In prossimità della festa di San Giusto, patrono principale della Città e Diocesi di Trieste, riprendo un mio contributo pubblicato dal settimanale diocesano "Vita Nuova" (le cui pubblicazioni sono cessate durante l'estate 2020) lo scorso 1 novembre. Aggiungo, come di consueto, le lezioni del secondo Notturno con traduzione e mi riservo ulteriori integrazioni.
Viva San Giusto nostro Patrono!
F.G.T.
Dettaglio di San Giusto
(campanile della Cattedrale di Trieste)
Era in corso l’ultima ma più sistematica e feroce delle persecuzioni che segnarono i primi secoli del Cristianesimo, quella inaugurata dall’imperatore Diocleziano, quando Giusto (“Justus opere et nomine” come dice il suo Inno), il 2 novembre del 303, saldo nella salvifica fede in Cristo fu messo a morte per annegamento nelle acque del nostro golfo. L’esecuzione capitale – stando al racconto tramandatoci dalla sua Passio – era seguita a un processo, condotto dal governatore di Trieste Manacio, il cui esito era scontato stante il risoluto rifiuto di Giusto di rinnegare il Signore e, tantomeno, di offrire sacrifici agli idoli dei pagani. Fu così che Manacio pronunciò la sentenza di morte, dando ordine ai soldati affinché lo annegassero. Giusto si vide avvolgere mani e piedi con una robusta fune cui erano fissate pesanti zavorre: i romani volevano che il corpo del martire non riemergesse dalle acque per scongiurare che, ai suoi resti mortali, i cristiani rivolgessero la loro devozione e venerazione.
Giusto affrontò il cammino verso il mare con serenità prendendo congedo dai fratelli nella fede che lo incontravano lungo la via. Caricato su una barca, una volta al largo, gli aguzzini lo gettarono nelle acque, certi che il corpo – così caricato – sarebbe rimasto sul fondale. Ma poco prima che il sole tramontasse all’orizzonte del nostro golfo, i lacci si sciolsero così che il corpo di Giusto fu sospinto dalla corrente sino ad una spiaggia, presumibilmente nella zona della Sacchetta. Quella notte il sacerdote Sebastiano ebbe una visione: Giusto, indicandogli il luogo dove erano giunte le sue spoglie, lo esortò a recuperarle e seppellirle in modo che i pagani non le profanassero.
Alla visione del presbitero Sebastiano, va ricordato, era associata una seconda festa in onore del nostro Patrono principale che ricorreva il 27 giugno “In Apparitione S. Justi”, che fu espunta dai Propria diocesani all’epoca di san Pio X (ultimo a testimoniarcela, all’epoca di mons. Sterck, è il Proprium officiorum, Pars aestiva, Ratisbonae, Pustet, 1900, p. 28*). Come si è visto la nascita al cielo di san Giusto si ritiene essere il 2 novembre come riportato anche dal Martyrologium romanum, ma la sua festa si celebra il 3 ma è così da poco più di un secolo.
Circa il motivo dello
spostamento va precisato che è legato a motivi intrinseci alle norme liturgiche:
ciò va detto perché periodicamente capita di sentire opinioni che lo vorrebbero
legato ad un fattore estrinseco, ovverosia l’ingresso delle truppe italiane nel
novembre del 1918 e l’annessione al Regno d’Italia della nostra città. A
chiarirci che tale opinione è destituita del men che minimo fondamento basta
porre attenzione al Directorium Liturgicum per l’anno 1918, stampato
l’anno precedente (Trieste, F.lli Mosettig, 1917); esso era il calendario
liturgico, redatto annualmente, laddove giorno per giorno – tenuto conto del
calendario universale e di quello locale – si dava il modo di ordinare l’Ufficio
Divino e l’indicazione di che Messa celebrare. Il 3 novembre di quell’anno
cadeva di domenica: a Trieste, nel suo territorio e nella parrocchia di Castel
San Quirico/Sočerga (diocesi di Capodistria) si celebrava san Giusto con il
grado di Doppio di I classe con Ottava comune (p. 123 e s.). Puntualmente, il
giorno precedente a Trieste, come ovunque, si era celebrata la Commemorazione
dei Fedeli Defunti. Dunque la “riposizione” della festa nel 1918 era già
avvenuta. Ma quale era stato il motivo, come si è detto intrinseco alle leggi
liturgiche, che aveva cagionato questo spostamento? Esso è da individuarsi nel
rapporto, detto di “occorrenza perpetua” tra la festa del nostro Patrono e la
Commemorazione dei Defunti. Quest’ultima, negli anni precedenti, aveva subito
una serie di modifiche: fino all’epoca di san Pio X, il 2 novembre era il primo
giorno dell’Ottava di Ognissanti e di questa, secondo il calendario universale,
si diceva l’ufficio cui – come in altre occasioni – si aggiungeva l’Ufficio dei
Morti che non possedeva che le ore canoniche del Vespero, Mattutino e Lodi.
Nell’occasione, l’ufficio dei Morti era celebrato con rito doppio e con il
Mattutino composto da tre notturni (cfr. Breviarium romanum, Tornaci,
Desclée, 1884, Pars autumnalis, p. 481 e s.). Con la riforma di san Pio
X (bolla “Divino afflatu”, 1911), alla Commemorazione dei Defunti – pur
mantenendo il rito Duplex – si modificano le lezioni del secondo
notturno e terzo Notturno e si aggiungono le “Ore minori” (cfr. Breviarium
romanum, Romae, Polyglottis Vaticanis, 1915, pp. 1411 e ss.). In sostanza
si mise da parte l’usuale Ufficio della Feria dell’Ottava di Ognissanti e lo si
sostituì con un Ufficio completo di cui parte è di nuova formulazione. Anche
davanti al sopravvenuto “status quo”, almeno per un po’, Trieste mantenne la
festa del Patrono principale al 2 novembre: ad attestarcelo è il Proprium
officiorum approvato il 31 marzo del 1915 da mons. Andrej Karlin (Pars
autumnalis, Ratisbonae, Pustet, pp. 7 * e ss.), di conseguenza la
Commemorazione dei Defunti passava al giorno successivo. Lo stesso anno papa
Benedetto XV con la Costituzione Apostolica “Incruentum Altaris Sacrificium”
(10 agosto 1915), volle estendere un privilegio già concesso dal suo
predecessore Benedetto XIV ai regni ispanici e lusitani (1748) ossia quello di
dare a ciascun sacerdote la possibilità di celebrare, il giorno dei morti, tre
Messe. Il motivo era dato soprattutto dalla guerra che stava insanguinando
l’Europa, quell’immane conflitto che il papa, nella sua nitida lungimiranza,
ebbe a definire “inutile strage”. È dinnanzi a questa fisionomia assunta dalla
Commemorazione dei Defunti che la festa di san Giusto fu riposta al 3 novembre
adeguandosi alla prassi già vigente fuori Trieste, nei luoghi laddove egli
figurava nei calendari propri, di celebrarlo in tale giorno (es. a Gorizia).
Esisteva però, fino all’epoca a noi più vicina di san Paolo VI, la possibilità che
san Giusto fosse celebrato il giorno 2 novembre. Ciò avveniva allorquando il 2
novembre cadeva di domenica: la Commemorazione dei Defunti passava, infatti, il
giorno successivo e, secondo il calendario universale si celebrava la domenica,
che a Trieste veniva solamente commemorata ( per “occorrenza”) per lasciare
posto ai testi del santo Patrono.
Francesco
G. Tolloi
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San Giusto regge il modello della Città di Trieste (Cattedrale di Trieste, dettaglio da affresco del tardo XIV sec.) |
Lezioni
del secondo Notturno [Lectio
iv] Justus ex christiánis paréntibus Tergéste, Aquiléjæ provínciæ civitáte,
natus sub Diocletiáno et Maximiáno princípibus, fervénti in Deum caritáte,
præcípua in páuperes misericórdia, omníque génere virtútum flóruit. A Manátio
præfécto, qui ab eísdem princípibus mandátum accéperat, occidéndi quoscúmque
falsos deos venerári renuéntes, accersítus, se christiánam religiónem
profíteri, et Christum Jesum verum Deum et hóminem venerári, inanésque
géntium deos detestári líbere respóndit. Giusto, nato sotto gli
imperatori Diocleziano e Massimiano da genitori cristiani a Trieste, città
della provincia di Aquileia, si distinse per una carità fervente verso Dio,
una misericordia unica verso i poveri, e per ogni genere di virtù. Il
prefetto Manazio, che aveva ricevuto il mandato dai due imperatori di
uccidere chiunque avesse rifiutato di venerare i falsi dei, lo chiamò ed egli,
con libertà, rispose di confessare la religione cristiana, e di venerare
Cristo Gesù come vero Dio e vero uomo e di disprezzare gli idoli morti dei
pagani. [Lectio v]
Cumque præses nec pollicitatiónibus, nec nimis Justum a sancto suo propósito
dimovére valuísset, in obscúrum tetrúmque cárcerem detrúdi mandávit; ubi
assíduis précibus per totam noctem Deum deprecátus est, ut ad palmam martýrii
sua summa miseratióne, eum perdúcere dignarétur. Mane sequénti e cárcere
edúctus Manátio sístitur, in eodémque propósito venerándi Christum Dóminum
viríliter pérmanens, ac falsis diis sacrificáre recúsans, denudári ac diris
flagéllis cædi jussus est. Dal momento
che il magistrato non potè smuovere Giusto dal suo santo proposito né con
promesse né con minacce, ordinò di gettarlo in un oscuro carcere; ivi
supplicò Dio con assidue preghiere per tutta la notte che si degnasse di
condurlo per la Sua somma misericordia alla palma del martirio. Il mattino
seguente, ricondotto dal carcere si trovò di fronte a Manazio, rimanendo
virilmente fermo nel medesimo proposito di venerare Cristo Signore e nel
rifiuto di sacrificare ai falsi dei,
si diede l’ordine di denudarlo e frustarlo. [Lectio vi]
At cum non solum fórtiter, verum étiam álacri ánimo eum præses sustinére vim
tormentórum prospíceret, ira commótus, jubet et grávibus plumbi pondéribus ad
ejus collum et manus alligátis, in mare demergerétur. Quod cum Justus
audívit, vale dicto frátribus, suscípiens ípsemet póndera, quibus premebátur,
festínans quasi ad épulas itúrus, ad litus progréditur, ibíque parva in
scapha impósitus, et in altum delátus, atque in profúndum projéctus, preces
Deo fundens, eíque grátias agens, martýrium consummávit quarto Nonas
Novémbris. Fertur étiam, Sanctum eadem nocte cuidam presbýtero nómine
Sebastiáno apparuísse, eíque imperásse, ut ejus corpus ad litus dirúptis
vínculis jam appúlsum sepelíret, idque honorífice factum fuísse, multis
conveniéntibus christiánis. E quando
il magistrato lo vide sopportare la durezza del supplizio non solo con forza
ma quasi di buon animo, mosso dall’ira, ordinò che fosse annegato nel mare
dopo avergli legato al collo e alle mani di pesi di piombo. Quando Giusto lo
seppe, quasi quale un saluto augurale per i fratelli, prendendo egli stesso
in mano i pesi dai quali era imprigionato, con passo veloce, quasi andasse a
un pranzo, si reco alla riva, e li, entrato in una piccola barca, portato al
largo, fu gettato nel mare, mentre pregava Dio e Gli rendeva grazie,
consumando il martirio il quarto giorno prima delle none di novembre. Si
narra anche che il Santo, la medesima notte, fosse apparso a un presbitero di
nome Sebastiano e che gli ordinasse di seppellire il suo corpo che, liberato
dalle catene, già era stato sospinto alla riva, e che ciò venisse fatto con
grandi onori alla presenza di molti cristiani. Da: Proprium
Officiorum pro unitis Dioecesibus Tergestina et Justinopolitana, Pars
Autumnalis, Ratisbonae et Romae, Pustet, 1918, pp. 8 e s. (vescovo A. Karlin)
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