Messa Pontificale dei Prelati non Vescovi.
Tra i prelati non vescovi ve ne sono alcuni che possono celebrare
in forma pontificale. In diversi interventi della sede apostolica si ravvisano dei
provvedimenti che pongono dei limiti, senza dubbio mirati a far sì che il loro status sia distinto da quello dei
vescovi e dei cardinali, in particolare nell’ornato e nelle limitazioni
derivanti dal poter pontificare solo in precise e ristrette occasioni. Si
ravvisa altresì una tendenza ad ottenere una certa uniformità visto che
evidentemente si erano radicate diverse e variegate costumanze locali
giustificate da consuetudine o privilegio.
I prelati che celebrano in forma pontificale sono gli abati (secolari
e regolari) i protonotari apostolici de
numero partecipantium, i protonotari apostolici soprannumerari e quelli ad instar partecipatium. Altri prelati come
i protonotari onorari (o anche superiori di ordini religiosi [94], es. i ministri
provinciali francescani) usano alcune distinzioni peculiari (es. l’uso del canon missae e della bugia) durante le
sacre funzioni. Tra gli abati che celebrano pontificalmente ci sono quelli
regolari [95] (ovvero che presiedono a
qualche monastero ed hanno quindi su di esso una giurisdizione spirituale),
quelli che presiedono a qualche insigne chiesa soggetta alla santa sede detti
secolari, gli abati nullius (che
hanno giurisdizione su clero e fedeli di un determinato territorio).
Alcune chiese parrocchiali insigni furono in passato dichiarate
abbazie ad honorem dai sommi
pontefici e perciò, durante munere, i
loro parroci officiano pontificalmente [96]. Il Caeremoniale episcoporum non fa menzione espressa dei pontificali
dei prelati privi del carattere episcopale, per risalire pertanto alle
caratteristiche sarà necessario attingere ai decreti e alle opinioni degli
autori. I pontificali degli abati si svolgono al trono. Il trono però è eretto,
sempre dal lato del vangelo, su due gradini e non può – anche nella propria
chiesa – essere fisso ma deve essere collocato solo in occasione delle
celebrazioni pontificali [97]. All’altare non è mai
collocato il settimo candeliere, prerogativa esclusiva dell’ordinarius loci limitatamente ai suoi
pontificali al trono. Le normative principali sono contenute in un decreto
seicentesco emanato durante il pontificato di papa Alessandro VII “Circa usum
pontificalium praelatis episcopo inferioribus” [98].
Richiamo le principali differenze rispetto la messa pontificale di
un vescovo: anzitutto l’abate non è accolto da tutto il clero alla porta della
chiesa ma solo da due chierici e dal cerimoniere, sempre all’ingresso, non
asperge clero e fedeli ma - toccando l’acqua dall’aspersorio a lui porto dal
più degno dei sacerdoti - si segna, non incede attraverso la navata benedicendo
e, quando, avendone l’uso, indossa la cappa questa non è sostenuta dal chierico
caudatario, salvo non goda di un particolare indulto apostolico. L’abate si
para al trono e non nel secretarium.
Non benedice coloro i quali provvedono alla abluzione delle sue mani, né il
prete assistente né il diacono quando riceve l’incensazione. La sua mitria è
aurifregiata (salvo particolari concessioni della sede apostolica), al
pastorale è sospeso un velo di stoffa bianco [99] a voler segnare la sua
giurisdizione limitata e distinguerlo da un prelato con carattere episcopale.
Sei sacerdoti del suo clero siedono su due panche predisposte in presbiterio
indossando due il piviale, due la pianeta e due la dalmatica. Il prelato
durante la messa dice Dominus vobiscum
e non Pax vobis prima della colletta,
non concede indulgenze, non benedice il predicatore e neppure il diacono che lo
incensa o coloro i quali ministrano alla lavanda delle mani, dà la benedizione
triplice come i vescovi.
I pontificali dei protonotari apostolici sono normati da un motu proprio di papa san Pio X [100] che stabilì le classi in
numero di quattro: de numero
partecipantium, soprannumerari, ad
instar partecipantium e onorari, limitando le funzioni pontificali nel
corso dell’anno liturgico e rimettendole al placet
dell’ordinario del luogo. Detto provvedimento pose fine – almeno in massima
parte – a quelle numerose costumanze locali spesso legate ai capitoli.
I protonotari de numero,
fuori dall’Urbe, celebrano pontificalmente al faldistorio, come gli abati
vengono accolti alle porte della chiesa, rivestiti del rocchetto e della
mantelletta, dal cerimoniere e da due chierici [101]. Durante la messa
possono alternare due mitrie: quella aurifregiata e quella semplice di lino [102], possono essere
assistiti, eccetto che in presenza di un vescovo, dal presbyter assistens, la lavanda delle mani avviene solo dopo
l’offertorio come per tutti i sacerdoti, benedicono come fanno normalmente i
sacerdoti ma cantando la formula. Tengono lo zucchetto solo quando incedono
nella navata della chiesa reggendo la berretta nera col fiocco rubino e quando
il capo è coperto dalla mitria; lo zucchetto è nero con le cuciture di colore
rubino. Le chiroteche sono in seta senza ricami, sono solamente orlate d’oro,
l’ornato è simile per i calzari e per i sandali. La messa si svolge con le modalità descritte
per la messa pontificale al faldistorio eccetto per le particolarità qui
sinteticamente descritte.
Del tutto analoghi i pontificali dei protonotari soprannumerari
nei confini delle diocesi di appartenenza [103] eccezion fatta per la
mitria: invece della aurifregiata, usata come si è visto dai protonotari de numero, fanno uso di una mitria
particolare di seta bianca e bordata d’oro con le frange sottostanti le infule
di color rosso; essa può essere alternata alla mitria semplice di lino. Fuori
dal territorio diocesano essi pontificano al modo dei protonotari ad instar partecipantium.
Basilica di Grado (GO) mons. Silvano Fain prot. ap. (1921-1998) Lavanda delle mani da parte dei fabbriceri. |
Basilica di Grado (GO) mons. Silvano Fain prot. ap. (1921-1998) |
Secondo Nabuco [104] - riguardo le modalità
di celebrare i pontificali per questa classe di protonotari - nella seconda
metà dell’Ottocento venne a instaurarsi una novità nel costume liturgico: tale
classe di protonotari non pontifica infatti al faldistorio ma siede allo scanno
al modo dei sacerdoti [105]. L’ornato delle insegne
è costituito da un galloncino di colore giallo, utilizzano una sola mitria che
è damascata con le frange delle infule di colore rosso. Si tratta
sostanzialmente di una messa solenne sacerdotale con l’uso delle insegne (nella
quale non si fa uso del gremiale) e con la possibilità di partecipazione del
sacerdote assistente (eccetto nelle cattedrali e in presenza del vescovo).
Conclusione.
Ogni cerimonia descritta, così come ogni uso, gesto e insegna
peculiare che abbiamo illustrato o menzionato, sarebbe meritevole di
approfondite analisi a tutto tondo che non tralascino i diversi aspetti che le
riguardano e caratterizzano, da quelli storici a quelli che concernono il
significato teologico ed ecclesiologico.
Un’analisi così impostata, ovviamente, tracimerebbe dai limiti e
dalla struttura di questo scritto inteso – fino dai dichiarati intenti iniziali
e dal titolo stesso – a compendiare caratteri e peculiarità della messa
celebrata nella ‘forma pontificale’ (o meglio nelle ‘forme pontificali’).
Osservare la cerimonialità legata alle messe pontificali senza
dubbio ci permette di cogliere un tratto essenziale della liturgia ovvero
l’aspetto ecclesiologico di manifestazione dell’ordine gerarchico della Chiesa
orientato - in una prospettiva del tutto verticale - verso il culto
dell’Altissimo. Muovendoci sempre da questa osservazione ci è dato di
comprendere di come questo scopo ultimo si traduca in un linguaggio - alle
volte piuttosto complesso e composito - di segni, gesti e simboli volti a
esplicitare la finalità ultima.
La centralità della cattedra quale segno di giurisdizione e quindi
il suo uso o il suo non uso, l’uso delle insegne, i ruoli precisi della
gerarchia nel compimento del rito, visti e considerati in questa ottica,
cessano di essere fraintesi e relegati a un ruolo ornamentale e marginale ma
assumono un’importanza centrale di manifestare
e significare la Chiesa militante ordinata e orientata al culto, un
culto che ha il suo riferimento e suo alto esempio in quello celeste. È in questa prospettiva
che sicuramente la puntuale e meticolosa esecuzione delle cerimonie assume la
sua dimensione più vera, così come l’esatta e scrupolosa osservanza delle norme
mondata da creazioni personalistiche – che abbiamo auspicato in premessa –
finisce con l’essere una traduzione esteriore di una comprensione più profonda,
consapevole ed autentica.
La liturgia pontificale va compresa, infine, nella sua
esemplarità: essa non è l’ipertrofizzazione e l’amplificazione in termini di
magnificenza di una liturgia più “semplice” ma il movimento e il processo di
formazione avvengono esattamente in direzione contraria: dalla messa papale
deriva l’“adattamento” a spazi e ambiti della cattedrale diocesana e questa
irradia il suo esempio plasmando e modellando la liturgia presbiterale.
Addentrarsi e capire la liturgia pontificale sicuramente fornisce chiavi di
lettura e suggerisce indirizzi di ricerca che possono portare a interessanti
conclusioni. Certamente – pur muovendosi con questi presupposti – non si ha la
pretesa di esaurire argomenti così complessi.
In questo scritto, inoltre, mi sono limitato alla sola
celebrazione della messa: sarebbe necessario un lavoro di lettura intrecciata
in particolare del Caeremoniale
episcoporum e del Pontificale Romanum
per iniziare a comprendere l’immagine di una società volta alla santificazione
del tempo, degli spazi e delle cose degli uomini in una dimensione di tensione verticale
tipica di quella che è la ‘cristianità’ intesa nella sua accezione più piena,
ampia e completa.
Francesco G. Tolloi
Note:
[94] Celebre il privilegio dei pontificali del
custode francescano di Terra Santa.
[95] Spesso ci sono
diversificazioni che caratterizzano i loro pontificali specie in seno alle
diverse congregazioni benedettine, abati godenti di privilegi pontificali sono
riscontrabili anche in altri ordini ad esempio i cistercensi e i premostratensi
che però utilizzano una liturgia propria differente dalla romana, cfr. A. KING,
Liturgies of Religious Orders, London-New York-Toronto, Longmans, 1955.
[96] Delle cerimonie di questi trattò
ampiamente - nell’occasione della concessione del titolo di abbazia ad honorem alla parrocchiale di Piove di
Sacco (diocesi di Padova) all’epoca del sommo pontificato di Leone XIII – il
sacerdote F. GIACOMELLO, Cerimoniale per
le funzioni degli abbati mitrati, Padova, Antoniana, 1901, il quale attinge
a piene mani a P. MARTINUCCI, Manuale
… cit., in particolare dal libro VIII (1879).
[97] Si noterà in questa proibizione di un
trono fisso ancora una volta l’importanza attribuita alla cathedra del vescovo diocesano; all’inizio del Novecento si assiste
a un mitigarsi del rigore della disciplina in questa fattispecie. A tale
proposito SACRA CONGREGAZIONE DEI RITI, Decreto 3 febbraio 1907 in «Acta
Sanctae Sedis», Romae, Libreria Editrice Vaticana, 41 (1908), p. 344. Il trono
può anche essere fisso e poggiare su tre gradini ma deve essere tolto
l’ornamento al di fuori delle funzioni pontificali. Il contenuto del decreto
citato viene assunto e ripreso nella legislazione canonica del 1917 (cfr.
canoni 325 e 625 Codex Iuris Canonici 1917). Sulla questione: I. NABUCO, Ius Pontificalium…, cit., pp. 277-278.
[98] SACRA CONGREGAZIONE DEI RITI, Decreto 27
settembre 1659 n. 1131, in Decreta
Authentica …, cit., I, p. 232 e ss..
I. NABUCO, Ius Pontificalium,cit p.
80, lamenta la mancanza di normativa
successiva e ne formula gli auspici per una revisione, L. GROMIER, Commentaire, cit. p. 136 ci ricorda che “ Les abbés n’ont pas d’autre
statut que le décret les regardant, promulgué par Alexandre VII en 1659. […]
Quoi qu’en disent certains, du reste sans preuve, il n’est nullement périmé,
nullement contredit ni infirmé par le Codex
Juris Canonici.”. Probabilmente dietro questi “certains” è da intendersi
anche il Nabuco che tradisce una visione piuttosto restrittiva dei privilegi pontificali
abbaziali.
[99] F. GIACOMELLO, Cerimoniale … cit., p.
10 fornisce le misure di questo velo sempre bianco anche quando la funzione
preveda un altro colore liturgico; esso ha una larghezza di 10 centimetri per una
lunghezza di 20.
[100] PIO X, Motu proprio Inter multiplices curas, 21 febbraio 1905, in «Acta Sanctae Sedis»,
Romae, Libreria Editrice Vaticana, 37 (1904-5), pp. 491-512.
[101] Sui pontificali dei protonotari apostolici
delle diverse classi, a tenore del motu
proprio “Inter moltiplices”, vedi G.B.M. MENGHINI, Ritus in Pontificalibus celebrandis a Protonotariis Apostolicis
servandus, in «Ephemerides Liturgicae», Romae, Desclée, XXIII (1908), pp.
111-118; 259-266; 365-378; 483-485 e
anche B. FAVRIN, Praxis…, cit. pp.
113-139.
[102] Sostanzialmente nei momenti in cui il
vescovo adopera quella preziosa mettono l’aurifregiata e quando il vescovo
mette quest’ultima usano la semplice.
[103] Fanno eccezione i canonici delle tre
basiliche patriarcali vaticana, lateranense e liberiana che sono per l’appunto
protonotari apostolici soprannumerari: costoro, non potendo pontificare nei
territori dell’Urbe fruiscono del privilegio ovunque fuori di questa.
[104] L’innovazione del “pontificale allo
scanno” si ebbe durante il pontificato
del beato Pio IX : PIO IX, Costituzione Apostolica Apostolicae Sedis Officium, 29 agosto 1872, in «Sanctae Sedis»,
Romae, Poliglotta Vaticana, 7 (1892-93), 1905, pp. 91-100., cfr I. NABUCO, Ius Pontificalium, cit. pp. 326 e s.. Sulla evoluzione della
normativa si veda ancora Idem, pp.
73-79.
[105] Specificatamente dedicato ai protonotari ad instar partecipantium: R. ADDA, Il cerimoniale del protonotario apostolico
ad instar partecipantium, Vicenza, San Giuseppe, 1932.
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