Sant’Antonio da Padova, indubbiamente
uno dei santi più venerati e invocati dai fedeli di tutto il mondo, ha la sua
raffigurazione tradizionalmente accostata al bambino Gesù – con riferimento al
miracolo di Camposanpiero – e al giglio, fiore comunemente associato alla
purezza intesa come caratteristica della
condotta di vita e come categoria dello spirito; tale canone iconografico ebbe
a instaurarsi e consolidarsi aggiungendosi o addirittura soppiantando il
modello precedente che vedeva il grande santo francescano ritratto con il
libro, evidente ed ovvia allusione alla profondità e vastità della sua dottrina
[1].
Il 13 giugno – dies natalis di sant’Antonio il cui pio
transito si compì a Padova nel 1231 – le edizioni novecentesche del Rituale Romano-Seraphicum, sia nella sua
versione per i “minori” [2] che per i “conventuali” [3] che qui utilizzeremo,
prevedono una benedizione dei gigli in
onore del santo.
Sant'Antonio da Padova (Guercino) |
Pur non avendo modo di risalire
alle origini di questa costumanza liturgica, emerge in tutta la sua evidenza di
come essa sia stata modellata alla maniera delle grandi benedizioni sacerdotali
che vengono compiute - in precisi momenti dell’anno liturgico – all’altare: le
candele per la Purificazione, le ceneri e le palme [4]. Dall’altare, segnatamente
dal cornu epistolae, il sacerdote
presiede tali benedizioni così come il vescovo diocesano lo fa dalla
cattedra. Non sarà superfluo ravvisare
qui una analogia affatto trascurabile ossia la coincidenza del luogo consacrato
dalla tradizione per la proclamazione della orazione della colletta e per
impartire tali benedizioni, ovverosia circostanze nelle quali la “presidenza
sacerdotale” si esplicita, ciò rimonta al deposito più antico, riscontrabile anche nell’ordo II che è coevo al primo [5] , riscontrare il permanere
di tale concetto di fondo in una fonte sicuramente recente è di notevole
interesse e significato. Il rito di benedizione dei gigli è quindi visibilmente
debitore in parte a quello della benedizione delle candele e quello delle palme
ed è “manieristicamente” modellato su di essi pur discostandosene: esso – come
i suoi “modelli ideali” è legato alla celebrazione della messa che segue ma in questa
particolare fattispecie , l’opportunità, può suggerire lo spostamento anche
alla fine.
Il Caeremoniale Romano-Seraphicum [6] tace di questo particolare
rito; nel redigere un manuale di sacre cerimonie ad uso dei chierici, i frati
minori della provincia veneta Ilario Zordan e Francesco Tenderini rimandano
esplicitamente al rituale dell’ordine e – nei punti meno chiari – ricorrono
alle analogie con la benedizione dei ceri e delle palme onde disporre e
favorire un corretto e fluido
svolgimento della cerimonia colmando le lacune delle rubriche del rituale[7].
Effettua il download in formato *pdf dell'opuscolo con il rito completo e il canto del Si queris.
I gigli da benedire sono posti
su una piccola mensa nei pressi del cornu
epistolae dell’altare, i ministri sono rivestiti dei paramenti di colore
bianco, il celebrante con il piviale, diacono e suddiacono rispettivamente con
la dalmatica e la tunicella senza il manipolo. Fatta la reverenza all’altare
salgono i gradini dell’altare, il celebrante – una volta baciata la mensa – si
reca dal lato dell’epistola ove, premesso “Adjutorium nostrum” e “Dominus vobiscum”
canta, in tono feriale, l’orazione “Deus, a quo omne bonum”. Detta orazione si
riscontra anche in altre occasioni nel Rituale
Romanum, ad esempio nella benedizione della prima pietra di un edificio [8]. Risposto come di consueto
“Amen” all’orazione ha luogo l’infusione e la benedizione dell’incenso, il
diacono proprio come alla messa – e anche alla c.d. missa sicca per la benedizione dei rami nella domenica delle palme
– recita inginocchiato sull’orlo della predella il “Munda cor meum”.
La proclamazione evangelica
avviene come alla messa, con l’assistenza degli accoliti coi ceri [9] e con il bacio del
principio del testo da parte del celebrante sul libro recato aperto dal
suddiacono. La pericope evangelica prescritta per la benedizione è tratta da
san Matteo al capitolo VI (24-33) celebre per il richiamo all’impossibilità a
servire due padroni e per l’ammonimento a non assecondare le necessità terrene
con l’evocazione dell’ immagine del giglio il cui splendore è ineguagliato pure
da Salomone nel fulgore della sua gloria.
Continuando a modulare con il
tono feriale il celebrante canta il versetto “Justus germinabit”, quindi “Domine
exaudi” e “Dominus vobiscum”. Segue l’orazione di benedizione dei gigli
propriamente detta durante la quale, il celebrante, traccia due segni di croce
sui candidi fiori. Il testo dell’orazione richiama esplicitamente i benefici di
questi gigli benedetti in onore del grande taumaturgo Antonio: essi
protegeranno dalle malattie e metteranno in fuga i dèmoni.
A questo punto ha luogo un’altra
imposizione dell’incenso, i rami vengono aspersi – mentre il celebrante recita
sommessamente l’antifona “Asperges me” – e quindi incensati.
Inizia la distribuzione, la
rubrica del rituale dice che essa si compie “similiter ac in festo Purificationis
B. M. V. cum candelis”, è da ritenersi perciò che, nonostante il silenzio delle
nostre fonti, il sacerdote più degno presente in choro reca al celebrante il giglio benedetto; nel ricevere il
fiore si useranno – proprio in ragione
di questa analogia – le stesse attenzioni ed eccezioni previsti per la candela
e per il ramo ossia si bacia prima il giglio e quindi la mano del sacerdote
(ricordiamo che comunemente, ricevendo qualche oggetto dal celebrante, si bacia
prima la sua mano quindi l’oggetto).
Terminata la distribuzione
muove la processione durante la quale si canta il responsorio “Si quaeris
miracula”- attribuito alla penna di frate Giuliano da Spira - che celebra le
virtù di sant’Antonio delle quali ben “possono dire i padovani”. Detto
responsorio – molto conosciuto anche per il fatto che viene cantato tra le
volte della splendida basilica padovana a lui dedicata dai frati “conventuali”
ogni martedì – costituisce, nel breviario dei “minori”, l’ottavo responsorio
del mattutino (tra seconda e terza lezione del terzo notturno) [10] .
Processione dei Gigli (Capodistria, 1942) |
La processione termina con una
brevissima statio innanzi i gradini
dell’altare ove il celebrante, dopo il versetto “Ora pro nobis beate Antoni”
eseguito dai cantori, proclama l’orazione “Subveniat plebi tuae”. La
possibilità di svolgere la benedizione e la processione dei gigli senza i sacri
ministri non è prevista nel Rituale
Romano-Seraphicum (sia dei “minori” che dei “conventuali”), tuttavia, i
citati frati Zordan e Tenderini, invocando l’analogia con la “Candelora”, ne danno
una succinta istruzione con ogni evidenza ispirata Memoriale Rituum [11].
I rituali francescani che
abbiamo utilizzato prevedono altresì una formula breve per benedire i gigli,
essa – approvata dalla Sacra Congregazione dei Riti nel 1901 – figura anche nel
Rituale Romanum annoverata tra le
benedizioni per i sacerdoti che hanno speciale induto dalla sede apostolica [12].
Francesco G. Tolloi
francesco.tolloi@gmail.com
____________________
Note :
[1] Rammentiamo
– a mero titolo di esempio - la tela del Guercino che raffigura sant’Antonio
con tutti e tre gli elementi legati alla sua iconografia tradizionale.
[2] Rituale Romano-Seraphicum Ordinis Fratrum Minorum, editio tertia, Romae, Pax et Bonum, 1955, pp. 226-229.
[3] Rituale Romano-Seraphicum Ordinis Fratrum Minorum Conventualium. Romae, Polyglottis Vaticanis, 1942, pp. 314-317.
[4] Il rito di benedizione delle palme nella sua forma, disposizione e orientamento tradizionali si conservò sino al 1955 quando venne promulgato l’Ordo haebdomadae sanctae instauratus, Romae Polyglottis Vaticanis, 1955.
[5] Ordo II, in M. ANDRIEU, Les Ordines Romani du hau moyen age, II, Les textes, Louvain, Spicilegium Sacrum Lovaniense, 1971, p. 115 e s.
[6] Caeremoniale Romano-Seraphicum Ordinis Fratrum Minorum, Romae, Ad Claras Aquas, 1927.
[7] I. ZORDAN-F. TENDERINI, Piccolo Cerimoniale Romano-Serafico, Convento S.Lucia, Vicenza, 19432, pp. 181 e s.
[8] Rituale Romanum, editio juxtra typicam, Romae-Tornaci-Parisiis, Desclée, 1934, p. 533. Ivi l’orazione si trova nell’appendice (posta dopo il Titulus XII), a seguito della riforma piana del Rituale la troviamo nel Titulus IX (segnatamente al VI capo), cfr. Rituale Romanum, editio prima post typicam, Romae, Polyglottis Vaticanis, 1957, p. 460.
[9] I. ZORDAN-F. TENDERINI, Piccolo Cerimoniale…, cit.. p. 182.
[10] Cfr. Breviarium Romano-Seraphicum, editio I juxta typicam, Romae, Pax et Bonum, pars aestiva, pp. 708-723 . I minori “conventuali” serbano – invece – un ufficio differente nel quale non si ricorre al responsorio “Si quaeris”, cfr. Proprium Officiorum ad usum Ordinis Fratrum Minorum Conventualium, Romae, Marietti, 1951, pars aestiva, pp. 75-88. A titolo di curiosità riferiamo che il ministro generale dei “Minori” fra il 1933 e il 1944 p. Leonardo Bello, cultore delle scienze liturgiche e appassionato gregorianista – venendo a supplire almeno in questa fattispecie – la mancanza di libri di canto restituiti “ad codicum fidei” per la parte notturna dell’ufficio, ebbe a musicare in gregoriano il mattutino di sant’Antonio (In festo S. Antonii de Padua ad matutinum, Venezia, Gazzettino Illustrato, 1938). La melodia del responsorio del Rituale si ritrova con altre in raccolte quali: Cantus varii, Romae-Tornaci-Parisiis, Desclée, 1902, p. 108 o Cantuale Romano-Seraphicum, Parisiis-Tornaci-Romae, Desclée, 1951, pp. 194-181. Nella appendice critica di quest’ultima opera si evince che il “Si queris” nella versione melodica proposta nel Rituale non è quella di frate Giuliano da Spira ma è databile al XV o al XVI secolo (cfr. p. 394).
[11] I. ZORDAN-F. TENDERINI, Piccolo Cerimoniale…, cit. p. 182.
[12] Rituale Romanum…(1934), cit., p. 638.
[2] Rituale Romano-Seraphicum Ordinis Fratrum Minorum, editio tertia, Romae, Pax et Bonum, 1955, pp. 226-229.
[3] Rituale Romano-Seraphicum Ordinis Fratrum Minorum Conventualium. Romae, Polyglottis Vaticanis, 1942, pp. 314-317.
[4] Il rito di benedizione delle palme nella sua forma, disposizione e orientamento tradizionali si conservò sino al 1955 quando venne promulgato l’Ordo haebdomadae sanctae instauratus, Romae Polyglottis Vaticanis, 1955.
[5] Ordo II, in M. ANDRIEU, Les Ordines Romani du hau moyen age, II, Les textes, Louvain, Spicilegium Sacrum Lovaniense, 1971, p. 115 e s.
[6] Caeremoniale Romano-Seraphicum Ordinis Fratrum Minorum, Romae, Ad Claras Aquas, 1927.
[7] I. ZORDAN-F. TENDERINI, Piccolo Cerimoniale Romano-Serafico, Convento S.Lucia, Vicenza, 19432, pp. 181 e s.
[8] Rituale Romanum, editio juxtra typicam, Romae-Tornaci-Parisiis, Desclée, 1934, p. 533. Ivi l’orazione si trova nell’appendice (posta dopo il Titulus XII), a seguito della riforma piana del Rituale la troviamo nel Titulus IX (segnatamente al VI capo), cfr. Rituale Romanum, editio prima post typicam, Romae, Polyglottis Vaticanis, 1957, p. 460.
[9] I. ZORDAN-F. TENDERINI, Piccolo Cerimoniale…, cit.. p. 182.
[10] Cfr. Breviarium Romano-Seraphicum, editio I juxta typicam, Romae, Pax et Bonum, pars aestiva, pp. 708-723 . I minori “conventuali” serbano – invece – un ufficio differente nel quale non si ricorre al responsorio “Si quaeris”, cfr. Proprium Officiorum ad usum Ordinis Fratrum Minorum Conventualium, Romae, Marietti, 1951, pars aestiva, pp. 75-88. A titolo di curiosità riferiamo che il ministro generale dei “Minori” fra il 1933 e il 1944 p. Leonardo Bello, cultore delle scienze liturgiche e appassionato gregorianista – venendo a supplire almeno in questa fattispecie – la mancanza di libri di canto restituiti “ad codicum fidei” per la parte notturna dell’ufficio, ebbe a musicare in gregoriano il mattutino di sant’Antonio (In festo S. Antonii de Padua ad matutinum, Venezia, Gazzettino Illustrato, 1938). La melodia del responsorio del Rituale si ritrova con altre in raccolte quali: Cantus varii, Romae-Tornaci-Parisiis, Desclée, 1902, p. 108 o Cantuale Romano-Seraphicum, Parisiis-Tornaci-Romae, Desclée, 1951, pp. 194-181. Nella appendice critica di quest’ultima opera si evince che il “Si queris” nella versione melodica proposta nel Rituale non è quella di frate Giuliano da Spira ma è databile al XV o al XVI secolo (cfr. p. 394).
[11] I. ZORDAN-F. TENDERINI, Piccolo Cerimoniale…, cit. p. 182.
[12] Rituale Romanum…(1934), cit., p. 638.
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