domenica 19 marzo 2023

La velatura delle croci e delle immagini. Riflessione storica e ipotesi su origine e simbolismo.

 Dopo una lunga assenza dal blog, ho pensato di riprendere un mio articolo dello scorso anno già pubblicato sul Settimanale della Diocesi di Trieste "Il domenicale di San Giusto" (3 aprile 2022), col quale ho collaborato come redattore responsabile della pagina "cultura". Ho apportato alcune lievi modifiche e qui lo presento ai benevoli lettori. Con l'occasione annuncio che tra non molto pubblicherò (in collaborazione con un caro amico) un qualcosa di piuttosto corposo su una particolarità del decaduto "usus aquileyensis"...stay tuned!

Francesco G. Tolloi

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«Usus cooperiendi cruces et immagines per ecclesiam ab hac dominica [Va di Quaresima, n.d.a.] servari potest, de iudicio Conferentiae Episcoporum» [1]. Il Messale “riformato”, con tale rubrica permissiva, attesta un uso che, pur limitatamente ad alcuni luoghi, si è conservato e che per secoli fu di diffusione generale. Prendendo, ad esempio, il Messale romano nell’edizione pio-benedettina, al sabato “Sitiéntes” (ossia il sabato dopo la quarta domenica di Quaresima, il giorno che precede la domenica di Passione), ci troveremo innanzi ad una rubrica chiaramente precettiva: «Expleta Missa, ante Vesperas, cooperiuntur Cruces et Imagines per ecclesiam; quæ copertæ manent, Cruces quidem usque ad expletam per Celebrantem Crucis adorationem in Feria VI Parasceves, Immagines vero usque ad intonatum Hymnum Angelicum in Sabbato Sancto.» [2] 

croce velata


Ma da dove e quando si diffuse tale usanza? Quali sono i suoi significati? Non è facile rispondere con certezza: le testimonianze, specie quelle più antiche, sono frammentarie ed anzi attestano una scarsa uniformità della prassi, tuttavia, i dati disponibili, consentono perlomeno di intuire dei percorsi di ricerca e, talvolta, di formulare prudentemente delle ipotesi, spesso ponendo nuovi quesiti. Il Messale che promulgò nel 1570 papa San Pio V secondo le indicazioni del Concilio di Trento, non menziona la prassi, per contro, trent’anni dopo l’
editio princeps del Caeremoniale episcoporum, promulgata da Clemente VIII, ne fa esplicito riferimento [3]

Velatura
Velatura nel Tempo di Passione
presso la parrocchia romana di Trinità dei Pellegrini.
(da blog.messainlatino.it)


Questo stato di cose potrebbe suggerire l’ipotesi che nella prima epoca post tridentina si tentò di uniformizzare il costume della velatura, che si era mantenuto fino ad allora differenziato sia sotto il profilo geografico che temporale. La Francia, notoriamente refrattaria nell’accoglimento dei dettami tridentini, mantenne – nella lussureggiante galassia dei riti neogallicani (meglio sarebbe definirli usi propri diocesani) – una marcata differenziazione, destinata a perdurare fino alla seconda metà del XIX secolo, per questo ordine di motivi la sua osservazione è particolarmente utile ed interessante. A darcene autorevole testimonianza è Jean-Baptiste Le Brun des Marette, che a principio del Settecento viaggiò attraversò il regno di Francia annotando, con accurata meticolosità e dovizie di dettagli, gli usi liturgici esistenti nel territorio sia nelle diocesi che tra Ordini e congregazioni di religiosi, registrando, anche in questa fattispecie, consuetudini diversificate [4]. Il Le Brun attesta in molte chiese francesi una copresenza di velature – che poi vedremo testimoniate anche al di fuori della Francia – di diverso tipo: delle tende vengono tirate per separare l’altare dal coro, oppure per separare del tutto la navata, altre volte sussistono entrambe, il più delle volte convivono con i veli che coprono le immagini e le croci. Diverso è anche il momento in cui queste coperture vengono poste: spesso ciò avviene appena alla conclusione dell’Ufficio della Ia domenica di Quaresima (dopo Compieta) venendo a marcare l’inizio del tempo quaresimale e con esso del digiuno che lo caratterizza. Un tanto deporrebbe circa la vetustà della prassi, in considerazione del fatto che la Quaresima, anticamente, si faceva iniziare in tale giorno mentre solo più tardi, per far coincidere al numero di quaranta le giornate effettivamente destinate al digiuno, si aggiunsero i giorni che vanno dal Mercoledì delle ceneri alla Feria IIa (lunedì) dopo la Ia domenica di Quaresima [5]. La velatura di immagini e croci, di cui fa riferimento il Messale, potrebbe essere un lacerto, in qualche modo cristallizzato, di queste particolari coperture realizzate, in epoca più remota come segno esteriore della Quaresima? E se così fosse l’uso Va domenica di Quaresima potrebbe essere un momento più ritardato o un punto di arrivo raggiunto nel tempo cui, infine, si è data una struttura normativa? Si tratta di quesiti che, innanzi alle testimonianze qui brevemente accennate, sorgono spontanei. Circa l’antichità il Braun opina che l’uso si diffuse proprio in Gallia già nel VII secolo, nella penisola italiana si attesta intorno al Mille (Consuetudines dell’abbazia di Farfa, di matrice clauniacense), per divenire di uso generalizzato nel basso Medioevo [6]. Il celebre canonista Guglielmo Durando, Vescovo di Mende, ci tramanda che nel XIII secolo, epoca in cui visse, alla Ia domenica di Quaresima si coprono le croci e si tira il velo innanzi all’altare e riferisce che ciò in alcune chiese si compie la domenica di Passione (Va di Quaresima) [7].  L’Autore ravvisa dunque un legame tra le due azioni, così come parrebbe ritenerlo, sostanzialmente, anche il Martène sostenendo che, quanto si praticava alla sua epoca (tra XVII e XVIII secolo) la domenica di Passione, era un tempo d’uso generale compierlo la Ia domenica di Quaresima (dopo la Compieta della stessa, o dopo la celebrazione di Prima del lunedì immediatamente successivo) [8].

Privare il fedele dalla vista delle cose sacre o persino dell’altare e dunque dell’azione sacra mediante la velatura, si percepiva come segno esteriore di mestizia. Il citato Durando, estremamente significativo e rappresentativo di una modalità di interpretazione basata su suggestioni allegoriche che permea la speculazione dell’Età di mezzo, suggerisce che, mediante questo segno esteriore, il cristiano rivive una condizione di conoscenza imperfetta, dunque velata, al pari di quella degli uomini dell’antico testamento. Qualora la velatura sia limitata alle ultime due settimane prima di Pasqua, l’accento sarebbe posto sul nascondimento della natura divina: nella domenica di Passione, infatti, veniva proclamato il Vangelo di San Giovanni (8, 46-59) in cui i giudei vogliono lapidare Gesù, dopo un concitato e teso scambio verbale, tanto che egli si vede costretto ad uscire per nascondersi: Jesus autem abscóndit se, et exívit de templo [9]. Ben diversa e non molto convincente, in questa circostanza, la spiegazione che dà Claude De Vert: l’Autore, celebre per ricondurre i gesti di culto e costumi liturgici a necessità materiali e concrete, ritiene che l’usanza possa derivare dall’uso arcaico di collocare la croce solo al momento della celebrazione ed anzi ritiene che essa, originariamente non veniva collocata affatto, come potè leggere e vedere in alcuni luoghi (ancora una volta nell’ambito degli usi neogallicani). La croce sarebbe stata poi portata dal diacono o dallo stesso celebrante all’altare (es. a Reims) per rimanervi il tempo necessario: quando la comodità indusse a lasciarla sul posto, si prese l’abitudine di velarla, uso che sarebbe rimasto in questo specifico tempo [10]. Mario Righetti, perito del Concilio Vaticano II, ritiene verosimile che la velatura di croci ed immagini la domenica di Passione sia una semplificazione tardiva delle velature quaresimali, in particolare opina poter derivare dall’hungertuch (letteralmente telo della fame) attestato inizialmente in area germanica a significare il tempo di digiuno [11]. Particolarmente suggestiva ed articolata è l’ipotesi di Thurston: per l’Autore l’origine della velatura di croci ed immagini è riconducibile proprio ai teli che, anticamente, dal principio quaresima, celavano la sancta sanctorum. L’usanza andrebbe ricercata nell’allentamento e successivo abbandono della prassi canonica della pubblica penitenza. 

Espulsione dei pubblici penitenti


Riconciliazione dei pubblici penitenti
Litografie tratte da Pontificale romanum, Mechliniæ, Dessain, 1862
(collezione di Francesco G. Tolloi)


I penitenti,
in capite quadragesimae, venivano allontanati dal tempio per poi essere riammessi e riconciliati il giovedì santo. Essi sarebbero stati dunque privati dalla vista delle cose sacre: mediante la velatura si produrrebbe una finzione giuridica che porterebbe tutti i fedeli, in un certo qual modo, alla condizione dei penitenti pubblici [12].


Júdica me, Deus, et discérne causam meam de gente non sancta. (Ps. 42,1)


Francesco G. Tolloi

francesco.tolloi@gmail.com



[1] Cfr. Rubr. in Dom. V in Quadragesima, in Missale romanum, editio typica tertia, Città del Vaticano, Typis Vaticanis, 2002, pag. 255.

[2] Cfr. Rubr. In Sabb. post Dominicam IV Quadragesimæ, in Missale romanum, editio typica, Romæ, Typis Polyglottis Vaticanis, 1920, pag. 121.

[3] Cfr. Caeremoniale episcoporum, Romae, Typographia linguarum externarum, 1600, editio princeps, ristampa anastatica a cura di A. M. Triacca e M. Sodi, Città del Vaticano, LEV, 2000, Lib. II, cap. XX, pagg. 217 e s. (225 e s.).

[4] S. De Moleon, Voyages liturgiques de France, Paris, Delaulne, 1718, passim.  (De Moleon è lo pseudonimo del Le Brun des Marette).

[5] In tal senso appare significativa l’Orazione secreta della Ia domenica di Quaresima del Messale c.d. tridentino (cfr. Missale romanum, editio typica 1920, pag. 68) che fa esplicito esordio del tempo quaresimale e con esso delle austerità, segno di conservazione di un elemento arcaico, di matrice gregoriana, a fronte delle modificazioni intervenute successivamente (cfr. Sacramentario Gregoriano. Testo latino-italiano e commento, a cura di M. Sodi e O.A. Bologna, Roma, Edizioni Santa Croce, 2021, pag. 63 al 223.). [Sacrifícium quadragesimális inítii solémniter immolámus, te, Dómine deprecántes: ut, cum epulárum restrictióne carnálium, a nóxiis quoque volunptátibus temperémus.]

[6] Cfr. G. Braun, I paramenti sacri. Loro uso storia e simbolismo, trad. it. G. Alliod, Torino, Marietti, 1914, pag. 209 e segg, pag. 209 e ss. Per l’Autore l’uso di velare il crocifisso va ricercato nel fatto che sino al XII secolo Cristo veniva rappresentato trionfante sulla croce, volendo sottolineare i contenuti della passione salvifica lo si sottraeva dalla vista coprendolo (idem, pag. 211).

[7] Cfr. G. Durando, Rationale Divinorum Officiorum, Ludguni, Ravillii, 1612, lib. VI al 32, par. 12, pag. 303. L’uso della velatura già la Ia domenica di Quaresima lo si riscontra anche nel rito ambrosiano, qui però vengono velate le sole immagini e non i crocifissi (Cfr. V. Maraschi, Le particolarità del rito ambrosiano, Milano, Propaganda Libraria, 1938, pag. 81).

[8] Cfr. E. Martene, De antiquis Ecclesiae Ritibus, Antverpiae, de la Bry, 1737, tomus tertius, pag. 186.

[9] Cfr. G. Durando, Rationale Divinorum Officiorum, op. cit., lib. I, al III, par. 35, pag. 17. Proprio al Vangelo di tale domenica è legato l’uso della cappella papale attestato dal Cerimoniale apostolico. Dal testo si apprende che la velatura della croce avviene in questa domenica ed in particolare le immagini sono coperte con un velo, issato con delle carrucole attraverso cui passando le corde, per mezzo di alcuni chierici della cappella nel momento in cui termina la proclamazione del Vangelo; cfr. A. Patrizi Piccolomini, Sacrarum Cerimoniarum, Sive Rituum Ecclesiasticorum Sanctae Romanae Ecclesiae, Coloniae Agrippinae, 1572, liber secundus, fol. 224 r.

[10] Cfr. C. De Vert, Explication simple, litterale et historique des Cérémonies de l’Eglise, Paris, Delaulne, 1713, Tome quatrieme, pagg. 30 e ss..

[11] Cfr. M. Righetti, Manuale di storia liturgica, Milano, Ancora, 1969, Volume II, pag. 175 e s. Sull’hungertuch, la sua diffusione e sopravvivenza, si veda ancora: G. Braun, I paramenti sacri, op. cit., pag. 211.

[12] Cfr. H. Thurston, Lent and Holy Week, London, Longmans Green, 1914, pag. 99 e ss. Il rito dell’espulsione e riconciliazione dei pubblici penitenti trovava posto nel Pontificale romanum fino agli anni Sessanta del Novecento (cfr. Pontificale romanum, Taurini, Marietti, 1941, V, pagg. 300 e ss. Per l’approfondimento di questi riti si rinvia a: J. Catalano, Pontificale romanum in tres partes distributum, Parisiis, Méquignon, Leroux et Jouby, 1852, Tomus III, pagg. 8 e ss.