Sul settimanale della diocesi di Trieste "Vita Nuova", con il quale ho modo di collaborare, ho pubblicato alcuni articoli divulgativi su vari santi martiri tergestini ed altri sono in procinto di redigere e pubblicare Ho pensato di proporli anche in questo mio blog (col consenso della Direzione del settimanale che qui ringrazio), col proposito di ampliarli in futuro magari con qualche parte dei propria o altro (ad esempio dell'epoca in cui vigeva l'uso aquileiense) e magari di creare una sezione ad essi dedicata; inizio proprio dal compatrono san Servolo.
F.G.T.
Circa a metà della navata di destra più estrema della cattedrale di Trieste, si apre una cappella dove, nel corpo di un sobrio e lineare altare eretto negli anni Trenta del Novecento, trova posto un’urna di cristallo intelaiata in metallo argentato, opera del goriziano Giuseppe Lipizer, in cui si scorgono le ossa, in particolare il cranio, attribuite a san Servolo martire e compatrono di Trieste. Ma chi fu questo Santo che la Chiesa triestina venera come compatrono e che il Martyrologium Romanum ne commemora il martirio il 24 di maggio?
Per ottenere qualche informazione dobbiamo
necessariamente rifarci alla sua Passio,
con la necessaria consapevolezza che, in questi casi, ci troviamo di fronte a
fonti compilate tardivamente e che spesso risentono di un certo modello
stilistico, talvolta manieristicamente ricalcato e persino imitato, tendente a
“fiorire” il nucleo del racconto fino quasi “offuscarlo”. Tuttavia non possiamo
aprioristicamente prescindere da esse proprio perché spesso si tratta dell’unica
testimonianza scritta.
Le ossa di san Servolo (Cattedrale di S. Giusto, Trieste) |
Per quanto concerne la Passio del nostro compatrono, come riferì mons. Vittorio Cian dalle
colonne del nostro settimanale poggiando la sua affermazione sugli studi del
Saxer, essa è «degna di considerazione e passibile di indagini ed
approfondimenti.» (Vita Nuova, 22 maggio 1987). Giuseppe Cuscito ha proposto, invece,
delle osservazioni circa l’assunto dello studioso basate sull’analisi delle
ossa che, diversamente da quanto narratoci dal racconto della passione,
attestano trattarsi di un unico individuo di età adulta e non di un adolescente
come tradito, ma anche su altri elementi quali la figura del preside
romano che vedremo protagonista della vicenda
(si veda in proposito: Cuscito G. Martiri cristiani ad Aquileia e in Istria, pp. 86 e ss.)
Dal testo della Passione apprendiamo che san Servolo era
un giovane laico, nato in una famiglia di spicco e benestante della Tergeste di allora che lo fece crescere
educandolo nella fede cristiana. L’indole del fanciullo ebbe a mostrarsi ben
presto incline alla spiritualità ed alla contemplazione, tanto che lo si
ritrova sovente immerso in quieta e profonda meditazione. Durante uno di questi
momenti, il ragazzo – per ispirazione divina e nel desiderio di unirsi più
intimamente al Signore – matura l’idea di ritirarsi a vita eremitica. A tale
proposito elegge per suo riparo e luogo di ritiro dal secolo lo speco che in
sua memoria ed onore ancora ne porta il nome. Questo luogo si trova in
territorio della Repubblica di Slovenia, alle spalle del comune di Dolina,
sopra di esso è sorto un castello, di cui oggi sopravvive solo una modesta parte,
tra le cui mura tanta storia locale è passata.
Trascorsero quasi due anni, spesi tra preghiera, digiuni
e mortificazione e all’insegna dell’anacoretismo, quando, la stessa divina
ispirazione, lo portò a decidere di far ritorno presso i suoi cari. Nel
percorrere il cammino verso casa, la sua strada fu attraversata da un serpente
di grosse dimensioni. La vista del rettile atterrì Servolo che, una volta
rincuoratosi, si avvicinò e con la sua mano tracciò un segno di croce e quindi
soffiò provocando la morte istantanea del grosso serpente. Tra i tanti miracoli
e prodigi attribuiti a Servolo ho ritenuto di riportare il primo di cui si riferisce
per l’impatto che ebbe per l’iconografia, tanto che il martire san Servolo è
quasi sempre rappresentato con ai piedi un serpente (nei celebri medaglioni di Pompeo
Randi nella chiesa triestina dei Cappuccini di Montuzza, il serpente assume le
proporzioni di un drago).
Guarigioni, esorcismi, numerose conversioni diffusero la
fama del Santo, sicché numerosi fra i triestini di allora accorrevano presso la
casa di Servolo per essere da lui aiutati o sollevati. Ma con la crescente fama
di santità, crebbe – del pari – il sospetto delle autorità romane preoccupate
di veder distogliere i triestini dalla frequentazione dei templi delle divinità
pagane. Fu proprio questa accusa che fu avanzata a Servolo tradotto in catene
innanzi al preside Giunilo che dava corso agli editti dell’imperatore Numeriano
volti a reprimere il cristianesimo. Il preside accusava di magia il nostro
compatrono che ruppe il suo silenzio solo per dare testimonianza che i miracoli
si attuavano per volontà di Cristo che tramite il suo operato si manifestava. La
risoluta risposta di Servolo esacerbò Giunilo che impartì l’ordine di
percuotere duramente il giovane che oppose, per contro, la sua fermezza e
serenità. La perseveranza del giovane fu motivo dell’inacerbirsi dei supplizi inferti
dai pagani persecutori: Servolo si vide lacerare le sue carni con acuminati
uncini di ferro, fu straziato sull’eculeo, infine – per infiggere maggior
tormento – dell’olio bollente fu cosparso sulle sue ferite aperte e
sanguinanti. Ma dinnanzi a questo crescendo di crudeltà inferta Servolo
mantenne la serenità. Esasperato da un tanto il preside ordinò la decapitazione
di Servolo. Si compiva così il suo martirio, stando sempre alla Passio era il 24 maggio dell’anno 284. Durante
la notte che seguì questi fatti, sua madre Clementia, si premurò di prelevare
il corpo del figlio martire e per dargli – con l’aiuto di altri correligionari
– una adeguata nonché degna ed onorata sepoltura.
La prima testimonianza artistica che attesta il culto di
san Servolo ci è data dal mosaico dell’abside meridionale della basilica
cattedrale di Trieste, ove san Servolo è raffigurato a destra del patrono
principale san Giusto.
San Servolo (dettaglio mosaico XIII secolo, Cattedrale di S. Giusto, Trieste) |
La presenza nei testi liturgici locali è attestata con
costanza dal quattrocentesco Breviarium
ordinato secondo gli usi aquileiesi (cessati nel 1596) e il calendario locale nonché
nei Propria diocesani.
Va segnalato che nel XVI secolo in città si
tenevano vivaci festeggiamenti in onore di san Servolo che culminavano con la
processione con l’offerta delle cere presso le reliquie del martire e con una
gara di balestra che si teneva nella “Piazza Maggiore”, con celebrazioni e
manifestazioni che si protraevano per gli otto giorni successivi, un tanto ci
dice del legame dei nostri concittadini di allora con i Santi protettori.
Non si ha certezza di luoghi di culto intitolati al santo
martire compatrono, sebbene mons. Giusto Buttignoni ritenga che la piccola via
omonima, alle pendici del rione di San Giacomo, tragga la denominazione da una
chiesa non più esistente (San Giusto e
gli altri Martiri Triestini, p. 43). Va notato che il Buttignoni sovente
tende a dar spiegazione degli agiotoponimi sulla scorta di edifici sacri un
tempo presenti. Invece possiamo in modo più verosimile sostenere l’esistenza di
una chiesa ipogea proprio nella grotta ove visse san Servolo di cui rimane un
altare. Appare certo che la tradizione locale circondava anticamente questo
luogo di un’aura di sacralità: si usava, ad esempio, recarsi a raccogliere
l’acqua di stillicidio nella grotta e le si attribuivano poteri miracolosi
dovuti all’intercessione del Santo. Il Valvasor, parlando di questo luogo, alla
fine del Seicento, riporta una leggenda secondo la quale nei dintorni non
crescono le rape bianche, il popolo ricercava la spiegazione in una punizione
di san Servolo che non fu sfamato dagli antichi paesani. Il fervore intorno a
questo luogo ebbe a scemare nel secondo dopoguerra complici anche i dolorosi
eventi che segnarono quei territori contesi.
Francesco G. Tolloi
francesco.tolloi@gmail.com
Lezioni
del secondo Notturno.
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[Lectio
iv] Sérvulus, patre Eulógio, matre Cleméntia, Tergésti natus et ab infántia
in Christi religióne pie educátus, cum duódecim esset annórum, extra
civitátem in specum, quæ hodiédum sancti Sérvuli appelátur et altáre in ejus
honórem eréctum habet, ubi vitam omni pœnitentiárum génere ásperam, sed rerum
cæléstium contemplatióne et Dómini sui amóre suávem, per annum et novem
menses duxit. Inde, monénte Deo, egréssus, cum domum patérnam repéteret in
via serpéntem ingéntis magnitúdinis, signo crucis múniens se et in eum
insúfflans, necávit. Sed et visus est mirábile impérium in serpéntem infernálem obtinuísse;
obséssum enim a dǽmone liberávit, píaque fert tradítio, néminem ex
Tergestínis, ipso intercedénte, umquam dǽmonum infestatióne vexátum, uti nec
domus, vel loca in quibus áliquid rúderum ex ejus specu pie asservarétur.
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Servolo,
nato a Trieste dal padre Eulogio e la madre Clemenzia, essendo stato educato
piamente nella religione di Cristo fin dall’infanzia, all’età di 12 anni si
ritirò per un anno e nove mesi in una grotta, che oggi è chimata di San
Servolo e ha un altare a lui dedicato, dove visse aspramente per ogni genere
di penitenze ma anche dolcemente per la contemplazione delle cose celesti e
l’amore del suo Signore. Uscito di là, per ordine divino, mentre ritornava
verso casa, uccise un enorme serpente facendosi il segno della croce e soffiando
su di lui. Ma anche fu chiaro che egli aveva acquisito un miracoloso imperio
sul serpente infernale; egli, infatti, liberò un possesso dal demonio e una
pia tradizione tramanda che nessun triestino poteva essere attaccato dai
demoni, né nessuna casa o luogo dove si conservasse piamente un qualche
rudere della sua grotta.
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[Lectio
v] Mórtuo patre, cum Evangélii veritátem palam enúntians, Fulgéntiæ, nóbilis
matrónæ, fílium qui letháli febri laborábat, apprehénsa manu, matri incólumem
reddidísset, eóque miráculo matrem cum fílio ad fidem convertísset, et
Dídymum cæmentárium, qui ex alto præceps rúerat, invocáto Christi nómine,
prótinus sanásset; jubénte prǽside comprehénsus et in confessióne fídei
constánter persevérans, nervis dire cǽditur, in equúleo torquétur, férreis
úngulis excarnificántur et fervénti óleo nudus perfúnditur.
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Dopo la
morte del padre, mentre stava liberamente annunciando la verità evangelica,
dopo che ebbe restituito incolume, prendolo per mano, alla nobile Matrona Fulgentia,
il figlio che era affetto da una febbre letale, e dopo aver convertito alla
fede, grazie a tale miracolo la madre e il figlio, e dopo aver sanato, per
l’invocazione del nome di Cristo, il muratore Didimo, che era caduto
dall’alto, per ordine del magistrato fu catturato e, perseverano nella
confessione di fede con costanza, fu frustrato atrocemente, torturato sull’eculeo,
fu scarnificato con artigli di ferro e cosparso, nudo, di olio bollente.
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[Lectio
vi] Quæ torménta cum sanctus Conféssor ætate adhuc juveníli, fortitúdine
tamen plus quam viríli superásset, mortis tandem senténtiam lætus suscípiens,
gloriósam martýrii palmam cápitis obtruncatióne proméruit, anno Dómini
ducentésimo octogésimo quarto. Ejus corpus Cleméntia, pia mater, honorífice sepelívit;
sacras ejus relíquias, póstmodum in arca marmórea decénter cónditas, in
ecclésia cathedráli Divi Justi magna cum devotióne Tergestíni venerántur,
eúnque inter civitátis Patrónos retulérunt.
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Dopo
aver sopportato con una forza più che virile tali tormenti, lui, il Santo
Confessore, ancora cosi giovane, ricevendo con gioia la sentenza di morte,
meritò la gloriosa palma del martirio per decapitazione, nell’Anno del
Signore 284. Clemenzia, la sua pia madre, seppellì il corpo con onore. I
triestini venerano con grande devozione le sue reliquie, ricomposte, poi in
un’arca di marmo, nella chiesa cattedrale di San Giusto, e lo annumerarono
tra i patroni della città.
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Da: Proprium
Officiorum pro unitis Dioecesibus Tergestina et Justinopolitana, Pars
Verna, Ratisbonae et Romae, Pustet, 1915, pp. 20 e s. (vescovo A. Karlin)
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* Le edizioni precedenti riportano gli stessi testi per le lezioni; ad esempio Proprium Officiorum pro unitis Dioecesibus Tergestina et Justinopolitana, Tergesti, Cum Typis S. Pastori, 1884, pp 148 e ss. (del vescovo G. N. Glavina), o Proprium Officiorum in usum Ecclesiarum unitarum Dioeceson Tergestinae et Justinopolitanae, Pars Verna, Ratisbonae-Romae-Neo Eboraci, Pustet, 1900, pp. 63* e ss. (vescovo A. M. Sterk) La festa del compatrono era celebrata come duplex majus. Nei propria redatti ad mentem delle riforme di San Giovanni XXIII, san Servolo è Commemoratio e dunque non ci sono le lezioni anzidette; cfr. Proprium Officiorum pro Dioecesi Tergestina, Torino, Marietti, 1964, p. 11 e s. (arcivescovo A. Santin).
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