giovedì 11 dicembre 2025

Il canto della Novena di Natale. Un nuovo libro (il mio).

 

Era da un po’ che guardavo, mantenendomi ad una certa distanza, quel fenomeno chiamato “self publishing” intuendone versatilità e potenzialità. Lo sguardo era sicuramente molto distratto e superficiale e, per moltissimi aspetti, ancora rimane tale. Usando una metafora mi trastullavo con la noce, ma la scorza coriacea mi impediva di addentare il gheriglio. Alla fine almeno un modesto assaggio di gheriglio l’ho fatto e, in tutta schiettezza, mi dispiace di non averlo fatto prima.

Imbastito con delle tempistiche davvero risicate, rubando qualche ora al sonno e del tempo alla socialità, ho pubblicato, tra molti dubbi su modalità e procedure, un libro di poco più di una sessantina di pagine, delle quali il 90 % musicate, sul canto della Novena di Natale. 

Il lettore potrebbe chiedersi a quale “Novena di Natale” faccio riferimento. La domanda non è banale e neppure mal posta. Devozioni preparatorie al Natale ripetute su un arco temporale di nove giorni ve ne sono moltissime e variegate per testi, modalità e luoghi. Anche limitando lo sguardo a zone a me limitrofe ci sono le “zornice”, tanto care un tempo alla popolazione slovena, o il canto del “Missus” nella vicina arcidiocesi udinese. Ma qui mi riferisco a quella che per me, non me ne vogliate, è la Novena per antonomasia, nata a Torino all’inizio del Settecento, modellata su stilemi liturgici in cui facilmente si ravvisano i tratti dell’Ufficio Divino (del Mattutino e dei Vesperi). Una paraliturgia insomma con un’impalcatura liturgica piuttosto robustamente strutturata ed una ricchezza di ispirazione scritturale assai pronunciata: argomenti che la rendono, sempre a mio vedere, preferibile alle altre. Siccome viviamo in un’epoca in cui le belle cose vivono, o meglio sopravvivono, a costante rischio di estinzione, ho pensato che una pubblicazione come questa potesse rappresentare un tentativo opportuno per farla conoscere, conservare e diffondere ne pereat.

Trattandosi di una “paraliturgia” non mancano varianti locali di cui ho cercato di dar conto. Nell’immagine dell’indice che più sotto pubblico potrete facilmente trarne contezza.

Tra i vari “providers” (si chiamano così? Nescio.) di “self publishing” la mia preferenza, nell’occasione è andata ad Amazon: versatilità, diffusione, tempistiche e modalità di spedizione e, non da ultimo, prezzo di copertina mi hanno portato a questa opzione.

A proposito dell'ultimo argomento ho cercato di mantenere un costo molto basso: ragionevolmente sarà difficile che qualcuno possa pensare seriamente (anche se i malpensanti esistono e sono numerosi) che una persona possa arricchirsi pubblicando un libro sulla Novena di Natale in canto gregoriano, o procacciarsi il suo minimo sostentamento materiale. Honi soit qui mal y pense. Tanto per dirla tutta, ogni tre libri venduti, con i proventi delle royalities, potrei riuscire (forse!) a bere un caffè al bancone di un bar. Non male per la sveglia caffeinica utile per preparare altre pubblicazioni...

Il libro, come potete vedere già dalle immagini qui pubblicate in anteprima, è stampato a colori con una grafica manieristicamente improntata allo stile di Desclée, da sempre il mio editore liturgico preferito, con l'iconografia della nota casa di Tournai, ispirata alle opere di Simon Vostre, a colori (tratte da un Messale della mia collezione). Per la copertina ho optato per il cartone morbido, stampato in lucido in colore violaceo, proprio per sottolinearne la stretta appartenenza al tempo di Avvento in cui la Novena si colloca.

Potete comodamente acquistare direttamente la vostra copia direttamente da Amazon, cliccando a questo link, al costo di 12,48 €, ossia il minimo che Amazon consentiva per tale tipologia di pubblicazione. Preciso che come autore posso comprare copie al costo vivo di stampa, però le consegne di tale tipologia da parte di Amazon, non avverrebbero prima dell'inizio del nuovo anno (circa a ridosso dell'Epifania): questo per alcuni concittadini che mi hanno chiesto se potevano avere direttamente una copia da me.

Mi dilungo ancora un istante su qualche complicazione o piccola disavventura occorsa. Essendo, come dicevo in apertura, la prima volta che utilizzavo questo servizio e come è buona regola ho richiesto una copia di prova. Questa ho potuto averla appena il giorno dell'Immacolata. Da essa, pur apprezzandone la sostanziale qualità (ho scelto la stampa "premium" ed in genere le migliori opzioni), mi sono accorto che la resa della notografia non sempre era eccelsa. Ciò, mi scuso se mi addentro momentaneamente nel tecnicismo, era avvenuto perché trattavo le immagini come png, pur in buona definizione. Ho dovuto perciò in fretta e furia vettorializzare tutta la notografia....ma alla fine, come credo apprezzerete anche dalle immagini , il risultato è più che buono. Insomma una corsa contro il tempo e per giunta ad ostacoli per licenziare l'edizione appena in tempo (in "zona Cesarini", come dicono gli amici calciofili che hanno più volte, senza successo, tentato di farmi capire di cosa si tratti).

Ora però smetto di parlare di me però da ultimo, ma certamente non per ordine di importanza, devo la mia più grata riconoscenza a due carissimi amici: don Michele Tomasin, sacerdote dell’arcidiocesi metropolitana di Gorizia, che mi ha accomodato alcune faccende musicali e Nicolò Ghigi, curatore del blogTraditio Marciana”, per la revisione latina dei testi. Il Signore che viene sappia ricompensarli, e mi mantenga sempre degno della loro amicizia!

Con l'auspicio che questo contributo porti qualche utilità alla riscoperta di una bella e pia tradizione e sia un piccolo aiuto  a vivere con profitto il sacro tempo di Avvento.

 

Regem ventúrum Dóminum, veníte adorémus!

 

Francesco G. Tolloi

francesco.tolloi@gmail.com

NOVENA DI NATALE, PAGINE DI ESEMPIO

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NOVENA DI NATALE: INDICE
copertina Novendiales Preces




mercoledì 10 dicembre 2025

Il colore rosaceo della III Domenica d'Avvento. Identità di un colore liturgico o varietà del violaceo?

 

Nell'imminenza della III Domenica d'Avvento, ho ritenuto di riprendere un mio vecchio scritto che ebbi modo di pubblicare durante la mia collaborazione con lo storico settimanale della Diocesi di Trieste "Vita Nuova" negli anni che precedettero la sua chiusura. Lo ripresi anche durante la mia collaborazione, come redattore della pagina "cultura" del nuovo settimanale diocesano "Il domenicale di San Giusto. Con qualche modestissimo e marginale ritocco, credo possa essere utile anche la pubblicazione qui sul mio blog.

F.G.T.


«Gaudéte in Dómino semper, iterum dico, gaudéte.». Questo è l’invito di San Paolo (Filipp. 4, 4) ripreso nell’Introito della III domenica dell’Avvento. Le parole di San Paolo rivolte ai filippesi indicano ormai l’imminenza del Natale: il “tempo forte” di preparazione alla celebrazione di questo Mistero sta per concludersi, la trepidazione, screziata a tratti da un’austera mestizia, lascerà presto il posto alla gioia della nascita del Messia e all’ammirata contemplazione del Verbo, coeterno al Padre, incarnato per la redenzione degli uomini.  Questo sentire riverbera in un segno esteriore che catalizza e colpisce l’attenzione: il colore viola dei paramenti si sostituisce con il colore rosaceo. 

Anche norme del Messale "riformato" si esprimono in direzione di una facoltatività di questo utilizzo: adhiberi potest recita infatti l’Institutio Generalis Missalis Romani [1]. L’origine, anche della norma, è da ricercarsi quasi sicuramente nell’evoluzione storica che ci permette di trarre delle conclusioni in grado di fornirci una chiave di comprensione di questo uso. Il rosaceo, utilizzato nella III Domenica d’Avvento e nella IV domenica di Quaresima, è il colore liturgico più recenziore quanto a menzione nei testi normativi: l’editio princeps del Messale Romano di papa San Pio V (1570) non lo menziona, mentre il primo a farne riferimento è il Cæremoniale Episcoporum clementino (editio princeps 1600). 

Anche qui non si tratta d’un obbligo ma di una facoltà, ed è proprio questo aspetto a farci capire come il rosaceo non abbia una sua propria autonoma e definita identità ma sia da intendersi come una variante del viola caratteristico del tempo. Sarà importante notare di come nell’antichità non esistesse una precisa attribuzione del colore per una determinata celebrazione (legata al tempo liturgico o ad una tipologia particolare di Santo): ci si limitava a distinguere i colori chiari dai colori scuri, un po’ come avviene ancora oggi in molte Chiese orientali. Sostanzialmente si distinguevano le vestes albae, destinate a essere signum laetitiae, e le vestes pullae, di cui ci si rivestiva in signum moeroris. Semplificando, si potrebbe dire che i colori chiari vennero destinati alle feste, quelli scuri alle altre circostanze, specie i tempi penitenziali. 

Quello che spesso è denominato canone dei colori (assegnazione di un colore liturgico a una precisa circostanza), si codificò durante il pontificato di papa Innocenzo III (+ 1216) anche se è da ritenersi di formazione precedente. Esso risente fortemente di quella tendenza all’allegoria e al simbolo che caratterizza l’animo medievale. I tempi forti si trovarono perciò presto ben identificati con il ricorso al viola e ad altri segni liturgici esteriori che rimontavano alle epoche più remote. Il tempo di Avvento rientra tra questi; un rigore penitenziale variamente declinato anche per quanto atteneva la disciplina del digiuno. Proprio a questa disciplina alludevano, tra i varî tratti arcaici, le casule piegate che i ministri indossavano al posto della dalmatica e tunicella durante le celebrazioni de tempore fino agli anni sessanta del Novecento. Utilizzato con differenti modalità nei diversi usi liturgici occidentali, esso era un tratto arcaico che rimontava a quando la casula, secondo le parole di Amalario di Metz, era generale indumentum sacrorum ducum [2]

L’uso finì per diventare un segno visibile ed immediatamente identificabile di un tempo di digiuno . Nell’Avvento il digiuno conosceva un’attenuazione del rigore in coincidenza con la III domenica, forse in vista dello slancio finale: coerentemente i ministri riprendevano, temporaneamente, i loro paramenti più usuali. 

A questa mitigazione corrispondeva anche uno schiarimento del colore dei paramenti, ecco perciò il definirsi del rosaceo come nuance particolare del viola e ad esso strettamente correlato. Va notato ancora che, sebbene la Chiesa prescriva il colore liturgico, non determina, invece, la precisa sfumatura ed intensità. Restando allo specifico del colore viola del tempo, si noteranno diversità, anche piuttosto nette, distribuite geograficamente e sono attribuibili ai diversi coloranti, d’origine naturale, a cui ricorrevano i tessitori per tingere le stoffe. A Roma esso era tendenzialmente chiaro, tanto che gli eruditi autori (es. il Moroni o il Cancellieri) che hanno diffusamente trattato degli usi liturgici dell’Urbe, lo chiamano paonazzo (assai simile al colore della veste corale dei Vescovi). Viceversa, oltralpe, il colore era molto più carico e intenso (detto talvolta gallicano), i milanesi – per il loro rito – conoscono una particolare e più cupa variante di viola chiamata morello

Mediante il colore rosa, caricato di un contenuto gioioso, che vedremo nelle nostre chiese questa domenica, la Chiesa, madre e maestra, ci invita, attraverso questo segno sensibile a predisporci alla letizia ed alla speranza che deve riempire il nostro cuore per la celebrazione del mistero della nascita di Cristo che vivremo tra pochissimi giorni: prope jam est Dominus, venite adoremus!

Francesco G. Tolloi

 



[1] Cfr. Institutio Generalis Missalis Romani, IV, de sacris vestibus, 346, f, in Missale Romanum, editio typica tertia, Città del Vaticano, Typis Vaticanis, 2002, pag. 76.

[2] Cfr. De ecclesiasticis officiis, II, 19 (P.L. 105, 1095).

Parato rosaceo di manifattura inglese