venerdì 21 novembre 2025

La devozione triestina alla Madonna della Salute. La sua origine tra storia e tradizioni.

Una brevissima premessa.

Trieste città laica. Spesso si sente questa frase esprimendo qualche considerazione sulla religiosità triestina. Eppure chi come me ha superato il mezzo secolo, ben ricorda, fino qualche decennio fa, le folle di triestini che nella festa della Presentazione della Beata Vergine Maria (21 novembre), incuranti della Bora, che spesso sferzava la città in quel periodo dell'anno, o della pioggia battente, salivano la ripida via Donota o la scalinata, per rendere omaggio alla "Madonna della Salute", venerata nella chiesa di Santa Maria Maggiore. Oggi i numeri non sono più quelli di un tempo, ma pur sempre resta la devozione che più alberga nel cuore dei triestini.
Per tale motivo, oggi 21 novembre del 2025, ho pensato di riprendere un mio articolo scritto per "Il domenicale di San Giusto", settimanale della diocesi triestina (pubblicato nel 2021 e qui scaricabile in pdf), mettendolo a disposizione dei miei lettori. Ringrazio qui il mio caro amico Diego Tissini per avermi messo a disposizione alcune foto storiche della sua collezione.

F. G. T.

Madonna della Salute (Sassoferrato)



Trieste, estate 1849. Nell’imperversare della calura agostana, la fredda tenaglia del colera iniziava a far sentire la propria stretta sulla popolazione della città.  Dopo la prima decade di settembre, la Commissione Centrale di Sanità, non poteva nascondere il serpeggiare dell’epidemia e dovette normare la condotta di una cittadinanza ormai in preda al panico, non mancando l’invito accorato ad affidarsi alla Provvidenza. Per le vie ardevano fuochi per riscaldare i paioli ricolmi di catrame, allora considerato efficace presidio per disinfettare, per lo stesso motivo nelle case si bruciava il ginepro. Centinaia di cadaveri attendevano sepoltura: le cappelle obituarie di San Giusto e quella succursale di San Giacomo non bastarono, fu necessario allestire un’ampia tettoia nel cimitero di Sant’Anna, i funerali si susseguivano senza posa. Le brulicanti attività economiche ed i vivaci commerci triestini avevano subito un brusco arresto, sicché lo spettro della miseria si era sinistramente sommato a quello del morbo, sferzando, in tetra sinergia, la popolazione sempre più provata e stremata. Medici, farmacisti e clero della città si trovano impegnati continuamente per curare e confortare gli sventurati, l’autorità civica seguitava a lodarne l’infaticabile zelo e, di fronte al susseguirsi drammatico degli eventi, fece istanza al buon cuore dei cittadini invitandoli alla solidarietà verso i più bisognosi, il cui numero aumentava col trascorrere dei giorni. La fede dei triestini li portava a recarsi continuamente nelle chiese a supplicare l’intervento divino, specialmente a Santa Maria Maggiore, ove qualche anno prima, nella cappella della navata di destra, era stata collocata l’immagine della Madonna della Salute attribuita a Giovan Battista Salvi, il Sassoferrato, dono del munifico conte Domenico Rossetti. Alla Madonna della Salute era già dedicata una Confraternita eretta nella parrocchia nel 1827.  Ma anche un’altra l’immagine catalizzò la devozione dei triestini flagellati dal colera: la Madonna dei Fiori. Attualmente collocata in una cappellina ricavata nel palazzo dell’Inail, proprio sotto il Santuario di Santa Maria Maggiore, trae il nome dal terreno di proprietà di Fiori, soprannome di tale Ferdinando Patarga, oriundo dello Stato Pontificio, che la rinvenne durante gli scavi per l’edificazione della sua osteria. Si tratta di un busto in marmo alabastrino di Carrara, opera dello scalpello di un ignoto autore forse cinquecentesco, si potrebbe ritenere fosse un tempo patrimonio di uno dei conventi che sorgevano nell’area. Il simulacro lapideo venne collocato ai margini del campo di bocce dell’osteria del Patarga. L’effige è nota ai triestini anche come Madonna della borela, lemma dialettale che indica la boccia: pare che un giocatore, perse le staffe per l’ennesimo tiro non andato a segno, scagliasse la boccia verso la statua che subito prese a sanguinare. Secondo la tradizione, una popolana triestina si recò, durante l’imperversare del cholera morbus, all’osteria per comperare del vino per il fratello duramente colpito dal male. Nel mentre l’oste riempiva il fiasco, la donna si raccolse in preghiera innanzi all’effige della Madonna.  Qui fece il voto che, qualora l’affezionato fratello fosse stato risanato, si sarebbe adoperata per onorare la Vergine Maria con una processione votiva; una volta rincasata trovò il fratello guarito. Sparsasi rapidamente la notizia tra il popolo, il Vescovo avrebbe acconsentito lo svolgersi della processione.

Stando alle cronache, il 15 ottobre del 1849, su interessamento della Confraternita dei Battuti, si svolse una processione con la sacra effige, con la partecipazione di migliaia di fedeli per impetrare l’intercessione della Vergine affinché il colera cessasse di flagellare Trieste. Il pio sodalizio aveva in carico la statua della Madonna che all’epoca si custodiva presso la oggi non più esistente Cappella Conti, poco distante da Santa Maria Maggiore, sede dello stesso. La stretta epidemica iniziò ad allentarsi: i primi giorni di novembre l’Autorità cessò la pubblicazione del bollettino giornaliero e, poco dopo, furono riaperte le scuole cittadine. Il 21 novembre, Festa liturgica della Presentazione della Beata Vergine, monsignor Bartolomeo Legat, Vescovo di Trieste e Capodistria, indisse una Festa votiva con processione «in rendimento di grazie all’Altissimo Dio per la cessazione del morbo che funestò la città», l’Autorità civica dispose per la giornata la chiusura delle attività industriali e degli esercizi commerciali. Di buon mattino il Vescovo celebrò la Messa pontificale in Cattedrale e, dopo il canto del Te Deum (opera di Luigi Ricci), l’effige della Madonna dei Fiori fu recata in processione per le vie della città con oceanico concorso di popolo. La processione si divise in direzione delle parrocchie urbane di Sant’Antonio Nuovo, Beata Vergine del Soccorso e Santa Maria Maggiore ove, in ciascuna di esse, si celebrò un’altra Messa e s’intonò nuovamente l’Inno ambrosiano. Nel pomeriggio, nelle parrocchie cittadine, si tennero solenni funzioni mariane innanzi al Santissimo Sacramento esposto. Fino agli anni Sessanta dello scorso secolo era rimasto l’uso, attestato dai calendari-direttori liturgici diocesani pubblicati annualmente, di cantare il Te Deum e suonare le campane a festa nel tardo pomeriggio della Festa della Presentazione in tutte le parrocchie cittadine (l’allora decanato urbano), sicura eco e retaggio dei festeggiamenti di quel 21 novembre del 1849. Contraccolpo della liberazione dal colera e dei festeggiamenti, fu l’incrementare della devozione intorno la sacra effige, da allora detta anche Madonna del Colera, e del dipinto sassoferratesco dono del Rossetti. La processione venne ripetuta nel 1855 in coincidenza con un’epidemia, negli anni successivi si registra un concentrarsi dei festeggiamenti proprio a Santa Maria Maggiore. Ancora oggi la Festa della Madonna della Salute costituisce sicuramente la più ampia espressione della pietà popolare triestina che richiama e raccoglie i fedeli nella monumentale chiesa di Santa Maria Maggiore, eretta a Santuario diocesano dal Vescovo monsignor Giampaolo Crepaldi (2011), una devozione sempre viva e vivace sicuramente da valorizzare nella contingenza attuale.

Salus infirmórum, ora pro nobis.

 

Francesco  G. Tolloi

Festa della Madonna della Salute (Trieste)
Cappella della Madonna Salute,
addobbata per la Novena e la Festa della Salute

Festa della Madonna della Salute (Trieste)
Funzione serale della Festa della Madonna della Salute
il Te Deum

Predicazione della Madonna della Salute
Folla di fedeli durante la predicazione
di padre Cornelio Relia OFM
nella Festa della Madonna della Salute

Festa della Madonna della Salute
Altare Maggiore preparato per
la Messa Pontificale della
Festa della Salute

Festa della Madonna della Salute (Trieste)
Altare Maggiore nella
Festa della Salute