mercoledì 10 dicembre 2025

Il colore rosaceo della III Domenica d'Avvento. Identità di un colore liturgico o varietà del violaceo?

 

Nell'imminenza della III Domenica d'Avvento, ho ritenuto di riprendere un mio vecchio scritto che ebbi modo di pubblicare durante la mia collaborazione con lo storico settimanale della Diocesi di Trieste "Vita Nuova" negli anni che precedettero la sua chiusura. Lo ripresi anche durante la mia collaborazione, come redattore della pagina "cultura" del nuovo settimanale diocesano "Il domenicale di San Giusto. Con qualche modestissimo e marginale ritocco, credo possa essere utile anche la pubblicazione qui sul mio blog.

F.G.T.


«Gaudéte in Dómino semper, iterum dico, gaudéte.». Questo è l’invito di San Paolo (Filipp. 4, 4) ripreso nell’Introito della III domenica dell’Avvento. Le parole di San Paolo rivolte ai filippesi indicano ormai l’imminenza del Natale: il “tempo forte” di preparazione alla celebrazione di questo Mistero sta per concludersi, la trepidazione, screziata a tratti da un’austera mestizia, lascerà presto il posto alla gioia della nascita del Messia e all’ammirata contemplazione del Verbo, coeterno al Padre, incarnato per la redenzione degli uomini.  Questo sentire riverbera in un segno esteriore che catalizza e colpisce l’attenzione: il colore viola dei paramenti si sostituisce con il colore rosaceo. 

Anche norme del Messale "riformato" si esprimono in direzione di una facoltatività di questo utilizzo: adhiberi potest recita infatti l’Institutio Generalis Missalis Romani [1]. L’origine, anche della norma, è da ricercarsi quasi sicuramente nell’evoluzione storica che ci permette di trarre delle conclusioni in grado di fornirci una chiave di comprensione di questo uso. Il rosaceo, utilizzato nella III Domenica d’Avvento e nella IV domenica di Quaresima, è il colore liturgico più recenziore quanto a menzione nei testi normativi: l’editio princeps del Messale Romano di papa San Pio V (1570) non lo menziona, mentre il primo a farne riferimento è il Cæremoniale Episcoporum clementino (editio princeps 1600). 

Anche qui non si tratta d’un obbligo ma di una facoltà, ed è proprio questo aspetto a farci capire come il rosaceo non abbia una sua propria autonoma e definita identità ma sia da intendersi come una variante del viola caratteristico del tempo. Sarà importante notare di come nell’antichità non esistesse una precisa attribuzione del colore per una determinata celebrazione (legata al tempo liturgico o ad una tipologia particolare di Santo): ci si limitava a distinguere i colori chiari dai colori scuri, un po’ come avviene ancora oggi in molte Chiese orientali. Sostanzialmente si distinguevano le vestes albae, destinate a essere signum laetitiae, e le vestes pullae, di cui ci si rivestiva in signum moeroris. Semplificando, si potrebbe dire che i colori chiari vennero destinati alle feste, quelli scuri alle altre circostanze, specie i tempi penitenziali. 

Quello che spesso è denominato canone dei colori (assegnazione di un colore liturgico a una precisa circostanza), si codificò durante il pontificato di papa Innocenzo III (+ 1216) anche se è da ritenersi di formazione precedente. Esso risente fortemente di quella tendenza all’allegoria e al simbolo che caratterizza l’animo medievale. I tempi forti si trovarono perciò presto ben identificati con il ricorso al viola e ad altri segni liturgici esteriori che rimontavano alle epoche più remote. Il tempo di Avvento rientra tra questi; un rigore penitenziale variamente declinato anche per quanto atteneva la disciplina del digiuno. Proprio a questa disciplina alludevano, tra i varî tratti arcaici, le casule piegate che i ministri indossavano al posto della dalmatica e tunicella durante le celebrazioni de tempore fino agli anni sessanta del Novecento. Utilizzato con differenti modalità nei diversi usi liturgici occidentali, esso era un tratto arcaico che rimontava a quando la casula, secondo le parole di Amalario di Metz, era generale indumentum sacrorum ducum [2]

L’uso finì per diventare un segno visibile ed immediatamente identificabile di un tempo di digiuno . Nell’Avvento il digiuno conosceva un’attenuazione del rigore in coincidenza con la III domenica, forse in vista dello slancio finale: coerentemente i ministri riprendevano, temporaneamente, i loro paramenti più usuali. 

A questa mitigazione corrispondeva anche uno schiarimento del colore dei paramenti, ecco perciò il definirsi del rosaceo come nuance particolare del viola e ad esso strettamente correlato. Va notato ancora che, sebbene la Chiesa prescriva il colore liturgico, non determina, invece, la precisa sfumatura ed intensità. Restando allo specifico del colore viola del tempo, si noteranno diversità, anche piuttosto nette, distribuite geograficamente e sono attribuibili ai diversi coloranti, d’origine naturale, a cui ricorrevano i tessitori per tingere le stoffe. A Roma esso era tendenzialmente chiaro, tanto che gli eruditi autori (es. il Moroni o il Cancellieri) che hanno diffusamente trattato degli usi liturgici dell’Urbe, lo chiamano paonazzo (assai simile al colore della veste corale dei Vescovi). Viceversa, oltralpe, il colore era molto più carico e intenso (detto talvolta gallicano), i milanesi – per il loro rito – conoscono una particolare e più cupa variante di viola chiamata morello

Mediante il colore rosa, caricato di un contenuto gioioso, che vedremo nelle nostre chiese questa domenica, la Chiesa, madre e maestra, ci invita, attraverso questo segno sensibile a predisporci alla letizia ed alla speranza che deve riempire il nostro cuore per la celebrazione del mistero della nascita di Cristo che vivremo tra pochissimi giorni: prope jam est Dominus, venite adoremus!

Francesco G. Tolloi

 



[1] Cfr. Institutio Generalis Missalis Romani, IV, de sacris vestibus, 346, f, in Missale Romanum, editio typica tertia, Città del Vaticano, Typis Vaticanis, 2002, pag. 76.

[2] Cfr. De ecclesiasticis officiis, II, 19 (P.L. 105, 1095).

Parato rosaceo di manifattura inglese



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