Così l’ho sempre sentito cantare a Trieste, città che, quasi cinquanta tre anni fa, mi diede i natali. Non è certamente una melodia autoctona: la si sente in molti posti e, se ci si fa ben caso, la si esegue in modo simile ma mai uguale. Tante variazioni ad una stessa melodia che porterebbero quasi a dire “posto che vai Te Deum che trovi”. Quindi, ben lungi da voler dire come va cantato, vengo semplicemente ad esporre come si canta(va) nelle parrocchie cittadine di Trieste; uso l’aggettivo “cittadine” proprio perché non so per certo se vi fossero altre variazioni melodiche in centri appartenenti al territorio della diocesi tergestina (ad esempio Muggia), men che meno nella estensione storica della stessa. Assieme a due cari amici cantori concittadini, Ivo Borri e Diego Tissini, ho ritenuto, nell’imminenza dell’ultimo giorno dell’anno civile, in cui tradizionalmente si canta, semplicemente di riordinarlo e dargli un assetto fruibile “ne pereat”. Tutto qua. Unica cosa che ho abbozzato è una ricerca sulle fonti bibliografiche in mio possesso e perciò da me immediatamente raggiungibili, le elenco in ordine di pubblicazione.
La prima di esse è il Cantus
Monastici Formula, Tornaci Nerviorum, Desclée Lefebvre, 1889. Si tratta di
un “cantorino” ad uso della congregazione benedettina cassinense: a mio parere
è la fonte più interessante, non fosse altro perché la più datata. Il volume è,
sostanzialmente, una silloge di toni comuni: si va da melodie per le Lezioni di
mattutino, per il canto dell’Epistola, del Vangelo, delle Lezioni delle “Tenebræ”
ecc. La raccolta è sostanzialmente divisa in due parti: la prima raccoglie le
modulazioni più antiche della congregazione, la seconda è dedicata alla riproduzione
delle “melodiæ quædam recentiores” (laddove fanno capolino moduli salmodici “irregolari”
a doppia corda di recita della tradizione di alcuni monasteri, formule per il Benedicamus,
altri toni per le pericopi scritturali). Del “nostro” Te Deum vi è l’indicazione
musicale della prima strofa (pag. 22): diversamente dalla vulgata triestina, la
corda qui si abbassa dal do al si sull’seconda sillaba di “Deum” e figura un podatus
(la-si) sull’ultima sillaba di “Dóminum”, tutta via la melodia è perfettamente
riconoscibile. Molto interessante la rubrica che lo precede e che ne indica la
destinazione: a fine di Mattutino “In Festis minoribus et in Dominicis diebus
solet cani sequens”. Tale precisione è chiaramente indizio di utilizzo e non si
tratta semplicemente di un qualcosa messo là al solo scopo di essere raccolto!
Pressoché coeve altre due fonti:
in entrambe la melodia del Te Deum è qualificata come popolare: la prima
è il Liber Cantus, Vicenza, Associazione Italiana di Santa Cecilia, 1932
laddove, il modulo melodico, è rappresentato su notazione “moderna”, come
peraltro l’intera opera, in pentagramma (pag. 995), la seconda ci porta
nuovamente tra i cassinesi, e più precisamente all’arcicenobio di Montecassino,
incontrovertibilmente uno dei luoghi più significativi della tradizione
benedettina. Si tratta del Liber Choralis Sancti Archicœnobi Casinensis,
s.l. [Montecassino], Typis Archicœnobi, 1933. Si tratta, come già per il primo testo,
di un “cantorino” di utilizzo monastico, ricco di toni peculiari e
caratteristici, qui troviamo il Te Deum “tono populari”, esplicitato
melodicamente strofa per strofa (pagg. 181 e ss.) con indicazione modale.
Ometto di indicare qui identità, analogie e differenze: la melodia è
perfettamente riconoscibile.
La quarta fonte bibliografica ci
porta ancora in ambito monastico. Si tratta del “cantorino” della Badia di Cava
dei Tirreni: Liber Choralis Sacri Monasterii SS. Trinitatis Cavæ, S.L.
[Cava dei Tirreni], Manuscripti instar, 1942. Qui troviamo la melodia del Te
Deum a pagg. 171 e ss.
La quinta ed ultima pubblicazione
riguarda un’opera di un sacerdote del clero del Patriarcato di Venezia sul c.d.
“canto patriarchino” nella sua variante veneziana: M. Dal Tin, Melodie tradizionali
Patriarchine di Venezia, Padova, Panda, 1991. Qui una melodia che si riconosce
come “parente” di quella fin qui riferita, si trova a pagg. 42 e ss. Don Mario Dal
Tin ci dà, oltre alla notazione strofa per strofa, anche uno “schema” di cui
qui riproduco una scansione per coglierne le sfumature e diversità.
È immediatamente percepibile il
maggiore sviluppo che ne enfatizza la ricchezza e la solennità. La domanda
sorge spontanea: si tratta di uno sviluppo posteriore di una melodia più
semplice o la più scarna non rappresenta che la semplificazione di quella più
ricca. Allo stato attuale della mia conoscenza ritengo impossibile dare una
risposta. Ma non è l’unico piccolo mistero in questa vicenda. Il lettore
paziente avrà notato che su cinque testimonianze bibliografiche, più della metà
(tre su cinque!) provengono da ambiente monastico. La domanda che mi pongo,
anche in questo caso destinata ad essere irrisposta, è se tale Te Deum “tono
populari”, sia nato - come il nome, appunto, parrebbe suggerire, tra il popolo per
poi essere portato tra le mura del monastero o se, viceversa, abbia fatto il
percorso esattamente inverso.
Quali che siano le risposte sulle
origini e le più o meno nobili ascendenze di questo Te Deum, ritengo che
costituisca una testimonianza della fede della nostra gente e mi auguro che il
mio modestissimo lavoro contribuisca, in qualche misura, a scamparlo dall’estinzione.
Francesco G. Tolloi
Ripromettendomi di cantarlo
assieme a degli amici e registrarlo per poi implementarlo come parte di questo mio
contributo, offro due possibilità di download
- Formato A5 con le pagine disposte di seguito;
- Booklet con le pagine in segnatura in A4, da stamparsi fronte e retro, piegare e pinzare in modo da avere un comodoopuscolo.









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