Preciso che questo post dedicato ai Santi Ermacora e Fortunato è da considerarsi "under construction". In questa prima fase ho pensato di recuperare un breve contributo che ebbi modo di scrivere, un anno fa, per il settimanale della diocesi di Trieste "Vita Nuova" - che proprio qualche settimana fa, dopo un secolo ha cessato le sue pubblicazioni - con il quale ho avuto modo di collaborare. Dal momento che questo spazio, dedicato ai due patroni dell'antico Patriarcato di Aquileia, è concepito nell'ambito di un più ampio "contenitore" (in fieri), ho ritenuto di mantenerne alcuni tratti caratteristici quali la riproduzione delle lezioni "storiche" del Mattutino, tratte dai Propria locali, con traduzione e l'aggiunta, ove sia possibile, di qualche sussidio liturgico. Riguardo i quest'ultimo aspetto riporterò l'antifona dei Vesperi che ricorre sovente nei testi propri del territorio trascritta da un breve manoscritto, verosimilmente settecentesco in mio possesso (la trascrizione è stata effettuata utilizzando "GregorioTeX" (per chi lo desiderasse posso inviare il file GABC o un pdf/eps editabile). Prossimamente non mancheranno le novità....con l'auspicio che ciò avvenga in un futuro davvero prossimo!
11 luglio 2020
Nel duomo di Cividale, sino a qualche decennio fa, nella festa della Candelora, si usava dar lettura dell’elenco dei pastori che ressero la Chiesa d’Aquileia prima e poi proseguire, dalla data della soppressione della sede patriarcale a metà del XVIII secolo, con l’elenco degli arcivescovi di Udine, quale ideale prolungamento – pur limitatamente all’area allora politicamente veneta – dell’antica sede aquileiense. Primo di questa cronotassi è Ermacora che la tradizione vuole martirizzato in Aquileia a metà del III secolo assieme al suo fidato diacono Fortunato con il quale è venerato il 12 luglio.
Della loro Passio sono giunte a noi due differenti redazioni, pur poco attendibili sul piano storico. Stando a queste fonti, trovandosi nell’Urbe il Principe degli Apostoli volle affidare all’evangelista san Marco l’incarico di portare il lume del santo Vangelo alla popolazione dell’allora ancora fiorente città di Aquileia. San Marco sarebbe giunto nella città approdando nella località di Belvedere, tra Aquileia e Grado: ancora oggi, nel sito ove la tradizione assegna l’approdo di san Marco, sorge una piccola chiesa settecentesca dall’irregolare pianta ottagonale un tempo giuspatronato dei marchesi Savorgnan.
Sia
vera o meno l’origine “marciana” della sede aquileiese, tanto dibattuta in
passato tra gli storici, la tradizione vuole che san Marco – preceduto anche
per la sua fama nell’esercizio dell’arte medica - riunisse attorno a sé un
ampio gruppo di cristiani da lui battezzati. La neo formata comunità cristiana
aveva necessità di un pastore a presiederla ed anche per spingere l’azione
evangelizzatrice, si crede perciò che san Marco scegliesse Ermacora, vir
christianissimus et elegans persona, che ricevette l’episcopato proprio da
san Pietro. Il fervore del vescovo Ermacora pare fu esemplare: predicazione,
conversioni, somministrazione dei santi Sacramenti, andavano di pari passo con
miracoli che la tradizione gli attribuisce. Ma tanto zelo attirò invidie ed ire
dei sacerdoti pagani che ravvisarono in Ermacora un pericoloso concorrente
tanto da persuadere il preside Sebasto ad intervenire. Questi lo arrestò e gli
intimò di abiurare e offrire sacrifici ai falsi dei. Il reciso rifiuto di
Ermacora ebbe come conseguenza un crescendo di atroci torture che destarono orrore
e pietà nel popolo di Aquileia. Temendo disordini e tumulti lo fece
incarcerare. È proprio dalla cella, che la tradizione vuole emanasse luce e
profumi soavissimi, che Ermacora continuava la sua predicazione che tocco il
cuore del suo carceriere Ponziano. Questi fu battezzato e di nascosto
accompagnava i fedeli presso il vescovo che esorcizzava, operava guarigioni e,
soprattutto, continuava la sua predicazione. La sua fama fece crescere la
preoccupazione per il mantenimento dell’ordine pubblico in Sebasto che fece
decapitare il vescovo con il suo diacono Fortunato nottetempo di nascosto. Le
spoglie mortali dei due furono inumate proprio da Ponziano, assieme ad
Alessandria e Gregorio, in un cimitero nei pressi della città.
La tomba divenne meta di pellegrinaggi e la tradizione vuole che molti che si erano recati con fede al suo cospetto venivano sanati dalle infermità.
Il culto dei santi martiri Ermacora e Fortunato ebbe a diffondersi proprio con l’enorme espansione che ebbe la sfera di influenza della Chiesa di Aquileia anche perché espressione di quella pretesa origine marciana, su cui poggia lo stesso titolo patriarcale, tanto che oggi, al di là della storicità, accomunano le genti latine, slave e germaniche che provvidenzialmente abitano i nostri territori e che in Aquileia ravvisano il faro e prodromo della loro evangelizzazione.
La tomba divenne meta di pellegrinaggi e la tradizione vuole che molti che si erano recati con fede al suo cospetto venivano sanati dalle infermità.
Il culto dei santi martiri Ermacora e Fortunato ebbe a diffondersi proprio con l’enorme espansione che ebbe la sfera di influenza della Chiesa di Aquileia anche perché espressione di quella pretesa origine marciana, su cui poggia lo stesso titolo patriarcale, tanto che oggi, al di là della storicità, accomunano le genti latine, slave e germaniche che provvidenzialmente abitano i nostri territori e che in Aquileia ravvisano il faro e prodromo della loro evangelizzazione.
Francesco G. Tolloi
francesco.tolloi@gmail.com
G.B. Tiepolo, i Santi Ermacora e Fortunato (dettaglio dalla pala della Cattedrale di Udine) |
Lezioni del secondo Notturno
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[Lectio iv] Hermágoras natióne Germánus civis Aquilejénsis, beáti Marci
Evangelístæ, qui primus in eádem Ecclésia Evangélium prædicávit, discípulus,
cum eo Romam pétiit, ubi a beáto Petro Apostolórum Príncipe báculo pastoráli
insignítus fuit. Aquiléjam inde répetens, dum créditatæ sibi ecclésiæ
excoléndæ invígilat, apud Sebástus prǽsidem accusátur quod Christum júgiter
prǽdicans, deórum cultum evérteret : qua mob rem diutíssime cæsus, cum
intérea Christo grátias ágeret, ac prǽsidis deridéret sævítiam, jubétur in
equúleo suspéndi, et únguibus pectus dilaniári. Inde admótis péctori láminis
cadéntibus, atque accénsis lampádibus ad látera applicátis, quo diriora
experiebántur supplícia, eo dulcióres Christi laudes fortíssimus Martyr
efferébat.
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Ermacora, cittadino aquileiese di origine
germanica, discepolo del beato Marco Evangelista, che aveva per primo portato
il Vangelo in quella Chiesa, andò a Roma assieme a lui, dove ricevette il
pastorale dal Beato Pietro, Principe degli Apostoli. Ritornato, poi, ad
Aquileia, mentre veglia sulla chiesa che gli era stata affidata da pascere, viene
accusato al magistrato Sebasto che con la sua ardente predicazione di Cristo,
stava distruggendo il culto agli Dei; per la qual cosa, poiché mentre era a
lungo bastonato rendeva grazie a Cristo e derideva le sevizie dei magistrati,
si ordinò di sospenderlo a un gancio e
che gli si dilaniasse il petto con uncini. Di seguito, strappati dal petto i
brandelli di pelle, e apposte delle lampade accese ai lati, quanto più forti
erano sentiti i supplizi, tanto più dolci lodi di Cristo il fortissimo
Martire affermava
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[Lectio v] Eo spectáculo commóta civitáte, Sebástus furórem
pópuli timens, subtráctum tortóribus Hermágoram cárceri tetro emáncipat. Nox erat, cum meo loco ingens de
cœlo effúlsit lumen, atque persuávis odor replévit
cárcerem : quibus prodígiis excitátus Pontiánus cárceris custos, ac
illustrátus ea cœlésti luce antíquam superstiónis calíginem discutiénte,
ad pedes sanctíssimi Prǽsulis provolútus, initiári póstulat christiánis
mystériis. Cujus exémplo excitáta cívium multitúdo, ad Hermágoram certátim cónfluit; ac crucifíxi Dei glóriam cœlésti spíritu prædicántem atténdit,
ejúsque religiónem veram esse, atque únicam in cœlum viam
edócta, christiáno gregi per lavácrum regeneratiónis adjúngitur, incredíbili
cum gáudio sancti Pastóris. Fuit ex eo número Gregórius patrícius
aquilejénsis, cujus fílium a triénnio
energúmenum, jubénte Hermágora, dæmon dimísit, perspiciéntibus cunctis :
atque a cárcere egréssus, Gregório universáque illíus família própriis in ǽdibus baptizáta, in cárcerem ultro
revértitur, quem ob crebra mirácula Dei sacrárium reddíderat, ac sibi inter
loci illíus angústias et squalórem, tamquam in cœlo ætérnis
cum Christo a delíciis frui videbátur.
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Poiché la città era sconvolta da quello
spettacolo, Sebasto, temendo l’ira del popolo, sottrae Ermacora agli aguzzini
e lo getta in un oscuro carcere. Era la notte, allorché in quel luogo brillò
una grande luce dal cielo, e un dolce odore riempi il carcere. Scosso da quei
prodigi, Ponziano, il custode del carcere, illuminato da quella luce celeste che
scacciava la nebbia antica dell’idolatria, prostrato ai piedi del santissimo
Presule, chiede di essere iniziato ai misteri cristiani. Mossa da un tale
esempio, una grande moltitudine di cittadini, corse immediatamente da Ermacora;
e lo ascolta insegnare, con uno spirito divino, la gloria del Dio crocifisso,
e che la sua religione e la vera e l’unica via al cielo, la moltitudine si
aggrega al gregge cristiano tramite il lavacro di rigenerazione, con un
incredibile gioia del Santo Pastore. Fu di quel numero il patrizio aquileiese
Gregorio, il cui figlio che da tre anni era indemoniato, per ordine di Ermacora,
fu liberato dal demonio, sotto gli occhi di tutti, essendosi battezzato Gregorio
e tutta la sua famiglia nella propria casa, ritorna in carcere, che per i
tanti miracoli si era trasformato in un santuario di Dio, e gli sembrava, tra
le sofferenze e lo squallore di quel luogo, di essere come in cielo a godere
della gioia eterna con Cristo.
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[Lectio
vi] Cum itaque advérterent presbýteri et clérici Hermágoram amóre
Christi Dómini ita succénsum, ut nihil magis quam martýrium exoptáret,
rogábant, quid factúri essent eo subláto; et respónsum accepérunt, quod
Fortunátum suum archidiáconum in epíscopu, elígerent, qui sacris undis
matrónam víduam Alexandríam nómine ablúerat, quæ in cárcerem, præfécto
annuénte, admíssa, ad pedes Hermágoræ lumen oculórum jam recéperat. Quibus ad
Sebástum delátis, Fortunátum quoque in eúmdem cárcerem detrúdi
jubet, ubi tam multa per ambos edebántur in dies mirácula, ut semper magis
sibi métuens Sebástus a multitúdine pópuli, quæ Christo adhǽserat, spiculatórem de nocte immíserit,
qui Christi athlétis cervíces abscínderet. Quo perácto, cadávera et
sanguis a Pontiáno clam collécta, et a pia mulíere Alexandría, Gregório
adjutóre, aromátibus delibúta, in agro suo juxta urbis moénia perhonorífice
cóndita sunt. Passi sunt sub Neróne Cǽsare,
quarto Idus Júlii.
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Quando i sacerdoti e gli altri chierici si
furono resi conto che Ermacora era così acceso dall’amore per Cristo che non
desiderava nulla di più che il martirio, pregavano per sapere cosa avrebbero
fatto una volta che egli fosse morto; ed ebbero la risposta che ordinassero
Fortunato, il suo arcidiacono, come vescovo, che aveva battezzato la matrona
vedova Alessandria, che con il permesso del magistrato si era recata in
carcere e aveva già recuperato la vista ai piedi di Ermagora. Riferito un
tanto a Sebasto, egli ordina di portare Fortunato nello stesso carcere, dove
i miracoli dei due si moltiplicavano così che Sebasto, con sempre maggior
timore per la moltitudine che aveva aderito a Cristo, inviò di notte una
sentinella che decapitasse i due atleti di Cristo. Eseguito l’ordine, i
cadaveri e il sangue furono subito recuperati da Ponziano, e cosparsi di
aromi dalla pia matrona Alessandria, con l’aiuto di Gregorio, e furono
sepolti in un campo vicino alle mura della città con grandi onori. Hanno
ricevuto il martirio sotto Nerone Cesare il 12 luglio.
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Da: Proprium Officiorum pro unitis Dioecesibus Tergestina et Justinopolitana, Pars Æstiva,
Ratisbonae et Romae, Pustet, 1915, pp. 16 e ss. (vescovo A. Karlin)
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Consacrazione del Vescovo Ermacora presso la Cripta degli Affreschi nella Basilica di Aquileia. |
Antifona al Magnificat dei Vesperi dei Santi Ermacora e Fortunato
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