Gli ottocento anni dalla
promulgazione – da parte di papa Onorio III – della Bolla Gratiarum omnium largitori, con la quale veniva confermata e
ratificata l’approvazione dell’Ordine domenicano, costituiscono un
significativo momento per i religiosi
dell’Ordine chiamati a vivere un “giubileo nel giubileo”. Per una fortunata
coincidenza di date infatti, il Giubileo dei domenicani si inserisce nel “Giubileo
della Misericordia” indetto dal Santo Padre. Il tema proposto come filo
conduttore del Giubileo dell’Ordine è “Mandati a predicare il Vangelo”, la
predicazione dunque come carisma fondante della spiritualità dei domenicani,
una predicazione quale azione fondamentale di una vita basata sull’apostolato e
una predicazione che è meditazione e comunicazione, tanto da divenire motto
dell’Ordine: “contemplata aliis tradere”.
Tale vita essenzialmente “apostolica”
ebbe a riverberare inevitabilmente anche sul modus celebrandi dei religiosi domenicani , sicché le antiche
Costituzioni, riferendosi alle forme liturgiche impongono siano breviter et succinte. Il rito
domenicano ebbe a codificarsi attorno al
XIII secolo, segnatamente essendo Maestro generale dell’Ordine Umberto da
Romans e oggi conosce un revival
soprattutto grazie all’istruzione Universae
Ecclesiae che chiarisce la vigenza dei riti propri degli ordini che
sussistevano nel 1962.
In questo anno “doppiamente
giubilare” varie sono state le celebrazioni con questo venerabile rito:
limitandomi qui ai soli esempi italiani – senza la pretesa di esaurirli –
ricorderò la celebrazione all’ “Arca” di san Domenico nella basilica
patriarcale di Bologna, la santa Messa alla parrocchia romana di Trinità dei
Pellegrini, la celebrazione – di qualche giorno precedente alla nostra – di Napoli.
A Trieste - nella parrocchia della B.V. del Soccorso (vulgo S. Antonio vecchio) non abbiamo voluto
mancare all’appuntamento promuovendo, per martedì 24 maggio, una santa Messa
cantata in rito domenicano nella festa della Traslatio di san Domenico. Detta festa, propria e particolare dell’Ordine
dei Predicatori, ricorda la traslazione del corpo di san Domenico nella celebre
“Arca” della basilica di Bologna, autentico capolavoro dell’arte italiana e frutto
dell’opera di vari artisti che intervennero a partire dal XIII secolo: da
Nicola Pisano, Arnolfo di Cambio, Michelangelo, Alfonso Lombardi, sino a
giungere alla metà del XVIII secolo quando, Boudard realizzò il bassorilievo
sito sotto l’altare. Tanto zelo artistico profuso chiarisce con nitore l’immensa
devozione che circondava san Domenico canonizzato da papa Gregorio IX nel 1234.
Fu proprio in occasione di tale evento che le spoglie del santo furono traslate
nell’ “Arca” appositamente costruita. San Domenico fu sepolto inizialmente
nella chiesa di S. Nicolò delle Vigne, in un luogo di passaggio e questo in
ottemperanza alla sua volontà di essere “sepolto sotto i piedi” dei suoi frati.
La chiesa di S. Nicolò fu abbattuta per lasciare il posto alla basilica di S.
Domenico che, indubbiamente, risulta essere uno dei monumenti più conosciuti e
visitati di Bologna. In occasione della sua Traslazione, il corpo di san
Domenico emanò profumo intenso di rose, una fragranza che fu percepita per vari
giorni dopo l’evento nei dintorni, testimoniando, anche attraverso questo
particolare fenomeno, la santità di Domenico di Guznám.
La celebrazione triestina è stata
resa possibile grazie a un’autentica sinergia posta in essere tra la
parrocchia, vari amici che frequentano le occasionali celebrazioni in “forma
straordinaria” che in essa vengono celebrate, i ministranti, alcuni amici del Collegium Divi Marci, l’organista della
parrocchia Riccardo Cossi che dirige il Coro Virile “Alabarda” che spesso anima
le nostre celebrazioni “straordinarie”
con grande attenzione liturgica e perizia musicale, tutti sotto l’attenta
supervisione del giovane religioso domenicano p. Didier Baccianti del convento
di Torino.
L'altare preparato per la celebrazione |
I cantori del coro polifonico "Alabarda" |
Verso l'altare |
Preghiere ai piedi dell'altare |
Introito e Kyrie |
Durante il Gloria |
Dominus vobiscum |
Dopo il Gloria e l’Orazione di Colletta (da notare che nel rito
domenicano il celebrante per salutare i fedeli con il Dominus vobiscum si volge, più sobriamente, stando presso il
messale e senza baciare prima la mensa come avviene nel romano), un ministrante
ha proclamato l’Epistola (2 Tim, 4, 1-18); il celebrante dopo aver letto i
brani interlezionali (Responsorium –
che corrisponde al Graduale romano - Alleluja e Sequenza) nel frattempo
eseguiti dai cantori in gregoriano, ha tolto il velo dal calice preparato all’altare
e vi ha infuso il vino e l’acqua che prima ha benedetto dicendo semplicemente: In nomine Patris, et Filii et Spiritus
Sancti. Dopo aver ricoperto nuovamente il calice e infuso l’incenso, una
volta spostato il messale, il celebrante si è preparato alla proclamazione in
canto del santo Vangelo (Matt. 4, 13-19). Caratteristico il gesto all'inizio e
alla fine della pericope evangelica di farsi il segno di croce. È in questo
momento in cui ha preso la parola don
Paolo Rakic – amministratore della parrocchia – che ha rivolto, a nome della
comunità, un caloroso saluto e benvenuto a padre Didier Baccianti il quale ha
poi tenuto l’omelia che sotto riporto.
Epistola |
Vangelo |
Il celebrante riceve l'incensazione dopo il Vangelo |
Il saluto di don Paolo Rakic |
Dopo aver intonato il Credo, il celebrante lo ha letto dal
messale, anche questa è particolarità del rito (analogamente al Gloria), mentre veniva eseguito in polifonia dai cantori del coro “Alabarda”.
Durante la lettura del Credo il
celebrante – con i suoi assistenti – si porta in mezzo all’altare per recitare
l’ Et incarnatus. Ha avuto seguito l’offertorio
recitato a bassa voce mentre l’organista Riccardo Cossi ha svolto un’articolata
improvvisazione. L’offertorio domenicano si distingue per la sobria brevità ed
essenzialità: l’ostia posta sulla patena viene presentata sovrapposta al
calice, l’incensazione delle oblate prevede di tracciare solamente la forma di
croce con il turibolo, l’altare viene incensato allo stesso modo del rito
romano. Il celebrante – una volta lavatosi le mani e recitato l’Orate fratres (con una formula diversa
da quella romana che non prevede risposta), recita la segreta e canta il
Prefazio cui il coro acclama con il Sanctus.
Lavanda delle mani |
Prefazio |
Te igitur |
Durante il Canon Missae |
Proprio all’inizio del Sanctus viene
portato un piccolo candeliere con un cero acceso all’altare, presso il
corporale, per indicare che su quell’altare si sta svolgendo la parte più
importante della celebrazione durante la quale Cristo si fa realmente presente
nelle specie eucaristiche. Durante il canone i ministranti reggevano i ceri e l’organo
spandeva le sue delicate e raccolte armonie. Padre Didier consacrando – secondo
le prescrizioni del suo rito – si è chinato solo leggermente; all’Unde et memores si nota uno dei gesti
più caratteristici (che si ritrova anche in altri riti latini come l’ambrosiano
e il certosino) ossia il celebrante per qualche istante allarga e stende le
braccia imitando la postura di Cristo sulla croce.
Consacrazione dell'ostia |
|
Unde et memores |
Un altro gesto altrettanto
caratteristico che si compie al Canone della messa è il Supplices te rogamus. In questo momento il sacerdote domenicano si
china incrociando le braccia al petto, diversamente dall’uso romano che vuole
il celebrante chinato con le mani giunte. Poco dopo l’Agnus Dei il celebrante
bacia il labbro del calice e quindi bacia l’instrumentum
pacis. Questo è stato portato all’amministratore parrocchiale don Paolo
Rakic e ai ministranti ed offerto al loro bacio, infine è stato mostrato ai
fedeli presenti nella navata. Un gesto decisamente eloquente che indica la pace
che proviene da Cristo e dal sacramento dell’altare, non una semplice pace
intesa come immanente categoria umana. Il celebrante si comunica con l’ostia
tenuta nella mano sinistra, ossia la mano del cuore. Il resto del rito della
messa differisce per pochi dettagli da quello romano.
La pace |
Ecce Agnus Dei |
Comunione dei ministranti |
Al termine della santa Messa il
celebrante ha incensato la reliquia di san Domenico e il coro ha cantato l’inno
gregoriano – sempre dal repertorio domenicano – Gaude Mater Ecclesia in onore del Santo eseguito in forma alternatim con l’organo. Dopo aver
benedetto i fedeli con la reliquia e averla offerta alla loro venerazione,
padre Didier ha benedetto le corone del santo Rosario portate da numerosi
fedeli: detta benedizione era tradizionalmente prerogativa dei sacerdoti dell’Ordine
che ebbe il merito di diffondere questa importantissima devozione mariana in
seno alla Cristianità.
Incensazione della reliquia di san Domenico |
La reliquia viene portata ai fedeli |
Benedizione delle corone del rosario |
Benedizione dei ministranti in sacrestia al termine della messa |
Alla fine nei locali della
parrocchia è stato imbandito un rinfresco dove i
coristi, i ministranti e i fedeli hanno potuto rivolgere numerose domande a
padre Didier Baccianti sul suo Ordine e sul suo rito così caratteristico e
formulargli il loro caloroso “arrivederci”.
Un brindisi di augurio... |
Se è vero l’assunto del Vico che
concepiva la storia ciclicamente, un susseguirsi di corsi e ricorsi, è del pari
vero ed innegabile che essa non manchi di colpi di scena: per circostante storiche
particolari a Trieste non ci furono conventi domenicani (differentemente dalla
vicina arcidiocesi di Gorizia), chissà che un domani essi non possano
insediarsi e portare la loro densa e profonda spiritualità anche nella mia
città. Questo è semplicemente un bel desiderio, ma…Dominum deprecemur!
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Omelia di P. Didier Baccianti
O.P.
“La vostra luce risplenda
dinnanzi agli uomini, in modo che essi vedano le vostre opere buone e
glorifichino il Padre vostro che è nei cieli”.
Queste parole che Gesù ha rivolto
ai discepoli, sono parole che il Santo Padre Domenico, ha fatto proprie e da
cui ha preso spunto per fondare l’Ordine dei Predicatori.
Questo grande Santo ci rammenta
che nel cuore della Chiesa, nel cuore di ciascun battezzato, deve sempre
bruciare e ardere un fuoco missionario, il quale spinge incessantemente a
portare l’annuncio salvifico del Vangelo, ad essere Luce della Chiesa, la sola
che può salvare.
È Cristo nella Santa Chiesa,
infatti, il bene più prezioso che gli uomini e le donne di ogni tempo e di ogni
luogo hanno il diritto di conoscere e di amare!
Volesse Iddio che anche oggi
nella Chiesa ci fossero tanti pastori e fedeli laici, che con gioia spendono la
loro vita per questo ideale supremo: annunciare e testimoniare il Vangelo, la
Verità di Cristo!
San Domenico fondando l’Ordine
dei Predicatori volle che i suoi frati fossero preparati all’annuncio del
Cristo, perciò lo fondò su quattro grandi pilastri che sorreggono la
predicazione:
1) La liturgia, la preghiera ==> per poter stare e
assaporare Dio.
2) Lo studio ==> per poter approfondire la conoscenza di
Dio.
3) La vita comune ==> per vivere insieme l’esperienza di
Dio.
4) La vita regolare ==> per vivere ogni momento con Dio.
San Domenico aveva il grande desiderio che
ogni fedele sapesse in che cosa credere, potesse conoscere la propria fede,
potesse essere sempre più radicato nella fede autentica trasmessa dagli
Apostoli e dalla Santa Chiesa, per poter contrastare con forza e decisione le
sfide, le tentazioni e le eresie di ogni tempo.
Come ci diceva l’Epistola:
“Poiché verrà tempo in cui gli uomini non sopporteranno più la sana dottrina,
distoglieranno l’orecchio dalla Verità per volgerlo alla favole”.
Gesù Cristo chiede questo anche a
ciascuno di noi, ci chiede di pregare, approfondire, studiare e vivere la
nostra fede in Dio e nella Santa Chiesa senza timore.
Ecco allora l’importanza che
l’Ordine di Predicatori ha, di portare avanti la dimensione culturale della
fede, affinché la bellezza della verità cristiana possa essere meglio compresa
e la fede possa essere meglio nutrita, rafforzata e difesa.
Perché questo annuncio della
Parola di Dio, perché questa “perla preziosa” non rimanga nascosta ma brilli
nel mondo, San Domenico ci indica due mezzi indispensabili:
1) La devozione mariana che lasciò all’Ordine, che
successivamente ebbe il grande merito di diffondere la preghiera del Santo
Rosario, la quale racchiudendo in sé i misteri di Cristo è per noi scuola di
fede e pietà.
2) L’importanza della preghiera d’intercessione per la
predicazione, per il lavoro apostolico e per la conversione dei peccatori. Ecco
allora il ramo monastico femminile dell’Ordine di Predicatori. La vera base e
radice dell’albero dell’Ordine Domenicano senza della quale la nostra
predicazione sarebbe vana.
Possiamo riassumere così la vita
e il carisma di San Domenico con le belle parole del Prefazio con cui tra poco
pregheremo Dio:
“Per l’onore e la difesa della
Santa Chiesa,
volesti rinnovare la forma di
vita degli Apostoli
per mezzo del Santo Padre
Domenico.
Egli sempre sostenuto dal
soccorso della Madre del tuo Figlio,
domò con la sua predicazione le
eresie,
istituì per la salvezza dei
popoli i difensori della fede
e guadagnò a Cristo innumerevoli
anime.”.
Il Santo Padre Domenico
interceda, in modo particolare in quest’anno giubilare, per l’Ordine dei
Predicatori. Affinché i membri di questo glorioso Ordine possano essere sempre
più ferventi nella preghiera, coraggiosi nel vivere e difendere la fede e non
abbiano paura di dare la vita per la Verità. Maria Santissima, Regina del Santo
Rosario, interceda per l’Ordine dei Predicatori.
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Francesco G. Tolloi
fotografie di Lorenzo Petronio (g.c.)
francesco.tolloi@gmail.com
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