasi a simboleggiare la misteriosa allegrezza del Popolo
d’Israello, liberato dalla schiavitù Babilonica, a cui si allude nel lieto
uffizio di questo giorno.
Nel
breve corso di un mezzo Secolo, queto semplice Tributo di un Monastero esente
divenne regalo degno de’ Principi. Poichè si legge presso Dachery (T.X. Spicilegii p. 396), e Luca Olstenio (Colleg. Rom. P. 11. P. 222), che questo Fiore fu
regalato nel 1096 da Urbano II, dopo
la celebrazione del Concilio di Tours, a Fulcone
Conte d’Angers, il quale grato di quest’onore fissò, che dovesse esser
portato da sè, e da’ suoi successori nel giorno delle Palme.
Nel
1230 s’introdusse il costume di aggiungere a questa Rosa le qualità esterne del suo Fiore, tingendo l’oro di rosso, e
spargendola di muschio; e di spiegarsi il mistero del colore, e dell’odore
della Rosa naturale, dallo stesso Pontefice
con un Sermone, per l’istruzione del Popolo, come ci attestano il Canonico Benedetto (In Ord. XI. num.
36), il Diploma di Alessandro III,
che la regalò a Ludovico VII Re di
Francia (T.X. Concil. p. 1360. E in T. IV. Hist. Francor. a pg. 768) e il
Durando (Rational. lib. cap. 53 num. 10). Ma sopra tutto ce ne convince il
Sermone d’Innocenzo III su questo
argomento.
Sappiamo
poi da Cencio Camerario (Ord. XII.
num. 17), che nello stesso Secolo XII s’ incominciò ad aggiungere al muschio
anche il balsamo. Sembra, che si cessasse di colorir l’oro, quando s’introdusse
l’uso di collocare un Rubino in mezzo alla Rosa,
per renderla più preziosa, senza alterarne le qualità, come poi si è sempre
praticato, anche quando si è ridotta la semplice Rosa ad un Ramo di Rose vago,
e fiorito, come or lo vediamo. Questa variazione dev’esser seguita prima di Sisto IV, che un anno in vece della Rosa, benedisse una Quercia d’oro, rappresentante il suo Stemma, che mandò in dono alla
Cattedrale di Savona sua Patria. Pio II sermoneggiò sopra la Rosa,
secondo l’antico costume, che però, come apparisce da Pietro Amelio (Ord. XV. num. 48), era già divenuto arbitrario, e
poi andò affatto in disuso.
Ma
benchè si variassero le circostanze, che accompagnavano le qualità della Rosa, si conservò l’uso di mandarla in
dono a qualche Principe, ovvero di regalarla a qualche nobile Personaggio, che
si trovasse in quel dì presente alla Sacra Funzione. Questi per lo più era il Prefetto di Roma (Felix Contelorius de
Praefecto Urbis. Romae 1631. 4. Gaet. Cenn del Prefetto di Roma a tempo de’Re,
e della Repubblica, a tempo degli Augusti, e Re d’Italia, e sotto i Rom.
Pontefici. nel T. I. delle sue Dissert. Postume p. 269), vestito di scarlatto,
o di porpora, colle calze di color oro, che accompagnava a piedi il Papa, che cavalcando portava la Rosa in mano fino al Palazzo
Lateranense, dove smontava, e ivi baciandogli i piedi, ricevea il dono della
Rosa.
Convien però avvertire, che non tutti
ebbero questa Rosa benedetta, come molti han creduto, quasi che sia tanto
antica la Rosa d’oro, quanto la sua
benedizione. Questa certamente non può attribuirsi nè a Urbano V, nè ad Innocenzo
IV, a cui sia assegna dall’Autore della sua vita, a cui si assegna dall’Autore
della sua vita, seguito dal Martene
(De Rit. Ant. Diss. XIX num. XVII); ma è posteriore a Niccolò V, giacchè niuna menzione di questa benedizione si fa negli
Ordini da noi citati, e la prima volta che si nomina, è nel Cerimoniale di Cristofaro Marcello. Paolo III tolse
l’uso, introdotto da Paride de Grassi
sotto Giulio II, Leone X, e Clemente VII, di ungerla col Crisma; e il Rito prescritto dal suddetto Cerimoniale di ungerla
col balsamo, di sovrapporvi il muschio, di benedirla, ed’ incensarla, è
perseverato fino a’ nostri tempi. […]
Qualche mio appunto...
Relativamente al luogo, si legge la benedizione avveniva – all’epoca dell’Autore - nella “stanza de’ Paramenti” (la c.d. Sala del Pappagallo); l’uso rimonta al periodo successivo la “cattività avignonese”, i Sommi Pontefici ritornando nell’Urbe e trovando le storiche chiese in mal partito introdussero l’uso delle celebrazioni nelle loro cappelle. La benedizione della Rosa d’oro avveniva anticamente alla basilica Sessoriana (statio del giorno). Qualora fosse presente in Roma l’Imperatore per ricevere l’incoronazione, la cerimonia avveniva nella basilica di S. Maria in Cosmedin [8].
___________________
Qualche mio appunto...
Relativamente al luogo, si legge la benedizione avveniva – all’epoca dell’Autore - nella “stanza de’ Paramenti” (la c.d. Sala del Pappagallo); l’uso rimonta al periodo successivo la “cattività avignonese”, i Sommi Pontefici ritornando nell’Urbe e trovando le storiche chiese in mal partito introdussero l’uso delle celebrazioni nelle loro cappelle. La benedizione della Rosa d’oro avveniva anticamente alla basilica Sessoriana (statio del giorno). Qualora fosse presente in Roma l’Imperatore per ricevere l’incoronazione, la cerimonia avveniva nella basilica di S. Maria in Cosmedin [8].
Al
principio del testo, riferendosi all’abito che gli eminentissimi signori
Cardinali portano alla cappella di questo giorno, il Cancellieri riferisce
l’utilizzo – per l’abito talare, la mantelletta e la mozzetta – del colore
rosaceo, più precisamente del color rosa
secca.
Esso è una variante dell’abito di penitenza di cui si serba il
colore violaceo nella cappa. Sino al 1969 [9],
i cardinali disponevano, tra gli altri, di un abito da portarsi (qui procedo
con una semplificazione) nei tempi di penitenza e nelle circostanze luttuose.
Detto abito è violaceo, o più precisamente paonazzo
con fodere, orlature, bottoni e asole di color rubino o cremisi [10].
Sarà non di meno utile notare che – durante il pontificato di Papa Pio XI – il
colore paonazzo viene definito con
precisione ed è lo stesso anche per i Vescovi e i Prelati, ciò pose fine
all’utilizzo delle tante varietà che erano proliferate e sussistevano [11]. Ripromettendomi di ritornare prima o poi
sull’argomento, voglio precisare che la tonalità del paonazzo varia in base alla proporzione con cui vengono composti i
due colori di base ossia il blu e il rosso. Dal XVI secolo sino al principio
del XIX, notiamo che la nuance vira
palesemente al bluastro, un tanto deriva dall’interazione di due coloranti
ossia l’indaco naturale e la cocciniglia domestica; solo nel corso del XIX
secolo, in cui si fa utilizzo di coloranti di natura sintetica, apre la strada
verso un processo che porterà all’uniformizzazione del colore [12].
Quanto ai vestimenti di rosa secca
usati dagli eminentissimi cardinali in questa domenica – e nella domenica Gaudete – va precisato che erano in seta
marezzata [13]. Il
loro uso iniziò a decadere verso la fine del pontificato del beato Pio IX, non
essendoci stata un’abolizione, si ha contezza dell’utilizzo da parte di qualche Cardinale – limitatamente
alla propria chiesa titolare e, come è ovvio alle due domeniche ricordate –
sino all’epoca di Pio XI [14].
La citata Istruzione della Sacra
Congregazione Ceremoniale (v. nt. 10) non fa menzione di questi abiti rosacei
stante la desuetudine degli stessi.
Veste talare cardinalizia color rosa secca |
Circa
il rito di benedizione [15],
l’Autore ci riporta l’uso, poi caduto, di ungere il manufatto col Crisma. Il
Moroni sottolinea l’influsso su Giulio II, Leone X e Clemente IX del
cerimoniere Cristoforo Marcello; la rimozione di tale uso – operata da papa
Paolo III – muove dalla considerazione che l’Unzione col Crisma compete alle
consacrazioni e non alle benedizioni [16].
(vedi il testo della benedizione alla nt. 15) |
Il beato Paolo VI infonde il balsamo nella Rosa d'oro destinato al Santuario brasiliano dell'Aparecida (1967) |
Relativamente
agli usi della Cappella papale sul sito del Collegium Divi Marci: ho già avuto modo di parlarne; ad esso rimando per
approfondimenti e per riferimenti bibliografici.
Quanto
ai conferimenti della Rosa d’oro,
rispetto quanto già lumeggiato dal Cancellieri, ricordo che essa - inizialmente
conferita al Prefetto di Roma o “l’uso di mandarla in dono a qualche Principe,
ovvero di regalarla a qualche nobile Personaggio, che si trovasse in quel dì
presente alla Sacra Funzione”, come di ricorda l’Autore - fu anche concessa a
città, nazioni, chiese e santuari insigni. Il sempre ben informato monsignor
François Xavier Barbier de Montault fa memoria del conferimento della Rosa d’oro
da parte di Benedetto XIV (Prospero Lambertini) alla sede metropolitana di
Bologna della quale fu Arcivescovo; Clemente XIV la conferì alla nazione
lusitana verso la quale nutriva particolare benevolenza tanto da far meritare
al Sovrano l’appellativo di “Sua Maestà Fedelissima” [17].
A titolo di curiosità ricordo che l’ultimo personaggio di alto lignaggio di
sesso maschile che ebbe a ricevere questo “regalo degno de’ Principi” fu il
cento sedicesimo doge della Serenissima Repubblica Francesco Loredan, insignito
del prestigiosissimo riconoscimento nel 1759 da papa Clemente XIII. Il
conferimento divenne più raro tra i secoli XIX e XX, purtuttavia in seno ai
camerieri segreti partecipanti laici uno era particolarmente deputato come “Portatore
della Rosa d’oro”(la carica figurava, peraltro, nell'Annuario Pontificio sino gli anni Sessanta del Novecento).
È tra i
conferimenti novecenteschi che mi sento di fare particolare memoria di quello
riservato alla serva di Dio Elena Petrović-Njegoš del Montenegro, Regina d’Italia
(+ 1952), insignita – in ragione della sua vita votata alla carità – da papa
Pio XI nel 1937.
Chiedo
al benigno lettore che ha avuto la pazienza di leggermi fino a qua, di recitare
un’ Ave Maria con l’intenzione di
poter presto venerare fra i beati questa splendida figura di donna cristiana.
Il conte G. Dalla Torre del Tempio di Sanguinetto e il principe don Luigi Massimo Lancellotti: gli ultimi portatori della Rosa d'oro |
Serva di Dio Elena del Montenegro Regina d'Italia |
Laetare
Jerusalem!
Francesco
G. Tolloi
___________________
Note:
[1] A. I. SCHUSTER, Liber Sacramentorum. Notizie storiche e liturgiche sul Messale Romano, Torino – Roma,
Marietti, 1933, vol. III, pp. 116 e ss..
[2] Sarà profittevole
ricordare che il rosaceo è raccomandabile serbi una tonalità virante al
violetto chiaro piuttosto che un “rosa puro”. Cfr.: G. BRAUN, I Paramenti Sacri. Loro uso storia e simbolismo,
trad. Italiana G. Alliod, Torino, Marietti, 1914, p. 40. Il rosa – stando a
mons. Gromier – esisteva a Roma già nel 1582, cfr.: L. GROMIER, Commentaire du Caeremoniale episcoporum,
Paris, La Colombe, 1958, p. 348.
[3] G. MORONI, Dizionario di erudizione storico –
ecclesiastica, Venezia, Emiliana, vol. LIX, p. 115.
[4] J. CATALANO, Sacrarum Caeremoniarum sive Rituum
Ecclesiasticorum Sanctae Romanae Ecclesiae, Romae, De Rubeis, 1750, tomus
I, tit. 7, cap. 3 (pp. 265 e ss.).
[5] G. MORONI, Dizionario di erudizione storico –
ecclesiastica..., cit., p. 112.
[6] Per un sintetico
approfondimento: B. BERTHOD – P. BLANCHARD, Trésors
inconnus du Vatican. Cérémonial et Liturgie., Paris, L’amateur, 2011, pp.
299 e s..
[7] F. CANCELLIERI, Descrizione delle Cappelle Pontificie e
Cardinalizie di tutto l’anno. Roma, Salvioni, 1790, pp. 247 e ss..
[8] N. DEL RE, Rosa d’oro, voce in Enciclopedia Cattolica, Roma, Ente per l’Enciclopedia Cattolica e
per il Libro Cattolico, 1953, X, coll. 1344 e ss..
[9] Cfr.: SECRETARIA STATUS
SEU PAPALIS, Instructio (Ut sive solliciti) 31 marzo 1969, in
Acta Apostolicae Sedis, LXI, Romae, Polyglottis Vaticanis, 1969, pp. 334 e ss..
Tale istruzione – a firma del cardinale
Amleto Cicognani – riforma totalmente, in direzione di una massiccia
semplificazione (che di fatto corrisponde ad uno smantellamento), la materia
degli abiti dei Cardinali, Vescovi e Prelati.
[10] SACRA CONGREGAZIONE
CEREMONIALE, Norme Ceremoniali per gli
Eminentissimi Signori Cardinali, Roma, Poliglotta Vaticana, 1943, pp. 3 e
ss..
[11] SACRA CONGREGATIO
CAEREMONIALIS, Decretum (Sacrae huic Congregationi), 24 giugno
1933, Romae, Polyglottis Vaticanis, 1933. Questo decreto – che qui cito nella
edizione in mio possesso stampata singolarmente – riporta gli esempi della
tonalità del paonazzo sia per il
tessuto di seta che quello di lana.
[12] Cfr.: B. BERTHOD – P. BLANCHARD, Trésors
inconnus du Vatican…, cit., p. 338.
[13] F. X. BARBIER DE MONTAULT, Le
costume et les usages ecclésiastiques selon la tradition romaine, Paris,
Letouzey et Ané, s.d. [1900], I, p. 275.
[14]
Cfr.: B. BERTHOD – P. BLANCHARD, Trésors inconnus du Vatican…, cit., p. 299.
[15] Riporto integralmente
la formula di benedizione. (V.) Adjutórium nóstrum in nómine Dómini.
(R.) Qui fecit cælum et terram.(V.) Dóminus vobíscum. (R.) Et cum spíritu tuo. Orémus. Deus qui es lætítia et gáudium omnium
fidélium, majestátem tuam supplíciter exorámus ut hanc Rosam odore visuque gratíssimam,
quam hodiérna die in signum spiritúalis lætítiæ in mánibus gestámus, bene + dícere
et sancti + ficáre tua pietáte dignéris, ut plebs tibi dicáta ex jugo Babilónicæ
captivitátis edúcta, per Unigéniti Filii tui grátiam cæléstis Jerúsalem gáudium
sincéris córdibus repræséntet. Et quia ad honórem nóminis tui Ecclésia tua hoc
signo hodie exúltat et gáudet, tu ei, Dómine, verum et perféctum gáudium et
grátiam tuam largiáris, ut per fructum boni óperis in odórem illíus floris
tránseat qui de radíce Jesse prodúctus, flos campi, lílium convállium mystice
prædicátur. Qui
tecum vivit et regnat in unitate Spíritus Sancti Deus per omnia saécula saeculórum.
(R.) Amen. Postea imponit incensum in thuribulo. Deinde Rosam ungit balsamo
imponitque ei muscum: aspergit aqua benedicta et adolet incenso.
[16] G. MORONI, Dizionario di erudizione storico – ecclesiastica..., cit., p. 117.
[16] G. MORONI, Dizionario di erudizione storico – ecclesiastica..., cit., p. 117.
[17] F. X. BARBIER DE
MONTAULT, Les stations et dimanches de
Carême a Rome, Rome, Spithoever, 1865, pp. 91 e ss..
Nessun commento:
Posta un commento