venerdì 29 settembre 2023

San Michele e le Gerarchie Angeliche. Tra pietà e liturgia.

L’occasione della Dedicatio Sancti Michaëlis mi suggerisce di riprendere, con lievissimi accomodamenti non sostanziali, un articolo che, nel 2021, scrissi per Il Domenicale di San Giusto (Settimanale della diocesi di Trieste, 26 settembre 2021) approssimandosi appunto la medesima festa.

Sancte Michaël Archángele, defénde nos in prǽlio!

 

Francesco G. Tolloi

francesco.tolloi@gmail.com

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È un culto che attraversa i secoli quello per l’Arcangelo Michele, Principe delle Milizie Celesti, spesso consacrato dall’iconografia nell’atto di trafiggere il demonio. Già nel V secolo moltissime chiese d’Oriente ed Occidente sono dedicate all’Arcangelo, il cui nome significa “Chi è come Dio?”, quasi una convinta eco al primo dei Comandamenti. Basti ancora pensare alla linea retta che attraverserebbe i tre luoghi micaeliti per eccellenza (Mont Saint Michel in Normandia, la Sacra di San Michele in Piemonte e Monte Sant’Angelo sul promontorio garganico) per convincersi di quanto questo culto fosse diffuso e geograficamente esteso.

La Festa del 29 settembre trae origine dalla Dedicazione di una chiesa romana che potrebbe essere il più importante santuario micaelico della città al VII miglio della Salaria (VI secolo). Le fonti liturgiche antiche, come il Sacramentario Leoniano, assegnavano ben cinque Messe in questa ricorrenza che il Martirologio Geroniminiano tramanda come Natalis Basilicae Sancti Angeli in Salaria. Proprio attraverso la ricorrenza della Dedicatio si ricorda e venera San Michele, posto da Dio al vertice delle gerarchie angeliche, quasi a voler riassumere nella sua figura la dulia per gli angeli ispirata dalla Sacra Scrittura e dalla liturgia che ne fa reiterata menzione.

Le prime tracce attestate di un culto micaelico ci portano in Frigia, nel I secolo, ove, a seguito di un’apparizione di San Michele, sarebbe scaturita una fonte d’acqua in grado di sanare qualsiasi malattia (Cheretopa, presso Colossi,) e ancora, nel IV secolo, ove l’acqua che zampillava da una crepa nella roccia, aperta dallo stesso Michele, era ritenuta parimenti curativa (Kone). Di queste arcangelofanie orientali si ha ricordo nella celebrazione bizantina fissata il 6 settembre.  Appare interessante di come l’aspetto taumaturgico si accompagni alla figura militare di un San Michele campione di Dio, che si fa particolarmente evidente a Costantinopoli, città nella quale sorgevano una quindicina di chiese dedicate all’Arcangelo. Qui, presso santuario di Sosthenion, stando alle cronache di Sozomeno, veniva praticata l’incubazione: l’ammalato veniva ricoverato per una notte negli spazi sacri, ove, per mezzo dell’intervento di San Michele, sarebbe stato sanato.

La data del 29 settembre, al di là della coincidenza con la Dedicatio della Basilica alla Salaria, va ricondotta anche alle diverse apparizioni dell’Arcangelo sul Gargano, di cui si ha una festa celebrata, fino all’epoca di San Giovanni XXIII, l’8 maggio, data coincidente con la vittoria navale longobarda sui bizantini riportata nel 663. Secondo la Leggenda Aurea la vittoria longobarda sarebbe, invece, avvenuta nel 492, per tale motivo il vescovo di Siponto (oggi Arcidiocesi di Manfredonia-Vieste-San Giovanni Rotondo) San Lorenzo Maiorano, in ringraziamento, decise di consacrare come chiesa lo speco dove, qualche anno prima, San Michele apparve e scacciò un toro (probabile allusione al residuale culto pagano che si praticava in quelle zone nei confronti di una divinità tauriforme). L’Arcangelo però, manifestatosi al Vescovo, lo avvertì di recarsi semplicemente in quel luogo a celebrare i Sacri Misteri, posto che il sito era già stato consacrato dalla sua apparizione, e ciò avvenne proprio il 29 settembre del 493.

San Michele (Guido Reni)
San Michele Arcangelo (Guido Reni)


A Roma, verosimilmente, la Festa della Dedicazione si sovrappose ad un culto già strutturato dell’Arcangelo Michele e delle gerarchie angeliche e progressivamente finì per sostituirlo. Stando al Prologo di Ocrida, nell’Urbe, ma anche ad Alessandria, era attestata ancora nel IV secolo una celebrazione l’8 novembre. La scelta del mese è riconducibile al pensiero di San Dionigi l’Areopagita, secondo cui la creazione del mondo sarebbe avvenuta a marzo, mentre nel nono mese successivo sarebbero state stabilite le Gerarchie angeliche. La festa si riscontra ancora nel minologion bizantino: assieme a Michele, l’Archistratega, vengono celebrati l’Arcangelo Gabriele e tutte le schiere degli Angeli. Al sinassario del Mattutino (orthròs) della Festa vengono infatti cantati due trimetri giambici per San Michele, due per San Gabriele, uno per gli altri Arcangeli e due, infine, per tutti i Cori Angelici.

La configurazione della Festa del 29 settembre, derivata dalla riforma liturgica che ha fatto seguito al Concilio Vaticano II, prevede, assieme alla celebrazione dell’Arcangelo Michele, quella degli Arcangeli Gabriele e Raffaele, accumunati dal fatto che dei loro nomi si fa menzione nella Scrittura (altri nomi si conoscono probabilmente dall’apocrifo di Enoch e talvolta li si trovano menzionati, ad esempio in testi esorcistici medievali).

Sebbene anche prima della suddetta riforma i testi liturgici sottolineassero un onore tributato a Michele non tanto singolarmente ma quanto a capo delle Gerarchie Celesti, gli Arcangeli Gabriele e Raffaele avevano delle Feste proprie. San Gabriele era festeggiato il 24 marzo, in quanto messo in stretta correlazione con il mistero dell’annuncio a Maria di cui si fa memoria il giorno 25 (nell’uso costantinopolitano vi è una sinassi di San Gabriele il giorno successivo). San Raffaele invece lo si trova in date diverse, ad esempio nella vicina Venezia, sino all’epoca di San Pio X (promulgazione dei Propria da parte del Patriarca Pietro La Fontaine), lo si festeggiava la IIa domenica dopo Pasqua, mentre altrove la Festa era comunemente fissata al 24 ottobre. Si tratta, in ogni caso, di feste entrate nel Calendario universale piuttosto tardivamente (con rito duplex majus), tanto che nelle edizioni dei libri liturgici promulgati ad mentem delle riforme di San Pio X (es. la typica del 1920 del Messale) sono ancora annoverate ancora tra le Feste pro aliquibus locis. Per quanto attiene invece gli Angeli Custodi, si riscontra una Festa liturgica celebrata sin dal XV secolo nella Francia e nelle Ispagne. Dopo alterne fortune fu inserita nel Calendario Universale da Clemente X (1670). Detta Festa (nel calendario riformato è attualmente Memoria) è fissata il 2 ottobre.

Francesco G. Tolloi

francesco.tolloi@gmail.com 

giovedì 21 settembre 2023

La presenza benedettina a Trieste. Il monastero di San Cipriano.

 Prælegendum.

Nel marzo del 2022, nell'ambito della collaborazione con il settimanale della diocesi di Trieste, scrissi qualche annotazione storica sulla presenza del monachesimo benedettino a Trieste soffermandomi soprattutto sul monastero femminile di San Cipriano (potete scaricare l'articolo da qui). L'antica struttura monastica, come evidenzio nell'articolo, è stata abbandonata dalle monache nel 2012 ed oggi i locali sono stati parzialmente trasformati e ridotti ad altri utilizzi. La chiesa è da allora chiusa. Va ricordato che essa ben si presta a triste esempio dello scempio liturgico postconciliare: già il coro, un tempo pensile e situato sopra l'ingresso, fu trasferito negli anni Ottanta del Novecento ai lati del presbiterio con conseguente spostamento della sacrestia in un ambiente collocato a sinistra nel fondo dell'edificio, ma ciò che colpisce è la bruttura inflitta a quello che era un tempo un armonioso e ben strutturato presbiterio. Qui la mensa dell'altare maggiore è stata tagliata ed asportata con conseguente applicazione dell'esuberante fastigio marmoreo sulla parete della struttura. Nel centro del presbiterio, su una struttura metallica, è stato eretto il monumento alla pochezza del pensiero dei riformatori ossia l' "altare" (?) per la celebrazione del culto riformato. Ciò che mi auguro di cuore è che prima o poi la crisi economica porti a vendere questa chiesa a qualche realtà tradizionale (anche se verosimilmente piuttosto la demolirebbero a suon di esplosivo) e che possa essere riportata ai pristini splendori a beneficio dei triestini e dei visitatori.

Francesco G. Tolloi

francesco.tolloi@gmail.com


Interno della chiesa di San Cipriano prima dei maldestri
ed infelici interventi degli anni Ottanta del Novecento.
(a parte quei due leggii mobili tutto va ancora bene...)


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Il tentativo di delineare un quadro storico dei primi e più antichi insediamenti monastici nella nostra città, come ricorda Giuseppe Cuscito, risente pesantemente della penuria di fonti, non di meno si riescono ad individuare alcune tracce della presenza monastica benedettina nel contesto della diocesi di Trieste [1]. Come attestano gli atti del Sinodo di Cividale del 796, San Paolino, patriarca di Aquileia, si era prodigato nell’organizzazione della vita monastica in seno alla sua provincia ecclesiastica, avendo potuto personalmente rendersi conto, alla corte di Carlo Magno, della fervida vitalità e versatile potenzialità del monachesimo benedettino. Questo dinamismo fu indirizzato nell’evangelizzazione delle genti slave geograficamente più vicine: cenobi come quello che esisteva a San Giovanni del Timavo (Duino, arcidiocesi di Gorizia), «insigne per reliquie di santi e martiri, per fama dell’Abbazia dei Benedettini» [2], verosimilmente furono centri in cui si formarono religiosi destinati a tale azione missionaria. Ma il periodo delle invasioni ungare della prima metà del X secolo turbò intimamente e segnò profondamente anche le comunità benedettine. Dopo le concitate circostanze, la presenza monastica rifiorì tra molte difficoltà e ridefinì i suoi connotati e con essi la sua funzione socio economica. Da allora si privilegiarono aspetti come la ricolonizzazione delle campagne e la rivitalizzazione delle realtà rurali sotto il profilo dell’assistenza spirituale e pastorale, legando spesso le realtà plebanali alle fondazioni monastiche. Ciò lo si avvertì in modo più netto nel vicino Friuli e tale impronta fu destinata a diventare un tratto caratteristico, mantenutosi per lunghi secoli, in un sistema di rapporti e  di immunità accettato e garantito dall’autorità centrale. Per fare un esempio la badessa del Monastero, nell’omonima località nei pressi di Aquileia, anticamente nominava il parroco della vicina Cervignano, consegnandogli l’anello parrocale. Se in Istria si attesta l’antica presenza benedettina a Pola (abbazie del Canneto e di San Michele in Monte), a Orsera con San Michele di Leme, fondata dallo stesso San Romualdo (che diede origine al ramo dei camaldolesi), San Lorenzo in Daila, a Capodistria (monastero di San Nicolò), nella città di Trieste il vescovo Artuico nel 1115 dona ai monaci benedettini di San Giorgio Maggiore (Venezia) la già esistente chiesa dei Santi Martiri all’ omonima via. È la prima testimonianza di una presenza benedettina nella città di Trieste. Il monastero si mantenne fino al 1736, quando i benedettini, mercè soprattutto le infelici condizioni economiche, lo cedettero all’Imperatore. In seguito la chiesa del monastero fu soppressa, dunque trasformata in magazzino ed infine, nel 1839, abbattuta [3]. Proprio nell’ambito del complesso dei Santi Martiri, già variamente distribuito, poco più di quarant’anni dopo la vendita, giunsero i monaci Mechitaristi armeni che provenivano da Venezia, mossi da recenti attriti con il governo veneto. Essi, fondati nei primi anni del Settecento da Mechitar (Mxithar) Pietro di Sïvas, con l’approvazione ottenuta da papa Clemente XI, avevano adottato proprio la regola di San Benedetto. Tali religiosi celebravano la liturgia con il rito armeno e costituivano il riferimento anche per altri cattolici appartenenti ad altre realtà orientali, come alcuni greci e maroniti, che allora dimoravano a Trieste attirati dalle prospettive del Porto Franco [4]


Facciata ed interno della chiesa
del monastero di San Cipriano


L’unica presenza benedettina rimasta in diocesi sino ai nostri giorni è quella delle monache che attualmente sono insediate nella località di Prosecco, alle spalle di Trieste, nel monastero di San Cipriano inaugurato nel 2012. Esse sono giunte sull’altopiano dal monastero omonimo spiccato sulle pendici del Colle di San Giusto, tra la Cattedrale ed il Santuario di Santa Maria Maggiore. In questa sede – mantenuta poi per sei lunghi secoli (salvo brevissimi periodi) - erano giunte, dopo un complesso peregrinare, nel 1426: vari guasti derivanti da avverse congiunture economiche, guerre e terremoti, avevano compromesso il cenobio originario situato nel Caboro (tra la Cattedrale e il bastione rotondo del castello). Nell’area sorgevano alcune abitazioni, appartenenti alla nobile famiglia dei Bonomo, nonché due chiese, una dedicata a San Martino (non più riconoscibile) e l’altra, consacrata i primi anni del XIV secolo, intitolata a San Cipriano, destinata a dare il titolo al monastero. Questa chiesa, di proprietà del Capitolo della Cattedrale, utilizzata per alcune celebrazioni corali, fu poi ceduta alle monache attorno la metà del Quattrocento. Papa Pio II, Enea Silvio Piccolomini già vescovo di Trieste, la incorporò al monastero esentandola da qualsiasi imposizione [5]. Non è certo quando le benedettine, prima insediate nel Caboro e poi nel complesso di San Cipriano, siano giunte a Trieste: in particolare non è chiaro se esse derivino dalle clarisse, già presenti dal 1282 (Santa Maria della Cella), che poi avrebbero abbracciato la regola di San Benedetto, oppure se si trattava di due realtà monastiche femminili distinte, una delle quali destinata poi, nel tempo, a scomparire [6]. Anche se si tratta di un monastero urbano, quel legame con le realtà rurali, di cui si era fatto cenno, si evidenzia e concretizza nel diritto di nominare, dal 1475, il curato di San Giovanni nella località di Lonche (Loka, Slovenia), alle sorgenti del Risano, il quale, a sua volta, era tenuto a corrispondere alle monache di San Cipriano un contributo annuo. Ancora all’insegna dei rapporti tra urbanità e ruralità, è interessante e significativo il legame del monastero con la località di Santa Croce. Negli anni Sessanta del XV secolo il monastero divenne l’unico proprietario della villa di Santa Croce: una metà la ricevettero per il lascito testamentario del vicario generale della diocesi il canonico Pietro da Vrem, l’altra metà la acquistarono da Pietro Pellegrini, cittadino di Trieste. Innanzi alla situazione declinatasi e alle obiezioni mosse dal Comune di Trieste, l’Imperatore Federico III, nel 1478, riconobbe alle monache il diritto temporale di nomina del supano (borgomastro) della villa. Altri furono i possedimenti del monastero sia sul colle di San Giusto che sul Monte Berze, in questo caso si trattava di poderi situati tra Sant’Antonio in Bosco e San Giuseppe della Chiusa (comune di Dolina) e ancora a Draga, la chiesetta di Santa Maria in Siaris, così come avevano contratti di affittanza presso le saline di Zaule ecc. ed altri rapporti enfiteutici. Nel 1510, l’Imperatore Massimiliano I affidò il patrocinio e la difesa del monastero al Capitano civico. Alcuni disordini interni alla comunità acuitisi fino alla contestazione della badessa portarono, alla metà del Cinquecento, ad un inasprimento della clausura, nel 1569 il monastero venne ascritto alla Congregazione Cassinense, ulteriori provvedimenti per perfezionare la clausura ad mentem dei dettami del Concilio tridentino e per regolare i rapporti economici furono presi durante la visita canonica del vescovo Ursino de’Bertis nel 1599 [7].  



Il monastero di San Cipriano potè scampare alle riforme e soppressioni giuseppine: per volontà del sovrano solo le realtà religiose dedite alla carità e alla cura degli infermi potevano, sotto l’egida statale, restare attive. Le monache triestine, dallo scioglimento ed allontanamento dei gesuiti, avevano affiancato la loro vita contemplativa con l’educazione scolastica. Già alcuni anni prima dell’inizio delle soppressioni dei conventi avevano istituito un educandato, di carattere privato, per le fanciulle. Al fine di garantirsi l’esistenza nel 1783, le benedettine accettarono di aprire una scuola femminile sotto il controllo statale. Per provvedere alla copertura economica l’Imperatore Giuseppe II assegnò loro beni e rendite del monastero delle consorelle d’abito di Aquileia che era stato chiuso l’anno precedente e l’anno successivo si recò personalmente in visita al convento e alla scuola, sistemata mediante l’adattamento di alcuni spazi del monastero e della chiesa di San Martino del complesso conventuale. La scuola del monastero, affiancata da un preparandio femminile, proseguirà le sue attività sino al 1969, nonostante nel 1872, nel tentativo di “laicizzare” l’istruzione della gioventù, la municipalità le sottrasse il patrocinio pubblico. I lunghi secoli di vita del monastero di San Cipriano mostrano dunque un pieno inserimento nel tessuto socio religioso triestino ed un grande prestigio civico che emerge anche dalla cronotassi delle badesse e dalla lista delle professe in cui spesso si distinguono i nomi più prestigiosi della città (Petazzi, Bonomo, Burlo, Rapicio ecc.) ma anche dei territori limitrofi dell’Istria e del goriziano storico (Strassoldo, Frangipane, Altan, Dornberg, Torriani, Edling ecc.). Durante la storica visita di San Giovanni Paolo II nella Regione Friuli Venezia Giulia del 1992, il Santo Padre alloggiò proprio nella foresteria del monastero di San Cipriano.


La chiesa di San Cipriano, rimaneggiata più volte nel corso dei secoli, si affaccia su un cortiletto nel quale si staglia la facciata a capanna dell’edificio. Essa è ritmata da lesene nella parte superiore, ove si aprono due finestre, al di sotto delle quali sono situate due nicchie con statue dei Santi Benedetto e Cipriano, mentre nella parte centrale si trova un affresco (l’Immacolata tra le Sante Patrone benedettine). La parte sottostante è dominata da un portico a tre arcate chiuso da cancellata in ferro battuto. L’interno è strutturato ad unica navata e racchiude tre altari di gusto nettamente rococò. L’altare di sinistra è dedicato al Crocifisso, la mensa bombata è sovrastata da una pala attribuita al pennello del capodistriano Giorgio Vincenti che raffigura Cristo in croce tra Maria e Giovanni venerato da San Cipriano. L’opera fu donata al monastero dal vescovo Pietro Bonomo nel 1525. 

altare del Crocifisso
Altare del Crocifisso con la pala di Giorgio Vincenti
(foto aTrieste)


L’altare di destra è dedicato alla Madonna del Rosario. L’altare maggiore è chiuso, ai suoi estremi laterali dalle statue di due angeli, la mensa presenta un elaborato cartiglio centrale con spighe e grappoli, con un insieme particolarmente efficace giuocato su felici accostamenti di marmi policromi. La parte sovrastante appare dominata dall’agile esuberanza del tabernacolo foggiato a cipolla, fatto ricostruire totalmente a fine Settecento dalla baronessa Marenzi. Sul fondo dell’abside è situata una tela di Palma il Giovane che raffigura l’Incoronazione della Vergine al centro. Nella parte superiore è dipinta la Trinità ed in quella inferiore i Santi Benedetto, Cipriano e Scolastica. Sulle pareti laterali del presbiterio trovano posto due tele di gusto barocco (Discesa dello Spirito Santo ed Ultima Cena). Il soffitto è dominato dal dipinto della Risurrezione dipinto a metà Ottocento da Luigi Castro e Giuseppe Zucco, i guasti di un bombardamento del 1944 lo distrussero, ma venne rifatto dal triestino Mario Lannes quindici anni dopo [8].

Fedeli al precetto del fondatore, sinteticamente riassunto nel celebre motto Ora et labora, una volta dismessa l’attività scolastica, le monache benedettine si sono dedicate all’attività di conservazione e restauro del libro antico, un ambito nel quale, ancora oggi, sono estremamente rinomate ed apprezzate. Ma molti tra i triestini hanno ancora scolpito indelebile nella memoria il ricordo della ruota presso la portineria del monastero. Questa ruota, vero e proprio diaframma tra il secolo e la clausura, mossa dalla mano invisibile di una monaca, serviva a portare all’esterno del monastero una bevanda o del cibo caldo a chi, bisognoso o in difficoltà, tirava la cordicella della campana che richiamava la religiosa a questo gesto di carità.

Francesco G. Tolloi

francesco.tolloi@gmail.com


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[1] cfr. G. Cuscito, Storia di Trieste Cristiana attraverso le sue chiese, Trieste, Vita Nuova, pag. 65.

[2] V. Scussa, Storia cronografica di Trieste dalla sua origine al 1695 cogli annali dal 1695 al 1848 del Procuratore Civico Pietro Kandler, Trieste, Italo Svevo, 1986, pag. 239.

[3] cfr. S. Rutteri, Trieste. Spunti dal suo passato, Trieste, Borsatti, 1950, pag. 203 e s.

[4] cfr. Descrizione storico-statistica della citta di Trieste e del suo territorio del 1782, a cura di S. Degli Ivanissevich, Trieste, Italo Svevo, 1992, pag. 70.

[5] cfr. E. Generini, Trieste antica e moderna, Trieste, Italo Svevo, 1988, pag. 257.

[6] cfr. G. Cuscito, Le chiese di Trieste, Trieste, Italo Svevo, 1992, pag. 67.

[7] Cfr. B.M. Favetta, Monastero di San Cipriano: vita attività, vicende nel XVII secolo, Estratto da «Archeografo Triestino» Serie IV-1979, Volume XXXIX (LXXXVIII della raccolta), pag. 212 e ss.

[8] Cfr. G. Beari, Guida alle chiese di Trieste e provincia, Trieste, Stabilimento Tipografico Nazionale, 1960, pag. 38.