martedì 25 novembre 2025

Tropi dell’Introito della I domenica d’Avvento.

Sino alla riforma liturgica tridentina - senza dubbio portatrice di un ridimensionamento volto a una "normalizzazione", pur su paradigmi identificati aprioristicamente come ideali - notevolmente ampie erano state,  nello scorrere dei secoli, le fioriture dei testi liturgici in uso nella Chiesa. Tra queste un posto di indubbio rilievo, specie in merito alla consistenza, è individuabile nei “tropi” che assieme alle sequenze, ridotte con il messale di San Pio V a quattro (poi ampliate nel XVIII secolo a cinque) costituivano il tratto caratteristico della produzione liturgica basso medievale e che si riscontra sino ai primi testimoni a stampa dell’età moderna di epoca pretridentina. 

Il tropo, dalla parola greca τρόπος (cambio) è un’ interpolazione posta nell’ambito di un testo liturgico e fu un fenomeno di “fioritura” che interessò sia le parti dell’ ordinarium missæ [1] che del proprium [2] per giungere persino a coinvolgere le pericopi scritturali. Essi, generalmente composti in ritmo poetico e melodicamente omogeneo allo stile del canto liturgico interpolato, rappresentano dei tentativi sia di fornire una didascalia al testo che viene così  “farcito”, sia un tentativo di solennizzazione e ci testimoniano sicuramente uno slancio e una tensione tipici dell’epoca in cui essi proliferarono. 

I tropi qui presentati “Gregórius præsul” e “Sanctíssimus” si situano prima   dell’Introito “Ad te levávi” della I Domenica d’Avvento e spesso si trovano fisicamente collocati, ora uno ora l’altro, all’apertura del Graduale, il libro che raccoglie i proprii delle messe ordinati, secondo la pia tradizione, da San Gregorio Magno,  per il corso dell’anno liturgico. In questo caso le composizioni qui presenti non si pongono tra le parole del testo ufficiale ma si presentano come un ideale preludio, pertanto è da ritenersi che possano essere utilizzati, scegliendone uno, al momento in cui il sacerdote, dopo aver effettuato l’aspersione domenicale, riveste i paramenti per iniziare la Messa. 

Buon Sacro tempo dell'Avvento a tutti.

Veni Dómine, noli tardáre !

Francesco G. Tolloi

_________________________________

[1] Celebri in tal senso i tropi del Kýrie che finirono per conferire i nomi alle diverse messe del Kyriale comprese quelle ad libitum, ad esempio la XVII, usata nelle domeniche d’avvento e quaresima: Kýrie, salve sempérque præsénti turmæ eléison. È opportuno segnalare un’opera piuttosto recente che li raccoglie: A. STINGL jun., Tropen zum Kyrie im Graduale Romanum, Regensburg, EOS Verlag Sankt Ottilien, 2011.)


[2] Per i tropi dell’Introito, ad esempio, si veda: F. HABERL, 86 Tropi Antiphonarum ad Introitum usui liturgico accommodati, Roma, Pontificio Istituto di Musica Sacra, 1980 (da esso ho trascritto il brano “Gregórius præsul”).


Do la possibilità ai miei affezionati lettori di effettuare il download in due modalità: la prima prevede il file pdf dell'opuscolo e la seconda "pronta all'uso", ossia lo stesso opuscolo già preparato per una stampa fronte retro e relativa piegatura

> scarica qui l'opuscolo in formato pdf.

> scarica qui l'opuscolo ottimizzato per la stampa fronte-retro (pdf).

Tropi della I Domenica d'Avvento

Tropi della I Domenica d'Avvento

Tropi della I Domenica d'Avvento

Tropi della I Domenica d'Avvento
















venerdì 21 novembre 2025

La devozione triestina alla Madonna della Salute. La sua origine tra storia e tradizioni.

Una brevissima premessa.

Trieste città laica. Spesso si sente questa frase esprimendo qualche considerazione sulla religiosità triestina. Eppure chi come me ha superato il mezzo secolo, ben ricorda, fino qualche decennio fa, le folle di triestini che nella festa della Presentazione della Beata Vergine Maria (21 novembre), incuranti della Bora, che spesso sferzava la città in quel periodo dell'anno, o della pioggia battente, salivano la ripida via Donota o la scalinata, per rendere omaggio alla "Madonna della Salute", venerata nella chiesa di Santa Maria Maggiore. Oggi i numeri non sono più quelli di un tempo, ma pur sempre resta la devozione che più alberga nel cuore dei triestini.
Per tale motivo, oggi 21 novembre del 2025, ho pensato di riprendere un mio articolo scritto per "Il domenicale di San Giusto", settimanale della diocesi triestina (pubblicato nel 2021 e qui scaricabile in pdf), mettendolo a disposizione dei miei lettori. Ringrazio qui il mio caro amico Diego Tissini per avermi messo a disposizione alcune foto storiche della sua collezione.

F. G. T.

Madonna della Salute (Sassoferrato)



Trieste, estate 1849. Nell’imperversare della calura agostana, la fredda tenaglia del colera iniziava a far sentire la propria stretta sulla popolazione della città.  Dopo la prima decade di settembre, la Commissione Centrale di Sanità, non poteva nascondere il serpeggiare dell’epidemia e dovette normare la condotta di una cittadinanza ormai in preda al panico, non mancando l’invito accorato ad affidarsi alla Provvidenza. Per le vie ardevano fuochi per riscaldare i paioli ricolmi di catrame, allora considerato efficace presidio per disinfettare, per lo stesso motivo nelle case si bruciava il ginepro. Centinaia di cadaveri attendevano sepoltura: le cappelle obituarie di San Giusto e quella succursale di San Giacomo non bastarono, fu necessario allestire un’ampia tettoia nel cimitero di Sant’Anna, i funerali si susseguivano senza posa. Le brulicanti attività economiche ed i vivaci commerci triestini avevano subito un brusco arresto, sicché lo spettro della miseria si era sinistramente sommato a quello del morbo, sferzando, in tetra sinergia, la popolazione sempre più provata e stremata. Medici, farmacisti e clero della città si trovano impegnati continuamente per curare e confortare gli sventurati, l’autorità civica seguitava a lodarne l’infaticabile zelo e, di fronte al susseguirsi drammatico degli eventi, fece istanza al buon cuore dei cittadini invitandoli alla solidarietà verso i più bisognosi, il cui numero aumentava col trascorrere dei giorni. La fede dei triestini li portava a recarsi continuamente nelle chiese a supplicare l’intervento divino, specialmente a Santa Maria Maggiore, ove qualche anno prima, nella cappella della navata di destra, era stata collocata l’immagine della Madonna della Salute attribuita a Giovan Battista Salvi, il Sassoferrato, dono del munifico conte Domenico Rossetti. Alla Madonna della Salute era già dedicata una Confraternita eretta nella parrocchia nel 1827.  Ma anche un’altra l’immagine catalizzò la devozione dei triestini flagellati dal colera: la Madonna dei Fiori. Attualmente collocata in una cappellina ricavata nel palazzo dell’Inail, proprio sotto il Santuario di Santa Maria Maggiore, trae il nome dal terreno di proprietà di Fiori, soprannome di tale Ferdinando Patarga, oriundo dello Stato Pontificio, che la rinvenne durante gli scavi per l’edificazione della sua osteria. Si tratta di un busto in marmo alabastrino di Carrara, opera dello scalpello di un ignoto autore forse cinquecentesco, si potrebbe ritenere fosse un tempo patrimonio di uno dei conventi che sorgevano nell’area. Il simulacro lapideo venne collocato ai margini del campo di bocce dell’osteria del Patarga. L’effige è nota ai triestini anche come Madonna della borela, lemma dialettale che indica la boccia: pare che un giocatore, perse le staffe per l’ennesimo tiro non andato a segno, scagliasse la boccia verso la statua che subito prese a sanguinare. Secondo la tradizione, una popolana triestina si recò, durante l’imperversare del cholera morbus, all’osteria per comperare del vino per il fratello duramente colpito dal male. Nel mentre l’oste riempiva il fiasco, la donna si raccolse in preghiera innanzi all’effige della Madonna.  Qui fece il voto che, qualora l’affezionato fratello fosse stato risanato, si sarebbe adoperata per onorare la Vergine Maria con una processione votiva; una volta rincasata trovò il fratello guarito. Sparsasi rapidamente la notizia tra il popolo, il Vescovo avrebbe acconsentito lo svolgersi della processione.

Stando alle cronache, il 15 ottobre del 1849, su interessamento della Confraternita dei Battuti, si svolse una processione con la sacra effige, con la partecipazione di migliaia di fedeli per impetrare l’intercessione della Vergine affinché il colera cessasse di flagellare Trieste. Il pio sodalizio aveva in carico la statua della Madonna che all’epoca si custodiva presso la oggi non più esistente Cappella Conti, poco distante da Santa Maria Maggiore, sede dello stesso. La stretta epidemica iniziò ad allentarsi: i primi giorni di novembre l’Autorità cessò la pubblicazione del bollettino giornaliero e, poco dopo, furono riaperte le scuole cittadine. Il 21 novembre, Festa liturgica della Presentazione della Beata Vergine, monsignor Bartolomeo Legat, Vescovo di Trieste e Capodistria, indisse una Festa votiva con processione «in rendimento di grazie all’Altissimo Dio per la cessazione del morbo che funestò la città», l’Autorità civica dispose per la giornata la chiusura delle attività industriali e degli esercizi commerciali. Di buon mattino il Vescovo celebrò la Messa pontificale in Cattedrale e, dopo il canto del Te Deum (opera di Luigi Ricci), l’effige della Madonna dei Fiori fu recata in processione per le vie della città con oceanico concorso di popolo. La processione si divise in direzione delle parrocchie urbane di Sant’Antonio Nuovo, Beata Vergine del Soccorso e Santa Maria Maggiore ove, in ciascuna di esse, si celebrò un’altra Messa e s’intonò nuovamente l’Inno ambrosiano. Nel pomeriggio, nelle parrocchie cittadine, si tennero solenni funzioni mariane innanzi al Santissimo Sacramento esposto. Fino agli anni Sessanta dello scorso secolo era rimasto l’uso, attestato dai calendari-direttori liturgici diocesani pubblicati annualmente, di cantare il Te Deum e suonare le campane a festa nel tardo pomeriggio della Festa della Presentazione in tutte le parrocchie cittadine (l’allora decanato urbano), sicura eco e retaggio dei festeggiamenti di quel 21 novembre del 1849. Contraccolpo della liberazione dal colera e dei festeggiamenti, fu l’incrementare della devozione intorno la sacra effige, da allora detta anche Madonna del Colera, e del dipinto sassoferratesco dono del Rossetti. La processione venne ripetuta nel 1855 in coincidenza con un’epidemia, negli anni successivi si registra un concentrarsi dei festeggiamenti proprio a Santa Maria Maggiore. Ancora oggi la Festa della Madonna della Salute costituisce sicuramente la più ampia espressione della pietà popolare triestina che richiama e raccoglie i fedeli nella monumentale chiesa di Santa Maria Maggiore, eretta a Santuario diocesano dal Vescovo monsignor Giampaolo Crepaldi (2011), una devozione sempre viva e vivace sicuramente da valorizzare nella contingenza attuale.

Salus infirmórum, ora pro nobis.

 

Francesco  G. Tolloi

Festa della Madonna della Salute (Trieste)
Cappella della Madonna Salute,
addobbata per la Novena e la Festa della Salute

Festa della Madonna della Salute (Trieste)
Funzione serale della Festa della Madonna della Salute
il Te Deum

Predicazione della Madonna della Salute
Folla di fedeli durante la predicazione
di padre Cornelio Relia OFM
nella Festa della Madonna della Salute

Festa della Madonna della Salute
Altare Maggiore preparato per
la Messa Pontificale della
Festa della Salute

Festa della Madonna della Salute (Trieste)
Altare Maggiore nella
Festa della Salute



mercoledì 27 agosto 2025

De profundis tenebrarum. Sequenza in onore di Sant'Agostino (dal repertorio agostiniano).

 Alla vigilia della festa di Sant'Agostino Vescovo, Confessore e Dottore della Chiesa, essendo assiso sul soglio di San Pietro un papa agostiniano, ho pensato di condividere con i miei lettori una sequenza in onore di questo grande Santo conservata nel repertorio liturgico della famiglia religiosa che da lui prende il nome.

L'ho trascritto dal Proprium Missarum et Officiorum Ordinis Eremitarum Sancti Augustini jussu Reverendissimi Patris Prioris Generalis P. Mag. Eustasii Esteban editum, Tornaci, Desclée, 1926, pagg. 128 e ss.

Trattasi di un testo non del tutto sconosciuto, per altro messo in musica, ad esempio, da Michael Haydn (1737-1806) e dal capodistriano Antonio Tarsia (1643-1722) qui presentato nella sua versione "gregoriana" nella restituzione solesmense.

Questo mio post vuole essere una sorta di "messaggio nella bottiglia"...chissà che qualche comunità agostiniana imbattendosi in questo blog non decida di cantarlo? Ma se l'utilizzo originario come sequenza spetta agli agostiniani, non vieta ad altri di adoperarlo come canto aggiuntivo (ad esempio all'offertorio) celebrandosi la Messa del grande vescovo di Ippona cui si attribuisce la celebre massima "qui cantat bis orat". Di un utilizzo in questa fattispecie più allargata si ha anche contezza storica, visto che tale brano lo si riscontra anche in una raccolta francescana dei primi del Novecento pur con una melodia differente (cfr. Cantus Varii Romano-Seraphici, Tornaci, Desclée, 1902, pagg. 193 e ss.).

Metto dunque a disposizione dei miei lettori la possibilità di effettuare il download in due modalità: l'opuscolo con le trascrizioni e lo stesso già correttamente imposto per la stampa, su formato A4, con successiva piegatura.

Chi desiderasse i files in formato gabc, utili soprattutto qualora si volesse dare una diversa veste grafica, può richiedermeli a mezzo email.

Sancte Augustíne, ora pro nobis.


Francesco G. Tolloi

francesco.tolloi@gmail.com


> scarica l'opuscolo.

> scarica l'opuscolo ottimizzato per la stampa.





sequenza sant'agostino

sequenza sant'agostino

sequenza sant'agostino

sequenza sant'agostino

sequenza sant'agostino

sequenza sant'agostino

sequenza sant'agostino

sequenza sant'agostino

venerdì 8 agosto 2025

Due toni di tradizione cassinense per il canto del Credo

Ripiegato tra le pagine di un mio vecchio Graduale Romanum con supplemento monastico, ho ritrovato qualche tempo fa un piccolo opuscolo, di cui avevo perso memoria, riportante due melodie, destinati ad libitum  alla congregazione benedettina cassinese, per il canto del Credo.

Lo scarno opuscoletto dal titolo Duos cantus Symboli ex antiquis codicibus monasteriorum Italiæ excerpti a S.R.C. approbati, Tornaci, Descléé [s.d.], è stampato su una carta di scadente qualità come spesso accadeva all'epoca, caratterizzata da una esuberante percentuale di lignina che ha reso l'esemplare tanto friabile da spezzarsi.

La fragilità del testimone e non da ultimo la gradevolezza delle melodie, sono state decisive nel persuadermi a compiere un'operazione di trascrizione confidando in un utilizzo propriamente liturgico in un futuro prossimo.

Come detto non si tratta di nulla di più che di un lavoro "artigianale" di trascrizione privo di velleità filologiche, certamente un confronto con i codici potrebbe far chiarezza circa l'origine e la diffusione di tali melodie per il canto del Credo. Esse in ogni caso si situano in quella ricca tradizione liturgico-musicale del monachesimo cassinense di cui, limitandoci anche, grossomodo, solo allo scorso secolo si ha contezza sfogliando ad esempio: Cantus Monastici Formula, Tornaci, Desclée Lefebvre, 1899 ed il Liber Choralis, Archicœnobi Casinesis, 1933 ove si possono reperire toni salmodici "irregolari" propri della congregazione ed un una messe che definirei lussureggiante di recitativi liturgici e molto altro.

Metto dunque a disposizione dei miei lettori la possibilità di effettuare il download in due modalità: l'opuscolo con le trascrizioni e lo stesso già correttamente imposto per la stampa, su formato A4, con successiva piegatura.

Chi desiderasse i files in formato gabc, utili soprattutto qualora si volesse dare una diversa veste grafica, può richiedermeli a mezzo email.

Francesco G. Tolloi

francesco.tolloi@gmail.com


> scarica l'opuscolo 

> scarica l'opuscolo ottimizzato per la stampa


canti del credo cassinensi

canti del credo cassinensi

canti del credo cassinensi

canti del credo cassinensi

canti del credo cassinensi

canti del credo cassinensi

canti del credo cassinensi

canti del credo cassinensi

canti del credo cassinensi

canti del credo cassinensi

canti del credo cassinensi

canti del credo cassinensi



giovedì 12 giugno 2025

I Vesperi di Sant’Antonio da Padova nella tradizione dei Minori Conventuali.

 Nessuna pretesa di ricostruzione filolologica e tantomeno di restituzione gregorianistica sono sottese alla proposta di questi Vesperi per la festa di Sant’Antonio da Padova (13 giugno). È un semplice lavoro di trascrizione di una fonte novecentesca che ci permette di prendere contezza di come fossero celebrati i Vesperi di quello che è uno dei santi più amati ed invocati al mondo, nell’Ordine dei Frati Minori Conventuali che proprio a Padova si onorano di custodirne le venerate spoglie e più insigni reliquie, presso la magnifica basilica del “Santo”. 

L’opera da cui ho tratto la trascrizione fu curata da padre Giacomo Gorlatto, frate minore conventuale originario di Pola che, all’epoca della redazione era “direttore di canto sacro” presso la sullodata basilica patavina, come possiamo leggere dall’introduzione di padre Domenico M. Tavani, Ministro generale dell’Ordine. Si tratta di un volume che raccoglie tutto l’Ufficio musicato nonché la Messa di Sant’Antonio ed una breve silloge di cantici in suo onore: Officium et Missa in Festo Sancti Antonii Patavini Conf. et alia cantica in ejusdem honorem, Romæ, Typis Polyglottis Vaticanis 1930. 

Come precisato si tratta della tradizione “conventuale” che differisce da quella dei “minori” tout court (a sua volta, perlomeno fino a una certa epoca, abbastanza variegata), i conventuali - imitati più tardi dai Cappuccini - infatti, per diverse ragioni, nel XVIII secolo, intesero abbandonare gli antichi uffici ritmici medievali. Tra questi ultimi citati si annoverano senz’altro quelli di San Francesco [1] e di Sant’Antonio composti dal celebre fra Giuliano da Spira. Pur non avendo effettuato specifici confronti, ipotizzo – salvo meliore judicio – che i testi siano quelli che si trovano nel nuovo Breviario dei Conventuali del 1741 che accolsero gli uffici composti del bolognese padre Antonio Azzoguidi [2].  Qui mi sono limitato ad un mero confronto con i libri liturgici conventuali novecenteschi in mio possesso: i testi coincidono nel Proprium Officiorum del 1951, eccezion fatta per l’antifona al Magníficat

Il motivo di tale discrepanza va ricercato in una ragione semplice e facilmente individuabile: nel 1946, papa Pio XII, annoverò Sant’Antonio tra i dottori della Chiesa, per tale ragione, come facilmente immaginabile, fu adottata come antifona al Magníficat in utriusque Vesperis, “O doctor óptime” comunemente utilizzata per tale categoria del santorale [3]

Le antifone al cantico però, riportate dal padre Giacomo Gorlatto, per i primi e secondi Vesperi, furono mantenute nella festa della Traslazione di Sant’Antonio del 15 febbraio [4]

In questi particolari tempi che vedono riaccendersi fiducia e speranza per la libertà della liturgia tradizionale - che annovera anche le legittime e venerande peculiarità locali e degli Ordini - dopo l’ingiustificabile vessazione che ha ferito la Chiesa ed i suoi fedeli, voglia essere anche questo modestissimo lavoro, un voto al Santo dei miracoli affinché conceda alla Chiesa di Dio pace, unità e vera concordia.

Sancte Antóni, ora pro nobis!

 

Francesco G. Tolloi

francesco.tolloi@gmail.com

 

> Scarica l’opuscolo con i Vesperi di Sant’Antonio (O.F.M. Conv.)

> Scarica l’opuscolo, preparato per la stampa e piegatura, con i Vesperi di Santi’Antonio (O.F.M. Conv.)

 

Su questo blog: La benedizione dei Gigli nella Festa di Sant’Antonio.


Per informazioni e richieste dei codici GABC, potete contattarmi alla mia email.

 

 



[1] L’Ufficio di San Francesco, in notazione gregoriana, fu curato ed annotato dal padre Eliseus Bruning O.F.M. : Officium ac Missa de Festo S.P.N. Francisci, Tornaci, Desclée, 1926 e, con eccezione del Mattutino, confluì nell’ Antiphonale Romano-Seraphicum, Tornaci, Desclée, 1928.

[2] Poggio questa ipotesi sulle analogie che si evincono dalla lettura di: G. CAMBELL – F. CASOLINI, Liturgia di San Francesco d’Assisi, Arezzo, La Verna, 1963, pagg. XXIV e ss. I Cappuccini, cui si è fatto riferimento nel testo, utilizzavano lo stesso testo dei Conventuali, anche se le differenze melodiche, rispetto all'opera del padre Giacomo Gorlatto, risultano spesso abbastanza marcate; cfr. Proprium Missæ ac horarum Officii diurnarum cum cantu ad usum FF. MM. Capuccinorum, Tornaci, Desclée, 1925, pagg. 122 e ss.

[3] Cfr. Proprium Officiorum ad usum Ordinis Fratrum Minorum Conventualium, Pars Æstiva, Romæ Marietti, 1951, pag. 76.

[4] Cfr. Proprium Officiorum ad usum Ordinis Fratrum Minorum Conventualium, Pars Hiemalis, Romæ Marietti, 1951, pagg. 134 e 142.


VESPERI SANT'ANTONIO (O.F.M. CONV.)

VESPERI SANT'ANTONIO (O.F.M. CONV.)

VESPERI SANT'ANTONIO (O.F.M. CONV.)

VESPERI SANT'ANTONIO (O.F.M. CONV.)

VESPERI SANT'ANTONIO (O.F.M. CONV.)

VESPERI SANT'ANTONIO (O.F.M. CONV.)

VESPERI SANT'ANTONIO (O.F.M. CONV.)

VESPERI SANT'ANTONIO (O.F.M. CONV.)

VESPERI SANT'ANTONIO (O.F.M. CONV.)

VESPERI SANT'ANTONIO (O.F.M. CONV.)

VESPERI SANT'ANTONIO (O.F.M. CONV.)

VESPERI SANT'ANTONIO (O.F.M. CONV.)

VESPERI SANT'ANTONIO (O.F.M. CONV.)

VESPERI SANT'ANTONIO (O.F.M. CONV.)

VESPERI SANT'ANTONIO (O.F.M. CONV.)

VESPERI SANT'ANTONIO (O.F.M. CONV.)

VESPERI SANT'ANTONIO (O.F.M. CONV.)

VESPERI SANT'ANTONIO (O.F.M. CONV.)

VESPERI SANT'ANTONIO (O.F.M. CONV.)

VESPERI SANT'ANTONIO (O.F.M. CONV.)