martedì 6 ottobre 2020

San Sergio martire - 7 ottobre -

Nel già dichiarato intento di allestire in un futuro, spero imminente, una sezione dedicata al santorale tergestino, propongo ai Lettori un mio articolo già pubblicato sul settimanale diocesano di Trieste "Vita Nuova" con il quale ho  collaborato fino alla cessazione delle pubblicazioni (estate scorsa). Inserisco - come già fatto per altri Santi dei Propria triestini - i testi delle lezioni del secondo Notturno con la relativa traduzione e una breve nota sullo stemma storico della città di Trieste che vede tra i suoi elementi principali proprio l'alabarda del Martire

San Sergio interceda per la mia città di Trieste che lo venera come compatrono!

Francesco Tolloi


Non fosse altro per l’alabarda, simbolo della città di Trieste caro ai suoi abitanti, San Sergio martire, patrono secondario, è uno tra i santi del nostro santorale, per il motivo appena esposto, ancora abbastanza noto fra i triestini. Proprio il suo emblema caratteristico nasce sulla scorta di una pia tradizione, una sorta di appendice, aggiunta alla sua Passio che – come in genere si può dire di analoga letteratura, specie di soggetti locali -  difficilmente può essere annoverata tra le fonti storiche, come ebbe ad evidenziare Giuseppe Cuscito; ma, come lo stesso puntualmente osserva, le passiones: «sono testimonianze importanti della storia della pietà e del culto locale» (Martiri dell’Antica Chiesa di Trieste, in Santi e Martiri nel Friuli e nella Venezia Giulia, a cura di W. Arzaretti, Padova, Messaggero, 2001, p. 71.). 

Ciò premesso giova richiamare ciò che ci è tradito dal racconto della sua Passione. Sergio sarebbe stato un militare romano nato in seno ad una famiglia nobile che, annoverato nel rango degli ufficiali, ebbe a trasferirsi, a principio della sua carriera, nella nostra città ove – essendo divenuto tribuno militare – era presto diventato un punto di riferimento in seno alla locale comunità cristiana. Il suo talento militare dovette portarlo però lontano, tanto che lo ritroviamo in Siria impegnato nel servizio in armi a Roma che si trovava coinvolta nella lunga lotta con i persiani. Fu proprio lì che Sergio, assieme al correligionario Bacco suo compagno d’armi, fu denunciato per la professione della sua Fede. 


San Sergio
dettaglio della tela di B. Carpaccio
1540, Cattedrale di San Giusto (Trieste)

San Sergio dall'Opera del Mainati
sui Santi Tergestini (XIX secolo)

I due furono condannati e compirono il loro martirio a breve distanza l’uno dall’altro. Bacco, presso la fortezza di Barbalisso, ebbe a perire durante una durissima flagellazione; nella volontà di disperdere il suo corpo, i persecutori, intesero gettarlo alle fiere affinché ne divorassero le carni. Tuttavia alcuni cristiani ebbero a sottrarre il suo corpo, complice l’oscurità della notte, per inumarlo in una grotta che si apriva a poca distanza. Sergio fu condannato a calzare dei sandali crudelmente provvisti di chiodi e con essi fu costretto a camminare tra le fortezze di Saura e Tetrapirgio. Giunse infine a Rosapha ove gli fu data la morte mediante decapitazione. E qui si innesta quell’appendice alla Passio cui si faceva poc’anzi riferimento. San Sergio, nella volontà di significare agli affezionati amici cristiani da lui lasciati a Trieste che il Signore lo aveva fatto degno del martirio, avrebbe voluto dare un segno tangibile: la sua alabarda precipitò dal cielo nella nostra città. Essa è custodita presso il tesoro della Cattedrale di S. Giusto, montata su un piedistallo gotico. Questo manufatto metallico - che resiste sia all’azione della ruggine e che ai tentativi di doratura – divenne, secoli dopo, simbolo stesso della città di Trieste. La passione di Sergio e Bacco avvenne durante le persecuzioni contro i cristiani indette da Massimino Daia, il Martirologio assegna il suo dies natalis il 7 ottobre. 

L'alabarda di San Sergio
dettaglio del tesoro della Cattedrale di San Giusto (Trieste)

In effetti fino all’inizio del Novecento, segnatamente sino alle riforme promosse da San Pio X, San Sergio veniva festeggiato a Trieste il 7 ottobre, ultimo Proprium Officiorum diocesano a riportarlo in quella data è quello del vescovo Sterk (Pars Autumnalis, Ratisbonae, Pustet, 1900, p. 15* e s.). La succitata riforma, tra i vari aspetti, mirava a portare a un giorno fisso le feste che si facevano cadere la domenica. È la casistica, tra le varie, della festa del Rosario che, spostata dalla prima domenica d’ottobre, fu fissata al giorno 7. San Sergio veniva dunque spostato al primo giorno utile ed esso – come attesta il Proprium Officiorum diocesano del vescovo Karlin (Pars Autumnalis, Ratisbonae, Pustet, 1915, p 5*), redatto secondo il principio appena enunciato – era l’11 ottobre. Tale situazione si mantenne sino al 1931, anno nel quale, essendo vescovo mons. Fogar, fu promulgato il Proprium Missarum della diocesi (Ratisbonae, Pustet, 1931). Ma proprio in quell’anno, Pio XI volle solennizzare il XV centenario del Concilio di Efeso che aveva definito solennemente che Maria è la Theotokos, la Madre di Dio: stabilì allora la festa della Maternità della Beata Vergine Maria fissata l’11 ottobre. La festa del patrono secondario fu portata al giorno successivo come si può vedere in ogni Ordo redatto per ciascun anno per le cure del calendarista diocesano. Ma anche questa soluzione non ebbe a durare molto. Nell’estate del 1964 mons. Santin promulgava i nuovi Propria, sia per la Messa che per l’Ufficio (entrambi stampati a Torino da Marietti) redatti ad mentem di quelle riforme promosse da Pio XII e portate avanti da San Giovanni XXIII. In essi la festa di San Sergio è stabilita all’8 ottobre e ciò ad oggi si è mantenuto con i testi rinnovati durante l’episcopato di mons. Bellomi (Poliglotta Vaticana, 1989).

Francesco G. Tolloi

francesco.tolloi@gmail.com


Lezioni del secondo Notturno

[Lectio IV] Sérgius, nóbili génere natus, milítiæ nómine dato, Tergésti tribúnum egísse et eam civitátem plúribus miráculis illustrásse fertur. A Maximiáno imperatóre ad pública solémnia sacrifícia citátus, non modo non compáruit, sed étiam deórum simulácra exsecrátus est et Christum magna ánimi constántia palam conféssus. A quo propósito cum, spreta imperatóris grátia, nec promíssis nec minis dimóveri posset, ómnibus notabilitátis et milítiæ insígnibus spoliátur, et férreis vínculis onústus per médiam urbem ad ludíbrium dúcitur, tetróque cárceri mancipátur.

 

Si narra che Sergio, nato da famiglia nobile, arruolatosi nell’esercito, abbia retto il posto di tribuno a trieste e illustrato quella città con molti miracoli. Richiesto dall’Imperatore Massimiano di sacrificare solennemente in pubblico, non solo non si presentò, ma anche biasimò gli idoli degli dei e con grande fortezza d’animo professò pubblicamente la sua fede in Cristo. Per la qual cosa, disprezzato il favore dell’imperatore, dal momento che non poteva essere convinto nè con promesse nè con minacce, spogliato da tutte le insegne di nobiltà e di grado militare, e carico di catene di ferro è condotto alla gogna attraverso la città e messo in una oscura cella

 

[Lectio V] Ad Antíochum, in Oriente ducem, Tyrum missus, ut ejus crudelitáte vel ad idolórum cultum reducerétur vel sævíssime necarétur, gravíssima in itínere incómmoda perpéssus est, cœlésti tamen visióne recreátus. Eo cum pervenisset, in obscúrum cárcerem detrúditur et multis pollicitatiónibus, ut Christo renúntians Maximiáni grátiam recuperáret, frustra tentátur. A Baccho sócio, qui paulo ante martýrium subíerat, sibi apparénte mire confortátus, cum se blandítiis et minis superiórem osténderet, jubénte Antíocho, cálcei ferráti, pungéntibus úndique clavis intérne instrúcti, pédibus ejus aptántur, et mánibus ad terga ligátis, ante ejus rhedam cúrrere cógitur.

 

Inviato a Tiro da Antioco, duce in oriente, affinchè per la sua crudeltà o ritornasse al culto degli idoli o fosse ucciso atrocemente, soffrì nel viaggio gravissime sofferenze, sostenuto, tuttavia da una visione celeste. Quando vi fu arrivato, fu gettato in una cella oscura e con molte promesse venne inutilmente tentato affinché  rinunziando Cristo recuperasse il favore di Massimiano. confortato dal compagno Bacco, che avendo subito poco prima il martirio, gli apparve miracolosamente, mostrandosi superiore alle blandizie e alle minacce, per ordine di Antioco, gli si misero ai piedi delle calzature di ferro con all’interno chiodi ovunque, e legategli le mani dietro alla schiena  lo si costrinse a correre davanti alla sua carrozza.

[Lectio VI] Crudéli martýrii génere constantíssime toleráto, Angeli apparitióne recreátus et santitáti rédditus, álios item cruciátus pari ánimi magnitúdine perpéssus, mortis tandem senténtiam lætus suscépit , et amputáto cápite et capesséndam martýrii palam migrávit Nonis Octóbris circa annum Christi tercentésimum tértium. Tergestíni hastam, qua Sérgius usus fuísse tráditur, magna veneratióne servant, eáque de causa hastæ insígni in civitátis stémmate utúntur; Sérgium autem inter Patrónos suos jam dudum retulérunt.

Sopportato con grandissima forza d’animo un simile  crudele martirio, confortato da un’apparizione d’angelo e tornato in salute, subì ancora altri supplizi con pari grandezza d’animo, e decapitato, migrò ad ottenere la palma del martirio, le none di ottobre, nell’anno di Cristo 303. I triestini conservano con grande venerazione la lancia che si dice fosse stata usata da Sergio, per la qual causa si ha l’insegna dell’alabarda nello stemma della città; già da tempo accolsero Sergio tra i loro patroni.

Da: Proprium Officiorum pro unitis Dioecesibus Tergestina et Justinopolitana, Pars Autumnalis, Ratisbonae et Romae, Pustet, 1918, pp. 5 e ss. (vescovo A. Karlin)

 


L'imperatore Federico III d'Asburgo, dopo l'infelice guerra sostenuta dalla città contro Venezia, concesse, il 22 febbraio 1464, al Comune di Trieste un nuovo stemma e una nuova bandiera.

 «Abbiamo quindi deliberato di accrescere li armeggi e le insegne pubbliche della città, colle armi e colle insegne della nostra Casa ducale in perpetuo onore della detta città e dei fedeli nostri cittadini, statuendo con ducale costituzione che la città ed il Comune di Trieste da oggi in poi portino la vittoriosa Aquila bicipite del Sacro Impero nella parte superiore dello scudo, coi suoi propri e naturali colori ; nella parte inferiore poi l'armeggio del nostro Ducato d'Austria coi suoi colori rosso di sopra e di sotto, bianco nel mezzo ad egual tripartizione di traverso; dalla base dello scudo s'alzi la tricipite lancia di S. Sergio martire protettore della città e del popolo, la quale lancia da tempi antichi servì di singolare armeggio alla città; un cuspide della lancia in linea retta giunga fino alla parte superiore dello scudo nel quale è l'Aquila ad ali tese; gli altri due cuspidi da un lato e dall'altro, nella fascia bianca sieno curvati a modo di falci ripiegati verso l'asta; con questa differenza che mentre negli antichi armeggi la lancia era di color ferreo naturale, da ora in poi sia di colore d'oro. Inoltre a sempre maggiore laude ed onore della detta città e dei cittadini, per grazia singolare concediamo che sovra lo scudo si collochi aurea corona in segno di virtù e di vittoria riportata contro i loro nemici, e di porre lo stemma così coronato in tutti i tempi e tutti i luoghi sulle porte, sulle torri, sulle mura, sul palazzo del Comune, sulle case private e pubbliche, come anche sulle bandiere, sui vessilli, sulle tende e padiglioni, sui sigilli maggiori e minori, ed in ogni cosa adatta ad armeggio, siccome armi ed insegne proprie e peculiari della città ecc. ecc. senza contraddizione e molestia od impedimento di Noi e dei Nostri, così dell'Impero che del Ducato d'Austria ecc., Ordinando a tutti e singoli i Principi così ecclesiastici che secolari, duchi, marchesi, conti, baroni ecc. ecc.»

(Raccolta delle leggi, ordinanze e regolamenti speciali per Trieste, Presidenza del Consiglio, Tipografia del Lloyd Austriaco, Trieste, 1861)


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