giovedì 6 luglio 2023

Beato Monaldo da Giustinopoli (9 novembre)

Prælegendum.

Era il novembre 2019 quando – nell’ambito della collaborazione con l’allora Settimanale diocesano triestino “Vita Nuova” – m’imbattei nuovamente nella figura del Beato Monaldo da Giustinopoli, frate francescano vissuto nel XIII secolo nella vicina Capodistria le cui spoglie, mercé le temperie storiche novecentesche, si custodiscono nel Santuario cittadino di Santa Maria Maggiore (numero dell’8 novembre 2019, scarica qui).  Ho detto “nuovamente” perché ero giovane quando avevo conosciuto questa figura di religioso, ancora liceale o forse matricola dell’Università. All’epoca, assieme ad un bel gruppetto di amici, si organizzavano i Vesperi more antiquo in canto gregoriano a Santa Maria Maggiore, prima che la “cultoclastia” (o forse meglio “cultofobia”) dell’Ufficio Liturgico diocesano non colpisse l’iniziativa senza scrupolo alcuno. Incuriosito dall’arca di questo Beato, fu il guardiano di allora del Convento dei Minori della Provincia Veneta, padre Vittorio Bellomo, che volle parlarmene e regalarmi qualche pubblicazione su questa figura locale di santità francescana. Esse mi tornarono utili per la redazione dell’articolo che qui ho pensato di riprendere. In quell’occasione volli chiudere il mio contributo con un auspicio, ossia che si pensasse di introdurre il Beato Monaldo nei propria diocesani. Non conoscevo la circostanza che si evince dal “Bollettino della Diocesi di Trieste”, anno 1978, n. 3 (pagg. 148 e ss.). Dalle colonne del notiziario, “ufficiale per gli atti vescovili”, si apprende che il Consiglio Presbiterale cassò l’idea di inserire il Beato francescano nei testi liturgici locali (9 contrari e 8 astenuti) con la seguente motivazione: «la lontananza nel tempo e nella pietà dei fedeli, l’appartenenza alla Chiesa di Capodistria e non a quella di Trieste.». Le motivazioni allora, a mio vedere, con poca lungimiranza addotte potrebbero agevolmente essere sintetizzate con la locuzione di “minimalismo ideologico” che caratterizzava l’operato liturgico dell’epoca. Ma se le condizioni allora si presentavano gravi, oggi sono calamitose e perciò ben poca speranza si può avere in un intervento delle gerarchie ecclesiastiche in tal senso. Oggi, con consapevole amarezza, posso riformulare quell’auspicio in modo più realistico: sarebbe già molto se qualche lettore, incuriosito dalla figura del Beato Monaldo qui sintetizzata, si recasse a Santa Maria Maggiore e si soffermasse qualche momento in preghiera innanzi le reliquie del Beato che le turbolenze storiche hanno destinato alla nostra città di Trieste.

Francesco G. Tolloi.

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Il Beato Monaldo da Giustinopoli.


Il Beato Monaldo da Giustinopoli
(Convento dei Minori di Capodistria)


Da circa settant’anni la città di Trieste ne custodisce il corpo. Le spoglie del Beato Monaldo da Giustinopoli, frate minore, riposano infatti in un’urna posta sopra l’altare di San Francesco Saverio presso il Santuario di Santa Maria Maggiore, portati da Capodistria in seguito ai fatti cruenti e dolorosi dell’ultimo dopoguerra. Chi fu questo frate venerato come Beato? Scarne e frammentarie le notizie che abbiamo della sua vita. Egli nacque a Capodistria verosimilmente tra il 1210 e il 1220. Non è certo se la sua professione religiosa preceda o segua la sua formazione accademica, ma sappiamo con sicurezza che nel 1257 era Ministro della Provincia dei Minori di Slavonia che comprendeva un vastissimo territorio dalla costa albanese, percorrendo la Dalmazia, l’Istria e la nostra città: proprio in tale veste fra’ Monaldo fu a Trieste a dirimere una questione che si era aperta tra il capitolo ed i frati francescani relativamente la possibilità, di questi ultimi, di ospitare le sepolture. Altresì incerta è la sua formazione accademica, che si ritiene avvenuta nella prestigiosa Bologna dove, forse, egli conseguì la licentia docendi. La sua figura di spicco tra i giuristi ed i canonisti dell’età medievale è legata alla sua opera principale, la ”Summa juris canonici”, detta – dal nome dell’autore - “Summa Monaldina” o “Summa aurea” che egli scrisse tra gli anni Cinquanta e Settanta del XIII secolo. Si tratta di un’opera che ebbe una vasta diffusione sino alla prima parte dell’età moderna: della summa sono stati censiti ben 65 esemplari manoscritti nelle biblioteche europee, mentre la prima edizione a stampa si segnala a Lione nel 1516. L’elaborazione del Beato Monaldo compendia, organizzata per la prima volta in modo alfabetico, soprattutto la casistica penitenziale, con riferimenti precisi alle Decretali e ai principi del diritto civile e canonico. 

Un manoscritto della Summa monaldina


Se esistono opinioni divergenti nel fissare la sua nascita a Capodistria, è certo che lì visse ed operò, così come morì nel 1280. Il “Martyrologium franciscanum” (Vicentiae, Ex Typographia Commerciali, 1939, pag. 433) assegna il suo transito il 9 novembre. 

L’arca contenente i suoi resti fu da sempre oggetto di ininterrotta venerazione sino alla temperie napoleonica. I resti del Beato Monaldo erano custoditi nella chiesa di San Francesco, affidata ai Minori conventuali, che all’epoca furono soppressi (1806). I frati conventuali li affidarono alle monache clarisse del convento di Santa Chiara assieme a molti altri oggetti sacri. Ma l’accanimento verso gli Ordini non si era sopito, così, in ottemperanza allo stesso decreto che chiuse il convento di San Francesco, le clarisse dovettero trasferirsi presso le agostiniane al monastero di San Biagio che, nel 1816, ormai sotto la corona d’Austria, dovette essere chiuso per esiguità numerica e ristrettezza finanziaria. Tra le religiose, due sorelle, figlie del marchese de’ Gravisi, si ritirarono, serbando i voti, nella proprietà di famiglia a Giusterna ove, nella cappella privata di famiglia, posero l’arca del Beato Monaldo. Pochi anni dopo le sorelle morirono e la proprietà passò al fattore Antonio Apollonio. Il figlio di questi, nel 1876, nel destinare l’oratorio ad uso profano, risolse di consegnare l’arca alla Cattedrale di San Nazario. Il parroco mons. Francesco Petronio la accettò, accertando l’integrità del manufatto ma non attivò la procedura canonica necessaria per rimettere le reliquie alla pubblica venerazione. I frati minori del convento di Sant’ Anna desideravano però ospitare tra le loro mura i resti del loro confratello beato, tanto che il vescovo mons. Sterk, nel 1901, autorizzò la traslazione: l’arca poteva però essere esposta solamente nell’oratorio interno del convento, riservato ai soli religiosi. Per il “culto pubblico” si rendeva necessaria la ricognizione e l’autenticazione con conseguente concessione del culto ab immemorabili. La procedura fu completata dal vescovo mons. Nagl nel 1904. Una sottoscrizione tra gli abitanti provvide, nel 1912 all’acquisto di una pregevole arca lignea laccata e dorata (opera di Domenico Moroder), segno che la devozione verso il Beato Monaldo non si era sopita. Ma quasi contemporaneamente sorsero dubbi circa l’autenticità dei resti. La curia si rivolse alla Sacra Congregazione dei Riti che dichiarò la liceità della collocazione nella nuova urna e – grazie all’interessamento del Postulatore generale dei Minori – autorizzava l’ordinario a decidere. Il 22 luglio 1913 giunse dunque mons. Karlin a compiere la nuova ricognizione: l’urna fu nuovamente sigillata e posta sull’altare di San Diego della chiesa conventuale dei Minori. Nel 1941, i frati minori della Provincia veneta - che dopo la prima guerra mondiale avevano sostituito i confratelli della Provincia dalmata nel convento di Sant’ Anna – premuniti del nihil obstat della Sacra Congregazione dei Riti richiesto da mons. Antonio Santin, procedettero alla modifica dell’urna. Nell’occasione il Servo di Dio don Marcello Labor, che prima del sacerdozio era stato medico, catalogò e descrisse i singoli resti del Beato Monaldo. L’arca fu modificata e nella sua parte frontale fu posto un altorilievo dorato che raffigura il Beato giacente con la croce e la sua summa. Pochi anni dopo, temendo la profanazione delle reliquie, durante le persecuzioni religiose che accompagnarono l’occupazione delle truppe di Tito, mons. Santin autorizzò la traslazione dell’arca del Beato Monaldo a Venezia presso la chiesa di San Francesco della Vigna, allora sede del provincialato. Nel dicembre del 1954 finalmente le reliquie vennero portate a Santa Maria Maggiore a Trieste, pochi anni dopo su istanza della Sacra Congregazione dei Riti, l’arcivescovo Santin emanò un decreto affinché continuasse il suo culto. 

Oggi la devozione verso questo insigne canonista e giurista, figlio dell’Ordine di San Francesco, è mantenuta viva dai Francescani secolari che organizzano anche incontri all’insegna dell’amicizia e della fraternità con i confratelli della vicina Repubblica di Slovenia. Mons. Lorenzo Bellomi, nel 1980, nell’omelia nella santa Messa a culmine delle iniziative per la celebrazione del pio transito del Beato Monaldo, ebbe a dire: «In esso rifulge la sua grandezza [del Signore n.d.r.] che ha del gigantesco perché lo colloca accanto alle figure più eccelse dei Maestri di Teologia del Medioevo. […] Per questo il Beato Monaldo è un dono per tutti: brilla davanti a noi come esempio di fede viva, di dedizione generosa, di servizio edificante». 

Trieste dunque si onora di ospitare i suoi resti, qui si fa auspicio affinché in una futura riedizione dei propria diocesani possa trovare posto contribuendo così alla sua memoria e devozione.

Francesco G. Tolloi

francesco.tolloi@gmail.com

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Per approfondire.

- AAVV, Beato Monaldo da Giustinopoli 1210-1280 ca, Atti raccolti in occasione del VII centenario del suo transito, Trieste, a cura della Provincia Veneta dei Frati Minori e del Comitato Capodistriano per le celebrazioni, 1982.

- 1280-1980, Beato Monaldo da Giustinopoli (Capodistria) dell'Ordine dei Frati Minori, Trieste, a cura del Comitato per la celebrazione del VII centenario del suo transito, Trieste, 1980.

- L. PARENTIN, Il francescanesimo a Trieste e in Istria nel corso dei secoli, Trieste, Comitato triestino per l'ottavo centenario della nascita di San Francesco, 1982.

Arca del Beato Monaldo
Arca del Beato Monaldo


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