Una brevissima premessa.
Trieste,
estate 1849. Nell’imperversare della calura agostana, la fredda tenaglia del
colera iniziava a far sentire la propria stretta sulla popolazione della
città. Dopo la prima decade di settembre,
la Commissione Centrale di Sanità, non poteva nascondere il serpeggiare
dell’epidemia e dovette normare la condotta di una cittadinanza ormai in preda
al panico, non mancando l’invito accorato ad affidarsi alla Provvidenza. Per le
vie ardevano fuochi per riscaldare i paioli ricolmi di catrame, allora
considerato efficace presidio per disinfettare, per lo stesso motivo nelle case
si bruciava il ginepro. Centinaia di cadaveri attendevano sepoltura: le
cappelle obituarie di San Giusto e quella succursale di San Giacomo non
bastarono, fu necessario allestire un’ampia tettoia nel cimitero di Sant’Anna,
i funerali si susseguivano senza posa. Le brulicanti attività economiche ed i
vivaci commerci triestini avevano subito un brusco arresto, sicché lo spettro
della miseria si era sinistramente sommato a quello del morbo, sferzando, in
tetra sinergia, la popolazione sempre più provata e stremata. Medici,
farmacisti e clero della città si trovano impegnati continuamente per curare e
confortare gli sventurati, l’autorità civica seguitava a lodarne l’infaticabile
zelo e, di fronte al susseguirsi drammatico degli eventi, fece istanza al buon
cuore dei cittadini invitandoli alla solidarietà verso i più bisognosi, il cui
numero aumentava col trascorrere dei giorni. La fede dei triestini li portava a
recarsi continuamente nelle chiese a supplicare l’intervento divino,
specialmente a Santa Maria Maggiore, ove qualche anno prima, nella cappella
della navata di destra, era stata collocata l’immagine della Madonna della
Salute attribuita a Giovan Battista Salvi, il Sassoferrato, dono del
munifico conte Domenico Rossetti. Alla Madonna della Salute era già
dedicata una Confraternita eretta nella parrocchia nel 1827. Ma anche un’altra l’immagine catalizzò la
devozione dei triestini flagellati dal colera: la Madonna dei Fiori.
Attualmente collocata in una cappellina ricavata nel palazzo dell’Inail,
proprio sotto il Santuario di Santa Maria Maggiore, trae il nome dal terreno di
proprietà di Fiori, soprannome di tale Ferdinando Patarga, oriundo dello Stato
Pontificio, che la rinvenne durante gli scavi per l’edificazione della sua
osteria. Si tratta di un busto in marmo alabastrino di Carrara, opera dello
scalpello di un ignoto autore forse cinquecentesco, si potrebbe ritenere fosse un
tempo patrimonio di uno dei conventi che sorgevano nell’area. Il simulacro
lapideo venne collocato ai margini del campo di bocce dell’osteria del Patarga.
L’effige è nota ai triestini anche come Madonna della borela, lemma
dialettale che indica la boccia: pare che un giocatore, perse le staffe per
l’ennesimo tiro non andato a segno, scagliasse la boccia verso la statua che subito
prese a sanguinare. Secondo la tradizione, una popolana triestina si recò, durante
l’imperversare del cholera morbus, all’osteria per comperare del vino per
il fratello duramente colpito dal male. Nel mentre l’oste riempiva il fiasco,
la donna si raccolse in preghiera innanzi all’effige della Madonna. Qui fece il voto che, qualora l’affezionato
fratello fosse stato risanato, si sarebbe adoperata per onorare la Vergine
Maria con una processione votiva; una volta rincasata trovò il fratello guarito.
Sparsasi rapidamente la notizia tra il popolo, il Vescovo avrebbe acconsentito
lo svolgersi della processione.
Stando
alle cronache, il 15 ottobre del 1849, su interessamento della Confraternita
dei Battuti, si svolse una processione con la sacra effige, con la
partecipazione di migliaia di fedeli per impetrare l’intercessione della
Vergine affinché il colera cessasse di flagellare Trieste. Il pio sodalizio
aveva in carico la statua della Madonna che all’epoca si custodiva presso la
oggi non più esistente Cappella Conti, poco distante da Santa Maria
Maggiore, sede dello stesso. La stretta epidemica iniziò ad allentarsi: i primi
giorni di novembre l’Autorità cessò la pubblicazione del bollettino giornaliero
e, poco dopo, furono riaperte le scuole cittadine. Il 21 novembre, Festa
liturgica della Presentazione della Beata Vergine, monsignor Bartolomeo Legat, Vescovo
di Trieste e Capodistria, indisse una Festa votiva con processione «in rendimento di grazie all’Altissimo Dio per la cessazione del
morbo che funestò la città», l’Autorità civica dispose per la giornata la
chiusura delle attività industriali e degli esercizi commerciali. Di buon
mattino il Vescovo celebrò la Messa pontificale in Cattedrale e, dopo il canto
del Te Deum (opera di Luigi Ricci), l’effige della Madonna dei Fiori
fu recata in processione per le vie della città con oceanico concorso di
popolo. La processione si divise in direzione delle parrocchie urbane di
Sant’Antonio Nuovo, Beata Vergine del Soccorso e Santa Maria Maggiore ove, in
ciascuna di esse, si celebrò un’altra Messa e s’intonò nuovamente l’Inno
ambrosiano. Nel pomeriggio, nelle parrocchie cittadine, si tennero solenni
funzioni mariane innanzi al Santissimo Sacramento esposto. Fino agli anni
Sessanta dello scorso secolo era rimasto l’uso, attestato dai
calendari-direttori liturgici diocesani pubblicati annualmente, di cantare il
Te Deum e suonare le campane a festa nel tardo pomeriggio della Festa della
Presentazione in tutte le parrocchie cittadine (l’allora decanato urbano),
sicura eco e retaggio dei festeggiamenti di quel 21 novembre del 1849.
Contraccolpo della liberazione dal colera e dei festeggiamenti, fu
l’incrementare della devozione intorno la sacra effige, da allora detta anche Madonna
del Colera, e del dipinto sassoferratesco dono del Rossetti. La processione
venne ripetuta nel 1855 in coincidenza con un’epidemia, negli anni successivi
si registra un concentrarsi dei festeggiamenti proprio a Santa Maria Maggiore.
Ancora oggi la Festa della Madonna della Salute costituisce sicuramente la più
ampia espressione della pietà popolare triestina che richiama e raccoglie i fedeli
nella monumentale chiesa di Santa Maria Maggiore, eretta a Santuario
diocesano dal Vescovo monsignor Giampaolo Crepaldi (2011), una devozione
sempre viva e vivace sicuramente da valorizzare nella contingenza attuale.
Salus infirmórum, ora pro nobis.
Francesco G. Tolloi
![]() | |
| Cappella della Madonna Salute, addobbata per la Novena e la Festa della Salute |
![]() |
| Funzione serale della Festa della Madonna della Salute il Te Deum |
![]() |
| Folla di fedeli
durante la predicazione di padre Cornelio Relia OFM nella Festa della Madonna della Salute |
![]() |
| Altare Maggiore preparato per la Messa Pontificale della Festa della Salute |
![]() |
| Altare Maggiore nella Festa della Salute |






Nessun commento:
Posta un commento