Proprio un
paio di anni fa, in questo primo scorcio di febbraio, nell’ambito della mia
collaborazione con il Settimanale della diocesi di Trieste “Vita Nuova”, iniziai
una serie di articoli attorno le figure dei Santi che si riscontravano, anche
nel passato più o meno recente, nei propria della diocesi. Consultando i
supplementi delle Messe e degli Uffici diocesani redatti “ad mentem” delle riforme
di papa San Pio X, ebbi modo di imbattermi in San Niceforo, un martire venerato
come patrono di una piccola diocesi istriana, quella di Pedena, soppressa sul
finire del Settecento. La presenza nel calendario locale di San Niceforo mi
diede modo di condividere una riflessione circa le modalità compilative sottese
ai calendari propri – e di conseguenza nei propria diocesani - muovendo
dal culto del martire Niceforo. Ritengo quelle righe ancora di una certa
validità, motivo per il quale intendo qui proporle anche ai lettori del mio blog,
con l’ integrazione, more solito, del testo latino ed italiano delle “lezioni
storiche” proclamate al secondo Notturno della liturgia mattutinale, sempre con
la consueta riserva di ulteriori integrazioni in futuro e con il proposito di
raccogliere e dare sistematicità alle figure di santità ed il loro culto che
appaiono nei propria della mia piccola ma antica diocesi.
Francesco G.
Tolloi
A fianco dei
santi annoverati nel Calendario della Chiesa universale, le diocesi mantengono
vivo il culto dei santi locali nei loro Propria.
Si tratta di raccolte che costituiscono delle “appendici” al Messale e alla
Liturgia delle Ore che riportano i testi da utilizzarsi nelle celebrazioni
locali: dalle pericopi scritturali all’eucologia. Ma quali sono i criteri con i
quali le celebrazioni dei santi sono inserite nelle singole raccolte diocesane?
Con uno sguardo retrospettivo si potrebbe rispondere che esistono,
principalmente, due insiemi di motivi. Il primo insieme è quello che chiameremo
“intrinseco” poiché più connaturato all’indole e finalità di tali compilazioni:
in esso rientrano motivazioni geografiche e/o devozionali. Per fare un esempio San
Giusto martire, nostro patrono principale, è vissuto nella nostra città ed è stato
martirizzato nelle acque del nostro golfo, la motivazione del suo culto è
perciò sia geografica che devozionale.
San Sergio, viceversa, nostro patrono secondario, pur avendo servito,
stando all’antica tradizione, l’Impero romano come tribuno militare in Trieste,
subì il martirio – col suo compagno d’armi San Bacco – in Siria. La stessa
tradizione vuole che, prima di salire il patibolo, egli scagliasse la sua
alabarda che precipitò miracolosamente a Trieste per dare un segno ai
correligionari triestini coi quali aveva stretto rapporti di solida amicizia.
Al di là della vicenda e delle vicissitudini successive dell’alabarda del
nostro compatrono, il criterio della sua presenza nei propria triestini rientra in una motivazione che è, soprattutto,
legata al suo culto, quindi devozionale e dunque rientra nel primo insieme
(motivazioni intrinseche).
Il secondo
insieme lo chiameremo “estrinseco”, poiché derivante da esigenze altre che non la prossimità geografica e
l’attestazione del culto qui identificati in un ruolo di principalità tra gli
stimoli che portano alle compilazioni dei propria.
Le motivazioni qui convenzionalmente raggruppate per ordine e semplicità – ciò
va precisato - possono, evidentemente, reciprocamente influenzarsi, i perimetri
dei due insiemi possono, perciò, toccarsi e persino occasionalmente fondersi e
confondersi. Questo secondo convenzionale insieme così definito andrebbe a
comprendere le motivazioni storiche e/o politiche.
Ex chiesa cattedrale di Pedena dal sito: https://www.central-istria.com/it/pican |
Fino all’epoca di vigenza dei novecenteschi Proprium officiorum di mons. Andrej Karlin e del Proprium missarum di mons. Luigi Fogar, compariva, alla data del 9 febbraio un san Niceforo vescovo e martire. La presenza di questo santo, che – stando alla tradizione - si immolò ad Antiochia mentre imperversava la persecuzione di Valeriano, si presta egregiamente a offrirci un esempio di motivazione “estrinseca” di inserimento nelle raccolte liturgiche locali. Il caso specifico è dato da una motivazione di ordine storico. San Niceforo era infatti patrono principale della diocesi di Pedena, piccola ma antica unità ecclesiastica della penisola istriana che – dopo un periodo di sede vacante a seguito del trasferimento a Segna del vescovo Aldrago Antonio de’ Piccardi (1784) – fu soppressa ed incorporata nella neo eretta diocesi di Gradisca, suffraganea dell’arcidiocesi di Lubiana, il cui territorio venne a comprendere quello di Gorizia, Trieste e – per l’appunto - Pedena. Tale nuovo assetto dei confini e della giurisdizione ecclesiastica era stato ispirato dall’imperatore Giuseppe II, tanto che nel 1791, un anno dopo la sua morte, Pio VI portò la cattedrale a Gorizia (destinata ad essere chiamata fino al 1986 arcidiocesi ‘Goritiensis seu Gradiscana’) e ristabilì il vescovado triestino, destinato ad incorporare anche i territori della soppressa diocesi di Pedena. Ma da Pedena Trieste non ebbe solo le dodici parrocchie che componevano la piccola diocesi istriana, mutuò anche il culto per san Niceforo. Sarebbe più proprio parlare dei “santi Nicefori”, al plurale: a Pedena se ne veneravano due! A parte il martire accennato il cui dies natalis è il 9 febbraio, a Pedena, il 30 dicembre, si ricordava il primo della cronotassi dei vescovi petenensi di identico nome. Questi sarebbe vissuto nel VI secolo: di ritorno da un viaggio ad Aquileia, ove si sarebbe recato per scagionarsi da un’infamante accusa, ebbe a giungere ad Umago ove morì. Le sue spoglie furono conservate nel duomo della città costiera, per essere depredate dai genovesi nel XIV secolo. Un braccio del supposto protovescovo fu, invece, conservato nella cattedrale di Pedena.
I Santi Nicefori ex cattedrale di Pedena (dal sito https://www.central-istria.com/it/pican) |
Concludiamo questo necessariamente breve e lacunoso excursus sui
“santi Nicefori” parafrasando le argute parole scritte dal compianto monsignor
Luigi Parentin a proposito di questo “enigma agiografico”: nel dubbio meglio
ingraziarsi entrambi.
Francesco G. Tolloi
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Lezioni del secondo Notturno |
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[lectio iv] Sub império
Valeriáni célebre in Oriénte fuit Nicéphori nomen, qui aliquándo íntimam cum
Saprítio presbýtero amicítiam cóluit, donec subínde, istigánte dǽmone, tanta
inter eos orirétur discórdia, ut mútuo se ódio prosequréntur, et alter
alterius fáciem sustinére non posset. Nicéphorus tamen paulo post in se
revérsus, tum impósitis amícis, tum ipse coram accédens, vénieam pétiit a
Saprítio, sed incássum; numquam enim ei vóluit reconciliári. Intérea, exórta
in Christiános persecutióne, Sapríruys, ad tribúnal júdicis raptus, magna
ánimi fortitúdine et libertáte Christum confitétur, et cum nullo modo addúci posset, ut diis immoláret,
constríctus cóchlea et in equúleo disténsus, diríssimis cruciátibus
constantíssime superátis, ad mortem damnátur.
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Durante l’impero di Valeriano famoso fu il nome di Niceforo,
il quale, fu legato un tempo da un’intima amicizia con il presbitero
Sapritio, finché, a un certo punto, su istigazione di un diavolo, nacque tra
di loro una tal discordia, che si odiavano a vicenda e non sopportavano
nemmeno di vedersi. Niceforo, tuttavia, dopo poco tempo, ritornato in sé, sia
grazie alla mediazione di amici, sia in prima persona, chiese scusa a
Sapritio, ma invano; egli infatti mai volle riconciliarsi. Nel frattempo,
sorta una persecuzione contro i cristiani, Sapritio, condotto al tribunale
del giudice, con grande fortezza e
libertà d’animo confessò Cristo e, dal momento che in nessun modo poteva
essere convinto a sacrificare agli dei, messo sotto torchio e disteso sul
letto di tortura, dopo aver superato con grandissima forza atroci tormenti, è
condannato a morte. |
[lectio v] Hanc Saprítii
constántiam cum intellexísset Nicéphorus, lætus accúrit; certo confídens,
véniam sibi non denegatúrum, qui jamjam Christi Martyr erat futúrus. Infélix
tamen sacérdos ne in ipso quidem supplícii loco fratri vóluit reconciliári :
quo factum est, ut Dei misericórdia indígnum se reddens, et supérna
grátia destitútus, súbito mutáta senténtia, supplício térritus, Christo palam
renunciárit, et a Nicéphoro qui eum veheménter hortabátur, ne prǽmium sibi
parátum amítteret, aures avértens, diis sacrificáverit. Tum Nicéphorus : Ego
quoque, inclamáre cœpit, Christiánus sum, et quem iste túrpiter negávit,
Christum Deum colo; me loco ejus occídite. Mirántibus vero lictóribus, quod
se ultro morti tráderet, se et Christiánus esse, et deos géntium detestári
elatióri voce profitéri non déstitit.
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Quando Niceforo ebbe udito di tale forza da parte di
Sapritio, con gioia accorre; fermamente fiducioso che chi già stava per
essere fatto martire di Cristo non gli avrebbe negato il perdono. Il tristo
sacerdote, tuttavia, nemmeno sul luogo stesso di supplizio volle far pace; e
così avvenne che, rendendosi indegno della misericordia di Dio, e spogliato
della grazia suprema, d’improvviso, cambiato parere, si spaventò del
supplizio e, rifiutandosi di sentire Niceforo che lo esortava con forza a non
perdere il premio che gli era stato preparato, sacrificò agli dei. Allora
Niceforo cominciò a gridare: “anche io sono cristiano e adoro come Dio
Cristo, che costui ha turpemente negato, uccidete me al suo posto!” Di fronte
allo sbigottimento dei littori che si offrisse al morte, egli non la smise di
professare che era un cristiano e che detestava gli dei dei pagani. |
[lectio
vi] Quod cum prǽsidi nunciátum esset, Nicéphorum, blandítiis licet et
verbéribus pertentátum, mandátis Imperatórum parére detrectántem, lata mortis
senténtia, cápite plecti jubet. Itaque Nicéphorus, quam sua fide, humilitáte
et caritáte proméruit martýrii palmam Saprítio jam destinátam, capitis
obrtuncatióne reportávit anno Christi círciter ducentésimo quinquagésimo
nono. Sacra ejus ossa, ut vetus fert tradítio, Deo mirabíliter disponénte, in
Istriam deláta, Pétenæ débito cum honóre asservántur, ubi eídem Mártyri
tamquam principáli Diœcésis Petenénsis Patróno, solémnis cultus usque ad
suppressiónem illíus Episcopátus hábitus est, ejúsque festum die trigésima
Decémbris celebrátum. Dum vero Diœcésis Petenénsis a Pio Papa sexto
Tergestínæ fúerit attribúta, hic quoque idem Martyr magna cum veneratióne
coli cœpit, eádem die ejúsdem festo consecráta.
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Quando fu riferito al magistrato che Niceforo,
sebbene tentato con promesse e percosse, rimaneva renitente agli ordini
dell’Imperatore, emessa la sentenza di morte, ordina la decapitazione.
Niceforo, pertanto, ottenne per decapitazione e grazie alla sua fede, umiltà
e carità quella palma di martirio che era già stata destinata a Sapritio,
all’incirca nell’anno di Cristo 259. Le sue ossa, come vuole la tradizione,
portate, per disposizione divina, in Istria, con il debito onore sono
conservate a Petena, dove al medesimo martire si mantenne un culto solenne
come principale patrono della Diocesi di Petena, fino alla sopressione di
quell’episcopato, e la sua festa era celebrata il 30 dicembre. Quando la
Diocesi di Petena fu unita da Papa Pio VI alla diocesi di Trieste, anche qui
si celebrò con grande venerazione il medesimo Martire, nello stesso giorno
consacrato alla sua memoria. |
Da: Proprium
Officiorum pro unitis Dioecesibus Tergestina et Justinopolitana, Pars
Verna, Ratisbonae et Romae, Pustet, 1918, pp. 3 e ss. (vescovo A. Karlin) |
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